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28 Marzo 2024

Germania: 2 ex agenti di Assad a processo per crimini contro l'umanità

di Maria Elena Gottarelli (nostra inviata)
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Lo scorso 23 aprile 2020 si è aperto innanzi all’Alta Corte del Tribunale federale di Coblenza il primo procedimento giudiziario sui metodi brutali utilizzati nella guerra civile in Siria: il 3 giugno, le prime vittime hanno iniziato a testimoniare sulle torture subite fra il 2011 e il 2012 a Damasco, nella prigione gestita da uno degli imputati, Anwar Raslan

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Coblenza (Germania) 3, 4 e 5 giugno 2020. Il regista e produttore cinematografico Feras Fayyad entra in un’aula di Tribunale semideserta, a causa del coronavirus. E’ la prima delle 26 vittime pronte a testimoniare in questo processo eccezionale, fondato sulla Universal Jurisdiction (Giurisdizione universale, ndr) che consente di mettere sotto accusa due ex agenti di Bashar al Assad, attuale leader della Siria sostenuto da Mosca, per crimini contro l’umanità. I 2 imputati - Anwar Raslan e Eyad al Gharib - arrivano alle 9 in punto di mattina, accompagnati dai loro avvocati. Gharib - che nella famigerata ‘Sezione 251’ del centro di intelligence di Damasco svolgeva un incarico secondario rispetto a Raslan - si copre il volto con una carpetta che contiene il suo memoriale difensivo, indossando la mascherina per tutta la durata dell’udienza. Raslan, invece, ha un’aria imperturbabile. Fra il 2011 e il 2012 era a capo della ‘Sezione 251’ ed è accusato di 58 omicidi e più di 4 mila torture. E’ importante notare che quel che si cerca di dimostrare in questo processo non è solo la colpevolezza degli imputati, ma anche - e soprattutto - la sistematicità della tortura nella governance’ di Assad: la violenza come regola e non come eccezione.

“Sono stato arrestato nel 2011 per aver filmato le manifestazioni pacifiche contro Assad nelle strade di Damasco”, esordisce Feras Fayyad, che neCoblenza_3.jpgl 2017 ha vinto numerosi premi per il suo docufilm Last men in Aleppo’, in cui documenta la vita ad Aleppo nei lunghi anni della guerra civile. La sua testimonianza inizia con il racconto del ‘Welcome Party’ - così verrebbe tuttora chiamato – dopo il suo arrivo al centro di detenzione. “Ogni Sezione”, spiega, “ha il suo specifico ‘Welcome Party’, che consiste in un’ondata di torture fisiche e umiliazioni di vario genere per ‘dare il benvenuto’ ai nuovi arrivati. Mi hanno fatto stendere a terra e mi hanno pestato, minacciando di spararmi in testa. Mi hanno dato del traditore e del figlio di puttana. Poi mi hanno fatto scendere al piano di sotto, completamente nudo. Anche qui sono stato picchiato, a turno, da ognuna delle guardie. Non potevo vederle in faccia, perché ero bendato. Poi mi hanno frustato, mi hanno rasato i capelli e, finalmente, rinchiuso nella cella con gli altri prigionieri. Solo a questo punto”, conclude Feras, “mi è stato detto dove mi trovavo”. Feras Fayyad dice anche di essere sicuro che in quella prigione ci fossero almeno una donna e un bambino di circa 14 anni: “La sentivo urlare e pregare di essere risparmiata”. E continua: “Sono stato portato in tribunale solo diversi giorni dopo il mio arresto. Per tutto il tempo del processo, un agente di polizia è sempre rimasto vicino al giudice, credo per condizionare la sua sentenza. Sono stato condannato per attività lesive nei confronti dello Stato”. Subito prima di chiedere una pausa, Feras Fayyad spiega ai giudici tedeschi che il solo fatto di essere innanzi a una Corte di giustizia, mette la sua famiglia in pericolo.

Nel pomeriggio, viene chiamato a testimoniare Anwar al Bounni, avvocato per i diritti umani, 61 anni. E’ stato il difensore di Feras Fayyad a Damasco, tra il 2011 e il 2012. Imprigionato tre volte fra il 1978 e il 2011, nel corso della sua carriera ha rappresentato centinaia di uomini e donne siriane e afferma di “conoscere a fondo il modus operandi del regime che”, secondo lui, “fa uso della tortura e della violenza addirittura dagli anni ’70. Ho visto con i miei occhi quello che accade nelle prigioni siriane. In quanto avvocato”, prosegue, “ho assistito centinaia di vittime, colpevoli solo di avere manifestato pacificamente per la libertà”. E affonda: “Ho visto i miei clienti appena usciti di prigione, alcuni di loro pesavano appena 40 chili. Erano fantasmi, non uomini”.

"Dopo il 2011", spiega al Bounni alla Corte, "le violenze della polizia si sono intensificate". Mentre prima la tortura era riservata soltanto agli oppositori politici e veniva utilizzata quasi esclusivamente allo scopo di ottenere informazioni sensibili, successivamente sarebbe stata estesa a tutti gli strati della popolazione e praticata come metodo di vendetta su chiunque osasse protestare. “I Coblenza_4.jpgprigionieri sono trattati peggio degli animali”, testimonia il legale, “e fra le torture più disumane vi è quella di rinchiudere più di cinquanta uomini, completamente nudi, in una cella di cinque metri quadrati”. Fa una pausa. “Si sta così stretti che c’è posto solo per i piedi. I prigionieri vengono lasciati così per settimane, ammassati l’uno sull’altro, senza potersi sedere. Due volte al giorno, le guardie gettano dei pezzi di pane. Molti perdono i sensi, alcuni muoiono. Può capitare che, per punizione, i corpi dei deceduti vengano lasciati nella cella per qualche giorno, affinché la puzza si diffonda fra chi è ancora vivo”. Al Bounni racconta di esser stato portato, per poco tempo, in una di queste celle nel 2011: “A quel tempo, ero un avvocato piuttosto noto a Damasco. Quando sono entrato, i prigionieri mi hanno riconosciuto e si sono stretti l’uno sull’altro per permettere di sedermi”. Un’altra tortura “fantasiosa”, continua l’avvocato e attivista, “consiste nel costringere il prigioniero su una sedia con un buco sul sedile, mettendo sotto una candela accesa, che lentamente finisce per bruciargli la carne”.

A questo punto, i giudici chiedono ad al Bounni del suo rapporto con il principale imputato, Anwar Raslan. E’ in grado di riconoscerlo? I due si guardano: “E’ invecchiato e ha preso peso, ma è lui”. Del resto, Raslan non ha mai negato di aver lavorato per Assad tra il 2011 e il 2012 a Damasco. A non essere chiare sono, invece, le circostanze della sua fuga dalla Siria nel 2012 e le ragioni per cui abbia scelto di disertare. In effetti, questo processo è stato reso possibile da una serie di circostanze fortuite verificatesi in Germania nel 2013, anno in cui Anwar al Bounni e Anwar Raslan si sono ritrovati per caso nello stesso centro di asilo per rifugiati in terra tedesca. Quando l’avvocato 61enne ha capito chi era l’uomo che aveva visto al centro di accoglienza, si è dato da fare per raccogliere le prove dei suoi crimini e, insieme ad altri avvocati e membri dell’Icchr (International Conference on Civil and Human Rights, ndr) è riuscito a radunare 26 presunte vittime di tortura, che saranno ascoltate dall’Alta Corte in questo processo.

Gli avvocati difensori di Anwar Raslan ed Eyad Gharib hanno negato tutte le accuse e si sono concentrati sulle contraddizioni nei racconti dei due testimoni. In particolare, su un’incongruenza nelle deposizioni di al Bounni. Interrogato dalla polizia federale nel 2017, quest’ultimo non era stato in grado di identificare Raslan in foto. Quanto alle prove, al Bounni ha dichiarato di essere in possesso di documenti che dimostrano la maggior parte di quanto da lui affermato, ma non ne ha ancora mostrato alcuno.

Le udienze si sono concluse alle ore tredici di venerdì 5 giugno. Fuori dal Tribunale, una ragazza siede per terra, abbracciando una cornice con la foto del volto di un uomo. Dietro di lei, ci sono un’altra cinquantina di quadri con le fotografie di uomini, donne e bambini: sono gli ‘scomparsi’ del conflitto siriano: mogli e mariti di cui nessuno sa più nulla, forse catturati, forse uccisi. Quella che la ragazza tiene fra le braccia è la foto di suo padre. Lei, Wafa Mustafa, è una rifugiata siriana, qui a Coblenza. Fa parte dell’associazione Family for Freedom’, che chiede giustizia e sostegno per le centinaia di famiglie di siriani che piangono la scomparsa di un proprio caro, senza sapere dove si trovi.

Iniziato il 23 aprile scorso, il processo di Coblenza viene guardato con scetticismo da alcuni e con entusiasmo da altri. C’è già chi lo considera un ‘Norimberga-bis’, ma anche chi nutre dubbi sulla sua legittimità e utilità concreta. Intanto, in Siria, un violento attacco degli aerei da guerra russi hanno colpito la città di Hama, fra le ultime roccaforti, insieme a Idlib, della resistenza anti-Assad. Si tratta del primo attacco dopo quasi tre mesi di cessate il fuoco ed è proseguito per due giorni, da martedì 2 giugno sera a mercoledì 3.
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NELLA FOTO QUI SOPRA, DA SINISTRA: FERAS FAYYAD, WAFA MUSTAFA E ANWAR AL BOUNNI

AL CENTRO: L'AVVOCATO AL BOUNNI DAVANTI AL TRIBUNALE DI COBLENZA

PIU' IN ALTO: FERAS FAYYAD E ANWRAR AL BOUNNI DISCUTONO POCO DOPO UN'UDIENZA

IN APERTURA: ANWAR RASLAN, EX DIRETTORE DELLA FAMIGERATA 'SEZIONE 251'


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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