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27 Aprile 2024

Alexandra Andresen: "Raffaello 1520-1483: una mostra unica e irripetibile"

di Arianna De Simone
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A poco più d’un mese dalla chiusura, vi sveliamo il dietro le quinte dell'esposizione più seguita del 2020 avvalendoci dell'esperienza professionale della Responsabile Ufficio Mostre presso le Scuderie del Quirinale dal marzo 1999 sino al luglio scorso
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Laureata in Storia dell’Arte presso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma e specializzata in restauro e conservazione della carta, Alexandra Andresen è un'esperta che ha lavorato per l’Iccrom (International Centre for conservation and restoration of cultural Property, ndr), l'organismo internazionale dell’Unesco. Dopo un’esperienza decennale come redattore presso l’Enciclopedia italiana ‘Treccani’ e un master in ‘Tecniche di comunicazione’ patrocinato dal ministero del Lavoro e dall'Unione europea, dal marzo 1999 al luglio 2020 ha offerto le sue competenze alle Scuderie del Quirinale come Responsabile Ufficio Mostre. Socio dell’Ieo (International Exhibition Organizers group), dal 2007 collabora ai lavori del Comitato tecnico europeo ‘Conservation of Cultural Property: transport and packing methods’, per lo studio e la definizione della normativa Ue nel settore dell’imballaggio e del trasporto dei beni culturali. Dal 2008 insegna Museologia per il turismo mediterraneo, presso la facoltà di Economia del Turismo della ‘Fondazione Campus Studi del Mediterraneo’ di Lucca. Inoltre, dal 2018, la Andresen insegna anche Organizzazione degli eventi artistici e culturali presso la Scuola di specializzazione in Beni storico-artistici de 'La Sapienza' di Roma. Insieme a lei, abbiamo voluto approfondire molti aspetti tecnici della storica rassegna dedicata ai 500 anni dalla scomparsa del grande Raffaello, tenutasi presso le Scuderie del Quirinale sino al 30 agosto scorso.

Alexandra Andresen, ‘messa al buio’ ai primi di marzo causa Covid e ‘risvegliatasi’ il 2 giugno dopo il ‘lockdown’, la mostra Raffaello 1520-1483 si è conclusa lo scorso 30 agosto, terminando definitivamente la propria ‘avventura’: che bilancio sente di trarre da questa esperienza?
“Considerando quanto è accaduto, il bilancio è ottimo. Una mostra così importante, che ha richiesto due anni e mezzo di preparazione, che apre per soli tre giorni e poi chiude per l’emergenza Covid: quello è stato un momento sconcertante per tutti noi. Il direttore, i dipendenti, tutto lo staff, per diversi mesi, si è confrontato con l’ipotesi preoccupante che la mostra potesse chiudere definitivamente, che le opere dovessero tornare a casa dopo tre mesi di giacenza al buio senza che nessuno le avesse potute vedere. Siamo stati molto preoccupati, anche perché, mese per mese, questa riapertura veniva rimandata. Abbiamo davvero temuto che la mostra potesse non riaprire, come successo in moltissime altre parti d’Europa e d’Italia: opere arrivate in cassa e mai aperte, rimaste bloccate per due/tre mesi e poi rispedite a casse chiuse. Oppure, mostre montate o in fase di montaggio, bloccate, smontate e rimandate indietro”.

Come hanno reagito i prestatori di fronte alla chiusura e, in seguito, alla riapertura?
“Noi abbiamo avuto la fortuna – che ci siamo anche un po’ guadagnati – di poter contare sul sostegno di tutti i prestatori. Si consideri che erano 60, per un totale di 200 opere: non ce ne è stato uno che abbia negato l’autorizzazione alla proroga del prestito. Certamente, ha contato la fiducia che le istituzioni hanno nei confronti delle Scuderie del Quirinale. Ma è altrettanto vero che, una volta concesso il prestito e accettati i rischi che la movimentazione e il viaggio delle opere necessariamente comportavano, era naturale desiderare che l’opera stessa partecipasse all’evento, in special modo quando si tratta di una mostra così unica e irripetibile. Un altro aspetto che ha favorito le autorizzazioni alla proroga è consistito nelle ottimali condizioni conservative garantite dalle Scuderie. In vent’anni di attività, ci siamo guadagnati la fiducia dei prestatori, ma ha certamente contato il modo in cui abbiamo gestito questa situazione straordinaria, rassicurando e tenendo i proprietari costantemente informati sullRaffaello_Scuderie.jpgo stato conservativo delle opere e sulle decisioni relative a esse, attraverso una comunicazione trasparente e tempestiva”.
        
Potrebbe farci un esempio?
“Per soddisfare la forte pressione dei visitatori, a un certo punto abbiamo deciso di allungare l’orario di apertura al pubblico, estendendolo dalle 9-20 alle 8-23. Il numero di ore in cui le opere sarebbero state esposte alla luce era oggettivamente aumentato, perciò abbiamo informato tutti i prestatori. In questo modo, chi avesse voluto, avrebbe potuto chiederci di adottare misure di sicurezza aggiuntive. Ed è ciò che è successo: in un caso, un prestatore ci ha chiesto di coprire il proprio disegno con un drappo nero, così da proteggere l’opera e, al tempo stesso, consentirne all’occorrenza la visione. Naturalmente lo abbiamo fatto subito”.

Durante la ‘messa al buio’, quali misure sono state adottate per garantire il benessere delle opere?
“Le Scuderie hanno risposto all’emergenza mettendo subito in sicurezza le opere, spegnendo le luci, coprendo tutti i manoscritti e i disegni con panni neri, organizzando controlli periodici da parte dei restauratori. Quando una mostra è aperta, infatti, le opere vengono ‘tenute d’occhio’ quotidianamente da restauratori, registrar, guardia-sala, direttore e visitatori. Con una mostra ‘addormentata’ in quel modo, messa sotto ai panni, c’era il rischio che qualcosa potesse sfuggirci. Pertanto, abbiamo chiesto ai nostri restauratori di aumentare la frequenza dei controlli periodici, del ‘giro di controllo’ sulle opere, che eseguivamo anche io così come il direttore. In più, abbiamo potuto contare sui tecnici addetti, che hanno costantemente monitorato il funzionamento del sistema di climatizzazione delle sale e delle vetrine, tenendo sotto continuo controllo temperatura e umidità. Dal punto di vista conservativo e della sicurezza, le Scuderie hanno sempre agito prontamente e benissimo”.

E la climatizzazione delle sale? E' rimasta attiva?
“Sì: la climatizzazione nelle sale è stata mantenuta costantemente attiva. La climatizzazione subisce degli sbalzi quando ci sono molti visitatori, che entrano negli ambienti e portano umidità e calore. Essa può, tuttavia, subire oscillazioni anche in caso di repentini cambiamenti climatici esterni. Questo accade perché l’aria utilizzata per la climatizzazione delle sale viene comunque dall’esterno. Le macchine prendono l’aria esterna, la condizionano e la mandano nelle sale. Se, tuttavia, c’è una variazione molto forte, di umidità per esempio, l’impianto corregge il valore, ma impiega alcune ore nel farlo. Per tale motivo, abbiamo fatto ricorso a un presidio fisso, che potesse eventualmente intervenire tempestivamente. Esistono, infatti, dei ‘parametri standard’ internazionali in questo tipo di problemi: per la temperatura è generalmente consentita un’oscillazione di un grado e mezzo in più o in meno nell’arco delle 24 ore, per l’umidità del 5-7% in meno o in più sempre nelle 24 ore. In caso di grandissima affluenza, può capitare che gli sbalzi climatici siano superiori agli standard, ma se si interviene tempestivamente non succede nulla. Le opere sono abituate agli sbalzi di temperatura. Noi, però, ci trovavamo di fronte a opere che erano state prestate per soli 3 mesi e che, invece, sono rimaste fuori dal loro contesto abituale per 6. Ecco perché siamo stati particolarmente attenti”.

Secondo la sua esperienza, le modalità di visita sperimentate per gestire il flusso di visitatori durante l’emergenza sanitaria hanno condizionato la fruizione della mostra in positivo o in negativo?
“Positivamente, per lo più. La visita durava 75 minuti e sappiamo, da dati statistici, che abitualmente il visitatore ‘medio’ non dedica più di 1 ora-1 ora e un quarto alla visita delle mostre alle Scuderie del Quirinale. In ogni caso, anche se contingentato, il tempo è risultato sufficiente a garantire la piena e sodisfacente visione della mostra a gran parte dei visitatori. Inoltre, visto che anche gli ingressi erano contingentati, chi entrava nelle sale aveva modo di godere di ciascuna opera pienamente. I visitatori, sala per sala, infatti, erano pochi: di media 8 persone per sala. Da questo punto di vista, l’emergenza sanitaria, paradossalmente, ha offerto al visitatore ‘medio’ una fruizione ottimale. Chi ne ha sofferto, invece, sono stati gli studiosi e gli appassionati, amatoriali o professionisti, abituati a passare molto tempo all’interno di una mostra, ripercorrendola anche all’indietro, oppure soliti fermarsi in una sala piuttosto che in un’altra. Questa elasticità, purtroppo, è venuta meno e qualcuno avrà sicuramente sofferto di avere un numero di minuti ‘fisso’ per ogni sala, senza alcuna deroga”.

Per garantire l’ingresso in mostra a più pubblico possibile avete gradualmente allungato l’orario di visita, arrivando addirittura a essere aperti, negli ultimi tre giorni, 24 ore su 24: come siete giunti a simili decisioni?
“Alle Scuderie, per motivi di sicurezza e per garantire la qualità di fruizione, c’è un limite: un numero massimo di visitatori che può accedere alle sale. Per questo motivo, in caso di numerose richieste di accesso, si è talvolta deciso di allungare l’orario di visita e di organizzare aperture serali speciali, come per esempio per le grandi mostre dedicate a Caravaggio, a Frida Kahlo e a Raffaello. Il prolungamento dell’orario di apertura al pubblico costituisce, tuttavia, un costo aggiuntivo: guardia-sala, illuminazione, vigilanza e altre spese. Insomma, tenere aperto uno spazio espositivo più a lungo dell’orario inizialmente stabilito, significa aumentare i costi di gestione. Inoltre, anticipare l’apertura la mattina o posticipare la chiusura comporta una contrazione di tutte le attività solitamente svolte nelle ore di chiusura al pubblico: pulizie, controlli dei restauratori, eventuali interventi conservativi, manutenzioni generiche o straordinarie. Anche quando la mostra è chiusa al pubblico, il palazzo resta attivo”.

Veniamo, ora, al ‘cuore’ della mostra: quali sono stati i prestiti più difficili da ottenere?
“La mostra, che ha impegnato lo staff delle Scuderie del Quirinale per più di due anni, ha richiesto una lunga campagna di prestiti e trattative delicate: non è semplice fare una classifica. Si tratta, nella totalità, di opere importantissime, di capolavori insostituibili. I contratti di prestito contenevano, inoltre, specifiche e rigorosissime modalità di imballaggio, trasporto e movimentazione, sulle condizioni microclimatiche delle sale espositive - luce, temperatura e soprattutto umidità - e sul sistema di allestimento. Devo dire che è stato molto impegnativo convincere i prestatori a dire di sì, ma anche garantire tutte le condizioni richieste, diverse per ogni prestatore”.

E le opere più complesse da movimentare? Quali sono state?
“Senz’altro gli arazzi, per una questione di dimensione e di fragilità: si tratta di tessuti antichissimi, uno dei due esposto in obliquo proprio per ragioni conservative. Le altre opere erano tutte di formato relativamente contenuto, perciò non abbiamo avuto grossi problemi tecnici di movimentazione. Più complesso si è rivelato, invece, l’allestimento”.


Cosa intende?
“Per alcune opere su carta e manoscritti, per esempio, abbiamo dovuto far realizzare singole vetrine dotate di un proprio sistema di climatizzazione, con motori attivi capaci di garantire, per ciascuna, temperatura e umidità differenti. Date le diverse provenienze (60 le istituzioni coinvolte), la natura e i materiali delle opere esposte, era impossibile garantire, nelle sale, valori ‘termo-igrometrici’ che soddisfacessero le diverse richieste: ogni opera aveva bisogno di una diversa climatizzazione. Vi faccio un esempio: mentre i dipinti possono essere generalmente esposti a 150-250 lux, le opere su carta richiedono un’esposizione non superiore ai 50 lux. E, per alcune di queste, sono stati chiesti addirittura 40 lux: praticamente al buio...”.

Parliamo ora dell’allestimento: quali sono stati, secondo lei, i punti di forza e quelli di debolezza?
“Ho trovato il progetto di allestimento raffinato, armonico, molto accogliente: dalla scelta dei colori, al disegno delle vetrine; dalla grafica, al sistema di illuminazione. Non è stato un lavoro semplice, proprio per le differenti richieste dei prestatori, che sono stati estremamente esigenti. Un punto di forza è stata anche l’idea di utilizzare riproduzioni in fac-simile, sia della tomba di Raffaello al Pantheon, sia del cartone raffigurante il ‘Sacrificio di Listra’. La ‘Factum Arte’, ditta spagnola specializzata nella creazione di copie ad altissima definizione, si è dimostrata di grandissimo livello: la resa è stata eccezionale, soprattutto per il cartone: era difficile distinguere l’originale dalla copia. Punto di debolezza: il grande numero e la grande varietà delle opere esposte. La presenza in mostra di moltissimi disegni, oltre ai reperti archeologici, agli arazzi, ai cartoni preparatori e ai dipinti - con le conseguenti diverse esigenze conservative e la necessità di realizzare molte vetrine singole - ha reso indispensabile la moltiplicazione delle pareti, restringendo gli spazi fisici. Questa riduzione degli spazi avrebbe certamente causato un problema se l’affluenza del pubblico fosse stata quella prevista: ci sono sale nelle quali sarebbe stato davvero problematico gestire considerevoli flussi di visitatori. Tittavia, pur nella sfortuna dell’emergenza provocata dal Covid 19, siamo stati ‘fortunati’: quando abbiamo riaperto non abbiamo mai avuto un numero eccessivamente alto di visitatori. La necessità di contingentare il pubblico per motivi di sicurezza sanitaria, limitando ad un massimo di dieci il numero dei visitatori presenti in ciascuna sala, ha reso la visita molto fruibile. Vi dico solo che, originariamente, nei mesi ‘pre-Covid’, prevedevamo di avere in media oltre 2.500 visitatori al giorno. Invece, nel periodo post-Covid, il numero medio giornaliero è stato di circa 1.800 visitatori. Alla riapertura, abbiamo sempre fatto ‘sold-out’, ma il numero di visitatori è stato nettamente inferiore a quanto previsto inizialmente”.
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Tra i punti di forza, lei ha citato l’utilizzo delle riproduzioni in fac-simile della tomba al Pantheon e del cartone preparatorio raffigurante il ‘Sacrificio di Listra’: come sono state realizzate queste copie? E cosa pensa del rapporto tra queste e gli originali?
“Esistono molti
modi per realizzare copie. In questo caso, sia il complesso architettonico e scultoreo della tomba di Raffaello sia il cartone preparatorio - impossibilitato a viaggiare per motivi di fragilità - entrambi inamovibili, sono stati riprodotti attraverso una scansione laser molto accurata. Per la tomba, per esempio, sono servite ben tre notti per scansionare l’intero complesso. Questa stessa procedura è stata adottata anche per riprodurre il grande cartone conservato al ‘Victoria&Albert Museum’ raffigurante il ‘Sacrificio di Listra’ (350x540 centimetri). Una volta acquisita la scansione laser in 3D, di altissima definizione, l’immagine è stata riprodotta in scala 1:1, identica all’originale. Credo che le copie siano uno strumento utile solo ed esclusivamente quando riproducono opere inamovibili, quando cioè la loro presenza ha un valore importante nell’ambito del percorso scientifico della mostra e quando viene chiaramente indicato che si tratti di copie. Quest’ultimo punto è fondamentale, poiché migliore è la qualità delle riproduzioni, più è difficile, soprattutto per un pubblico non esperto, distinguere la copia dall’originale. Proprio per non creare tale ambiguità, trovo che sia importantissimo comunicare al pubblico che si tratti di una copia”.

Riproduzioni di tale qualità avranno richiesto una spesa importante da parte dell’ente organizzatore: una volta conclusa la mostra, queste copie dove sono andate a finire?

“La copia del cartone raffigurante il ‘Sacrificio di Listra’ è di proprietà della società ‘Factum Arte’ a cui, terminata la mostra, è stata restituita, mentre la copia tridimensionale a grandezza naturale della tomba di Raffaello nel Pantheon a Roma, è stata richiesta dal Comune di Urbino”.

‘Dietro le quinte’ di una mostra opera una figura professionale poco nota al grande pubblico ma cruciale, come il ‘registrar’: potrebbe parlarcene?
“Il ‘registrar’ è una ‘figura-chiave’, poiché è la persona che si occupa di tutti gli aspetti tecnici e organizzativi legati al prestito delle opere d’arte. I compiti affidati al 'registrar' possono variare in rapporto alle dimensioni del museo o istituzione per cui lavora e alla sua organizzazione interna. L’organizzazione di una mostra può richiedere la presenza di uno o più ‘registrar’. La gestione di un’esposizione, infatti, può rivelarsi molto complessa: la mostra di Raffaello, per esempio, ha richiesto un team di tre persone. Quella del ‘registrar’ è una professione complessa, che richiede grande precisione, ma anche flessibilità. Il ‘registrar’ deve mettere insieme le esigenze del curatore della mostra con quelle dei prestatori e dello spazio che la accoglie, coordinando il lavoro di tutta una serie di professionisti specializzati (assicuratori, restauratori, trasportatori, allestitori, responsabili della didattica, editori e via dicendo), che devono agire in sinergia e in tempi molto stretti. È fondamentale, perciò, che chi si occupa di tutte le decisioni sottese allo spostamento di un oggetto d’arte da una sede all’altra sia un professionista che sappia tutelare le opere ‘in movimento’. Questo, forse, è uno degli aspetti più sottovalutati, ma al tempo stesso dei più importanti. 'Skills' fondamentali: la capacità di lavorare in team e di coordinamento. Anche la conoscenza delle lingue straniere, l’inglese in particolare, è molto importante: la maggior parte dei contratti sono in inglese, che è la lingua più usata nel mondo dell’arte. Conoscere le lingue è necessario, perché uno degli aspetti fondamentali di questo lavoro è la comunicazione, ovvero la capacità di comprendere esattamente quali sono le richieste dei prestatori – di ogni parte del mondo – diversi da noi per cultura, tradizione e formazione. La capacità di interagire e di comunicare con persone diverse è una condizione necessaria per svolgere bene il proprio lavoro, così come l’attitudine al ‘problem solving’: per usare una metafora, organizzare una mostra è come affrontare una corsa ad ostacoli. Laggiù, al traguardo, c’è la data di inaugurazione, ma davanti hai una serie di ostacoli - prestiti rifiutati, valori assicurativi altissimi, difficoltà organizzative varie – che uno dopo l’altro è necessario superare, per raggiungere il risultato”.

Domanda conclusiva: lei crede che questa esperienza potrà, in qualche modo, ‘fare scuola’?
“Questa esperienza ha ‘fatto scuola’. In merito, abbiamo avuto riscontri positivi anche da istituzioni e musei. La gestione dell’emergenza e, soprattutto, della riapertura al pubblico ha previsto una serie significativa di variazioni nelle modalità di accesso e di prenotazione, tutto rigorosamente ed esclusivamente on line per poter controllare l’ingresso reale e i numeri dei visitatori. È stata messa a punto anche una ‘segnaletica speciale’ per i visitatori, oltre a una serie di sistemi di sicurezza: dal tappetino igienizzante per le scarpe, alla misurazione automatica della temperatura; dall’obbligo della mascherina, ai gel igienizzanti per le mani collocati in posizioni strategiche. Tutto questo è stato oggetto di un attento studio e di aggiustamenti in corso d’opera che, a tutti gli effetti, hanno fatto scuola: molte istituzioni ci hanno riferito che avrebbero seguito il nostro esempio. Non ultimo, estremamente interessanti si sono rivelate tutte le attività ‘nuove’, messe in atto per la prima volta durante lo smontaggio della mostra. Molti prestatori, infatti, non hanno potuto mandare i loro corrieri a ritirare le opere: dagli Stati Uniti, per esempio, non è venuto quasi nessuno, ma anche dall’Inghilterra. Così, attraverso gli Ipad sono stati monitorati, in tempo reale, il disallestimento dell’opera dalla parete, il controllo del suo stato conservativo e la messa in cassa, in modo che il corriere potesse seguire tutte le operazioni seppur da remoto. La gestione dello smontaggio e della restituzione delle opere alle sedi d’origine rappresenta, dunque, un’importante novità. Anche in termini di contenimento dei costi, che per una mostra come ‘Raffaello 1520-1483’ sono significativi. Faccio un altro esempio: far venire un corriere dagli Stati Uniti è molto costoso (pensiamo ai biglietti aerei ‘open’ a carico dell’organizzatore...); monitorare da remoto l’arrivo dell’opera e il suo allestimento, sia in fase di apertura, sia di chiusura della mostra, evitando la presenza fisica del corriere. Tutto ciò è importantissimo per l’organizzatore di mostre, perché consente di contenere una voce di costo molto alta. Infine, voglio aggiungere che la mostra ‘Raffaello 1520-1483’ è stata, sia dal punto di vista scientifico, sia tecnico, un’esperienza unica e, forse, irripetibile. Tutto questo è stato possibile solo grazie alla professionalità e alla passione di tutto lo staff delle Scuderie del Quirinale”.
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