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28 Marzo 2024

L’arte, l'uomo e la battaglia di Luigi Cervone

di Carla De Leo
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Lui è un giovane artista napoletano. Nella splendida cornice del Museo Vecchio di Villa Doria Pamphilj si è da poco conclusa la sua ultima personale di arte figurativa, intitolata ‘Accintio – La forza di combattere’, con opere caratterizzate da un segno forte, marcato nella scultura, sottolineato da tinte fuoco nella pittura, che mettono al centro l’uomo, la tecnica e la concettualità 

‘Accintio’ (dal Lat. ‘il cingersi’, ‘l’armarsi’) è l’atto che precede la lotta, il momento in cui il guerriero, racchiuso in intima meditazione, indossa l’armatura e si prepara al combattimento. Un atto intenso, che genera potenza. Ed è proprio questo il filo conduttore tra le opere della mostra d’arte figurativa di Luigi Cervone, che si è svolta a Roma dall’8 al 30 dicembre scorso nel Museo Vecchio di Villa Doria Pamphilj. Protagonista delle oltre 20 tele esposte è stato l’uomo e la sua capacità di armarsi e combattere per affrontare il nemico. Un avversario che è metafora dell’arte stessa. Perché in un mondo in cui qualsiasi atto può ergersi ad arte, bisogna combattere contro i falsi simulacri. Così ci spiega Luigi, in aperta critica verso quell’arte, svuotata sia della tecnica che del concetto, che ha abbandonato le sue vesti originarie, dimenticandosi dell’etimologia della stessa parola: l’arte è ‘Tecné’. 
Grazie alla collaborazione con la curatrice Cecilia Paolini e della storica dell’arte Daniela Semprebene, la mostra è stata progettata con l’obiettivo di promuovere e sostenere l’attività dell’A.I.S.M. (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), per sottolineare la battaglia dei più deboli. : il sostegno e la promozione all’attività  dell’A.I.S.M. ha voluto incarnare, infatti, un momento di riflessione, di sensibilizzazione e di ‘ostacoli zero’ nei confronti delle persone affette da sindromi autoimmuni. 
‘La forza di combattere’, che echeggia come vigoroso imperativo nel titolo, è stata abilmente resa dalla personale visione e sensibilità artistica di Cervone: le sue figure perfette, muscolose, forti e vibranti, congiuntamente a un sapiente dosaggio della luce e a una ricercata combinazione delle tonalità – in cui momenti d’ombra spesso prevalgono sulle altre e più calde sfumature delle tele, ‘costringendo’ l’occhio dell’osservatore ad assistere alla ‘nascita’ dei personaggi da un buio immateriale e allo stesso tempo palpabile, mentre la luce illumina la scena in una sorta di ‘dopo’ in sospensione permanente. Personaggi dotati di una tale carica psicologica, una forza fisica e un vigore plastico, che la loro lettura risulta di immediato impatto visivo ed emotivo. Uomini che non hanno paura di cadere, ma che hanno la capacità, la forza e il desiderio di rialzarsi. Questa, la vera prova di coraggio e di attaccamento alla vita: non è forte colui che abbatte il nemico. È forte colui che, cadendo, trova la forza di risollevarsi.
Ma cerchiamo di saperne di più dagli artefici del progetto: l’artista, Luigi Cervone, e la curatrice della mostra, Cecilia Paolini.   

Da quali premesse nasce ‘Accintio’?
Luigi Cervone: “Inizialmente la mostra è nata come occasione per ‘fare il punto della situazione’. Raccogliendo, infatti, tutta una serie di miei lavori, anche lontani nel tempo, ha offerto la possibilità di tracciare il percorso e l’evoluzione della mia produzione. In realtà, questa mostra mi ha aiutato molto nell’introspezione e nell’analisi di me stesso. Perché nelle mie opere non ci sono barriere, ma mi metto a nudo emotivamente. La maggior parte delle mie creazioni nasce da forti emozioni personali. E non è sempre facile riuscire a esternarle e a renderle fruibili al pubblico. Per questo la mostra mi ha permesso anche di capire la mia evoluzione. Anche perché dietro la mia formazione non ci sono studi accademici. Sono un autodidatta e, come tale, ho necessariamente seguito le mie regole. Tuttora continuo a essere quello ‘spirito’ che cerca di afferrare qualsiasi input. Di conseguenza, il mio percorso è in continua evoluzione, sia a livello tecnico che comunicativo”. 
Cecilia Paolini: “Questa mostra è nata partendo da un concept di Luigi Cervone e dalla volontà di fare ‘il punto’ del percorso professionale dell’artista, dopo una serie di mostre che avevamo fatto insieme in precedenza. Quindi la mostra è nata pensando ad una personale dedicata a Cervone, il quale ci ha dato lo spunto per l’elaborazione del concept iniziale. Anche la scelta del museo è stata in linea con la celebrazione di un percorso professionale, dedicato per l’appunto a Cervone”.

La scelta della location, il museo di arte antica di Villa Vecchia, è pertinente all’intenzione dichiarata di esaltare la vera arte, in antitesi e in aperta diaspora con quell’arte contemporanea spesso troppo frivola e svuotata anche della tecnica?
Luigi Cervone: “Si. La scelta della location, in linea con il mio ideale di continuità tra passato e presente, ha incarnato fisicamente la mia critica verso l’arte contemporanea. Quest’ultima oscilla principalmente tra due poli: da una parte la tecnica esasperata degli iperrealisti che, inevitabilmente, cadono in una sorta di ripetizione sempre dello stesso lavoro. Cosa che va, in qualche modo, a svilire il significato dell’opera. Dall’altra parte c’è il portare al massimo rilievo il concetto o il messaggio, sacrificando la tecnica. Non c’è più tecnica dell’artista che, comunque, è un individuo che sporca le proprie mani e che lavora la materia con le proprie mani. Ci deve essere necessariamente una sorta di trasmissione fisica tra l’artista e la sua opera. La centralità del ruolo dell’artista deve essere confermata anche nella responsabilità della sua produzione finale. Per questo l’artista deve essere artefice dell’opera a tutto tondo. Il demandare il senso di un’opera a terzi riduce quell’intimo rapporto tra l’artista e la sua opera, interrompendo quella trasmissione emotiva che in realtà esiste anche a livello fisico”. 
Cecilia Paolini: “È vero: la scelta della location è stata proprio condizionata dalla riflessione che Cervone porta avanti da sempre. E cioè dalla considerazione che l’arte contemporanea risulta troppo spesso o svincolata dal significato stesso di arte che, derivando dalla parola greca Tecnè, presuppone, appunto, una conoscenza e un’applicazione della tecnica. Oppure accade che l’arte diventi puro esercizio di stile iperrealista, quando non è supportata da un significato semioforo e sostanziale. Quindi, la scelta del museo, si giustifica con la volontà di porsi in contrasto a un’arte contemporanea che soffre una sorta di sindrome di sdoppiamento: da una parte, senza tecnica e di puro concetto. Dall’altra, un’arte spettacolare e tecnicamente perfetta che, però, ha perso la dimensione del linguaggio e della comunicazione. Cadendo il binomio tecnica-significato semioforo, vengono a mancare proprio i pilastri grazie ai quali è possibile stabilire che un oggetto sia arte e non artigianato”.

Diversi i richiami ai grandi maestri della pittura e diverse le correnti filosofiche e letterarie sapientemente plasmate e integrate nelle tele. Qual è la lezione da apprendere o il messaggio da cogliere tra le corde? Il ritorno alla vera arte passa per i classici?
Luigi Cervone: “L’arte non si crea ‘ex novo’. È un fattore di stretta continuità tra presente e passato. Dal punto di vista artistico e della tecnica in particolare, il passato non deve essere mai cancellato né rinnegato. Ma conosciuto, analizzato e appreso affinché gli artisti possano colmare l’esperienza contemporanea con la lezione dei grandi ‘pilastri’ dell’arte antica. Ben venga, dunque, l’accostamento delle mie opere con i grandi maestri del passato. Anche perché l’uomo è lo stesso: nei millenni è cambiato pochissimo. Per questo la lezione dei ‘classici’ è attualissima: tutt’oggi l’uomo moderno può immedesimarsi e sentire affinità nell’espressione dei sentimenti nei versi che, ad esempio, Orazio recitava secoli fa. L’arte è la sublime  capacità di suscitare emozioni nell’uomo. Per questo non può esistere distinzione tra arte antica e arte moderna o contemporanea”.
Cecilia Paolini: “Il messaggio della mostra è prettamente quello di far tornare a vivere il significato autentico della vera arte. E questo è possibile attraverso l’interpretazione dell’iconografia e della tecnica antica, con un sentimento che chiaramente deve essere contemporaneo. L’arte contemporanea deve parlare il nostro linguaggio e deve essere vicina al sentimento contemporaneo affinché possa essere fruibile, ma questo non significa prescindere dalla tecnica artistica e dal concetto filosofico. Perché l’arte è, comunque, un linguaggio. Linguaggio che dovrebbe essere universale: comprensibile e accessibile a tutti, anche attraverso la mediazione di un critico. L’obiettivo della mostra è, dunque, proprio quello di dimostrare che non esiste distinzione tra arte antica, moderna e contemporanea. Poiché esiste solo un’arte: quella con la ‘A’ maiuscola”.

Il sodalizio con l’A.I.S.M. e l’obiettivo di promuoverne e sostenerne l’attività com’è nato?   
Cecilia Paolini: “Il connubio con l’A.I.S.M. nasce grazie all’incontro diretto tra Daniela Semprebene, critica dell’arte e storica secentista, e i lavori di Luigi Cervone. Il rapporto con la Semprebene, la quale è affetta da anni dalla sindrome della sclerosi multipla ed è anche ambasciatrice A.I.S.M., è diventato un vero valore aggiunto al nostro lavoro. La storica, infatti, alla notizia di una mostra personale dedicata ai lavori, alle tesi e alla battaglia di Cervone, si è dimostrata particolarmente sensibile e molto entusiasta a prendere in mano questo progetto e a farne un parallelo sociale con la lotta alla sclerosi multipla. E l’A.I.S.M. ha accettato molto volentieri questo connubio. Ma, voglio sottolineare, il progetto è stato possibile soprattutto grazie all’incontro di due forti sensibilità: da una parte quella artistica, dall’altra quella verso il sociale, incarnate nell’unica persona di Daniela Semprebene. 
Luigi Cervone: “La collaborazione è frutto del lavoro di Cecilia Paolini, curatrice della mostra, e della storica dell’arte Daniela Semprebene. Insieme hanno ideato e dato vita a questo progetto. Dal canto mio, ho accolto l’iniziativa molto favorevolmente. Le mie opere nascono dalla trasformazione della debolezza dell’uomo. E credo che la collaborazione con l’A.I.S.M. sia centrata: chi affronta una malattia simile, deve trovare dentro se stesso la forza necessaria per affrontarla. Io credo poco nell’umanità, ma credo moltissimo nella forza dell’uomo, nella sua capacità di sopportare grandi sacrifici. Credo in ciò che è dentro di lui e che può riuscire a portare fuori. La potenzialità di noi uomini è maggiore di quanto effettivamente riusciamo ad esternare. A volte, l’occasione per portar fuori può passare anche attraverso una malattia. Facendoci scoprire una forza e un coraggio inaspettati, ma che erano già lì, dentro di noi, soltanto sopiti. Finché non arriva il momento di attivarli”.

Il nome della mostra ‘Accintio - La forza di combattere’ va inteso, quindi, nella duplice valenza dell’armarsi e combattere per salvare l’arte e per sconfiggere la malattia?
Luigi Cervone: “Si, è esatto. Accintio è un termine che lessi in un romanzo storico e che mi piacque molto. Restai particolarmente colpito e affascinato da tutta la ritualità del combattente che si doveva preparare alla lotta. Fisicamente ma anche spiritualmente. Infatti, oltre a indossare fisicamente le armi, prima di un combattimento occorre preparasi spiritualmente, poiché lo scontro potrebbe costare anche la vita. In occasione della mostra, il titolo, estrapolato da una mia opera omonima, è stato in parte modificato. E ‘l’illusione di combattere’ è stata sostituita con ‘la forza di combattere’. Nell’opera si intravede un uomo di spalle, che cerca di rialzarsi dopo essere crollato. Credo che il gesto del risollevarsi sia proprio l’atto che richieda più forza. Rialzarsi da terra è la vera dimostrazione di forza e di coraggio. Assaporando la caduta si può trovare la forza di sconfiggere le proprie debolezze e di approdare a quell’equilibrio tra forza e debolezza. L’atto di armarsi, quindi, non è altro che il momento in cui ci si prepara ad affrontare il quotidiano combattimento della vita. Per questo abbiamo sostituito il concetto di ‘illusione’ con quello di ‘forza’: anche se ‘illusione’ è da intendere, foscolianamente, come qualcosa di vitale e in cui impegniamo tutti noi stessi – non volevamo dare la sensazione di remare contro gli obiettivi dell’A.I.S.M. Anche perché il messaggio è proprio quello di non abbandonare la lotta, ma di trovare la forza di rialzarsi e di sconfiggere il nemico”. 
Cecilia Paolini: “Sì, è da intendere in questa duplice valenza. Come ha spiegato Luigi Cervone abbiamo trasformato il titolo, così  il concetto dell’illusione è stato  cambiato in forza. Nel rispetto del concept iniziale, quindi, abbiamo voluto veicolare, all’interno del messaggio artistico, anche un messaggio sociale”.

L’arte può diventare, quindi, ‘missione’ o ‘messaggio’? Una ‘versione salvifica’, che può essere di aiuto agli altri?
Luigi Cervone: “Certamente. La vera arte nasce dai veri artisti. E questi ultimi, a mio avviso, sono coloro che con l’intuizione riescono ad ‘arrivare’ prima degli altri. Se si riuscisse a conferire maggior spazio ed importanza agli artisti, sicuramente ne godrebbe la cultura, in particolare, e, in generale, tutta la collettività. L’arte ha un ruolo di primaria importanza: tratteggia la sensibilità di un’era e si fa ambasciatrice di valori. Ma è anche e soprattutto, momento di condivisione, di rilassatezza, di benessere e di speranza. L’immagine arriva in maniera molto diretta ed è sicuramente più efficace delle parole. Perciò potrebbe essere di aiuto. A tutti, ma soprattutto alle persone in difficoltà”.     
Cecilia Paolini: “Assolutamente sì. Ed è la nostra scommessa. Quello che si voleva dimostrare anche dal punto di vista dell’allestimento. Il Museo di Villa Vecchia ha molti punti di non accessibilità. Per questa occasione abbiamo scelto un percorso che potesse essere accessibile a tutti. E a qualsiasi persona dotata di diversi gradi di mobilità. Oltre il sostegno all’A.I.S.M., volevamo dimostrare che impegno, volontà e attenzione per gli altri, possono far sì che un evento venga fruito da tutti. In qualsiasi luogo, anche in un luogo storico e anche in uno spazio che non è stato pensato per accogliere tutte le tipologie di mobilità. Il nostro obiettivo era quello di riuscire a creare un momento di ‘barriere abbattute’, sperando di diffondere la consapevolezza che non ci devono essere eventi ad accessibilità limitata. Soprattutto nei momenti sociali e di arte che devono prevedere l’accessibilità di qualsiasi persona e di qualunque grado di mobilità. L’importanza sociale che abbiamo voluto dare all’evento, quindi, non consiste soltanto nel sostegno all’A.I.S.M., volendosi configurare, infatti, come un momento sociale di gioia, di serenità e di scambio di auguri, visto che la mostra è durata per tutto il periodo delle vacanze di Natale”.

In che modo avete ‘abbattuto’ le barriere architettoniche? Il Museo Vecchio di Villa Doria Pamphilj presenta diversi punti di difficile accessibilità. Limitandoci soltanto all’ingresso, ad esempio, non si può non accorgersi come questo sia dominato da un’imponente scala.
Cecilia Paolini: “L’ingresso del museo è dotato di una scalinata. Per questo abbiamo previsto anche un secondo ingresso, dal giardino. Il giardino, quindi, è stato ottimizzato da una guida che prevedesse sia il deambulatore che le sedie a rotelle, in totale sicurezza. Ma per ovviare al problema delle scale, è stato ripristinato anche l’ascensore. Inoltre abbiamo predisposto anche un servizio di accompagno e di accessibilità a tutti. Abbiamo misurato tutte le sale e abbiamo escluso dall’allestimento sia tutte quelle che presentavano un’ulteriore scalea, non accessibile attraverso l’ascensore, sia quelle che non avevano spazio sufficiente per permette il passaggio tanto del deambulatore che della carrozzella”.
Luigi Cervone: “Cecilia Paolini si è occupata dell’abbattimento ‘fisico’ delle barriere architettoniche. Io di quelle emotive. In quasi tutte le mie tele sono inserite delle corde, che sono metafora di tutti i vincoli, di tutte le costrizioni e di tutto ciò che impedisce all’essere umano di espandersi nella propria potenzialità o di realizzarsi secondo la propria natura. Per essere liberi e per essere uomini, bisogna spogliarsi di questi condizionamenti che ci ingabbiano. E il fatto di aver rappresentato le corde un po’ allentate è la dimostrazione che ciò può avvenire e che l’uomo è in grado di sciogliere questi vincoli, di liberarsi e di uscirne vincitore”.

In che modo, invece, la mostra ha sostenuto concretamente l’A.I.S.M.?
Luigi Cervone: “Il ricavato ottenuto dalla vendita dei cataloghi è stato devoluto interamente all’Associazione. Inoltre, in molti tra gli ‘addetti ai lavori’ hanno rinunciato al loro compenso per donarlo all’A.I.S.M.”.
Cecilia Paolini: “Donando all’associazione l’intero ricavato ottenuto dalla vendita dei cataloghi. Trattandosi di un contributo e di un sostegno per l’A.I.S.M., la donazione era libera. Dopo una sola settimana i cataloghi erano già terminati e abbiamo dovuto organizzare la ristampa. Questo ci inorgoglisce perché ci da la speranza di essere riusciti a centrare l’obiettivo di sensibilizzare sui due problemi sollevati: sul panorama artistico contemporaneo, ma soprattutto verso un tema molto forte, come quello della lotta contro le malattie autoimmuni e, in particolare, della sclerosi multipla. Sostegno concreto è pervenuto inoltre anche dalla Daphne museum – la casa editrice che si è occupata della realizzazione dei cataloghi – e il suo Direttore Luigi di Vaia, che ha abbracciato e sostenuto il progetto a 360 gradi: nessuno ha accettato la retribuzione per il lavoro svolto. Così, anche la donazione destinata alla casa editrice è stata devoluta all’A.I.S.M.”.

Qui sotto l'opera che è stata utilizzata per realizzare il manifesto della mostra. Di seguito altre due tele di Luigi Cervone.

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Luigi Cervone, classe ’73, nasce a Napoli e oggi vive e lavora ad Agrigento.Laureato in giurisprudenza e avvocato promettente, abbandona presto la carriera forense per dedicarsi interamente all’arte, mondo da cui viene inesorabilmente affascinato. Autodidatta attento, eclettico e curioso, resta permeato dai più disparati studi – artistici, letterari, filosofici – che fonde poi, plasmandoli in luci, linee e forme, nelle sue opere.Non ama definirsi ‘artista’ e non esprime giudizi sulla sua arte, che vive, in primis, come espressione e realizzazione del suo mondo interiore.
Ai ‘lettori’ delle sue tele, il piacere di lasciarsi suggestionare e di valutarne i meriti.  
Sito internet: www.luigicervone.com


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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