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16 Aprile 2024

Una Cenerentola senza meraviglia

di Giorgio Morino
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Una Cenerentola senza meraviglia

Dopo più di 70 anni dall’uscita nelle sale dell’originale cartone animato, la Walt Disney Pictures decide di rispolverare un suo classico senza tempo. Nonostante l’impegno profuso e il rispetto nei confronti del film originale, il risultato non è travolgente come ci si potrebbe aspettare

Cari spettatori, lasciate ogni speranza voi che entrate: il fantasma dell’originale cartone animato del 1950 è forte, sempre presente, e impedisce di costruire quel distacco emotivo necessario per apprezzare lo sforzo degli autori di creare qualcosa di innovativo e in linea con i tempi.
La storia è sempre quella della giovane Ella (il nomignolo Cenerentola le sarà “affibbiato” solo a metà pellicola), una bellissima e giovane orfana che è costretta a subire le angherie e i soprusi della malvagia matrigna, Lady Tremaine, e delle sorellastre Anastasia e Genoveffa. La giovane fanciulla, che nonostante la cattiveria che la circonda riuscirà a mantenere intatta la propria anima gentile e altruista, vedrà cambiare la propria vita quando in tutto il regno, per ordine del re, ogni giovane ragazza in età da marito sarà invitata a partecipare al gran ballo al palazzo reale, dove il giovane principe Kit dovrà scegliere la sua futura sposa.
Nonostante alcuni cambiamenti nello svolgimento, la trama è esattamente quella che tutti ricordiamo, con svariati rimandi alla favola originale di Charles Perrault (come il rapporto di Ella con i genitori) e al classico di animazione del 1950 (la scena della trasformazione della zucca in carrozza e il ruolo dei topolini amici della protagonista). La sensazione è quindi quella di trovarsi davanti qualcosa di incredibilmente famigliare, qualcosa che già si conosce ma che riesce comunque ad apparire diverso, “moderno” per usare questo orribile vocabolo che tanto merito sottrae a quanto di buono il passato ci ha consegnato.
Per cercare di “svecchiare” una favola come Cenerentola in casa Disney hanno deciso di affidarsi a Kenneth Branagh, già regista di Molto Rumore per nulla, Frankenstein, Thor e con una lunghissima  carriera nel teatro shakespeariano alle spalle. Proprio i trascorsi teatrali del regista sono facilmente individuabili nella pellicola: le scene sono organizzate come se si svolgessero su un palcoscenico, passando da un ambientazione all’altra, quasi si stesse assistendo a un cambio di scena e non a uno svolgersi fluido dell’azione in un unico ambiente. Si tratta di uno stile molto ricercato, virtuosistico in un certo senso, che tutto sommato si adatta bene allo sviluppo della trama e all’ambientazione. Quello che invece lascia quantomeno perplessi è la scelta dell’attrice protagonista: la giovane Lilly James (conosciuta per lo più per la sua interpretazione nel serial televisivo britannico Downton Abbey) risulta quantomeno impostata e mono espressiva (oltre che, a parere di chi scrive, eccessivamente mascolina nei tratti rispetto alla protagonista del cartone animato). Discorso diverso va fatto invece per Cate Blanchett, chiamata a vestire i raffinatissimi panni della matrigna Lady Tremaine e che è stata in grado di rendere autentica la perfidia di questa donna invidiosa della figliastra, disposta a tutto pur di ottenere benefici e ricchezze per lei e le sue figlie.
In questo senso un plauso particolare va fatto agli sceneggiatori che sono riusciti a modificare alcune parti lacunose del racconto tradizionale, ampliando e approfondendo personaggi come il principe azzurro, il re e il granduca senza ridurli a semplici comparse funzionali al procedere delle vicende, creando una sottotrama intrigante con al centro gli interessi politici attorno alla successione al trono. Gli stessi animaletti amici della protagonista, realizzati in computer grafica, sono delle spalle davvero piacevoli e mai eccessivamente invadenti, specialmente perché espressivi senza bisogno di parlare o cantare.
Quello che manca a questa pellicola è però quella sorta di “meraviglia” che il classico originale è stato in grado di regalare al mondo. Quando venne realizzato nel 1950, Cenerentola rappresentava per Walt Disney l’ultima speranza per evitare il fallimento. Lo sforzo profuso fu notevole, così come la passione che si avvertiva in ogni fotogramma e in ogni disegno. Oggi quello che sembra mancare è proprio questa voglia di voler stupire, di mostrare al mondo qualcosa di nuovo e innovativo. Non è la prima volta infatti che la Disney cerca di trasportare i suoi successi animati in “live action”: nel 1996 il capostipite di questo nuovo filone è stato La carica dei 101 – Questa volta la magia è vera, una commedia tutto sommato gradevole, con una straordinaria Glenn Close nei panni di Crudelia Demon. Dieci anni dopo arriva il grande successo con il rifacimento di Alice nel Paese delle Meraviglie, Alice in Wonderland, diretto da Tim Burton, con Johnny Depp nel ruolo del Cappellaio Matto. Il film di Burton non ricalca pedissequamente il classico di animazione omonimo del 1951, mescolandovi sapientemente elementi dell’opera originale di Lewis Carroll proponendoci il “ritorno” di un’Alice più grande nel Paese delle Meraviglie. Il successo commerciale di questa operazione (più di un miliardo di dollari di incasso totale nel mondo) hanno spinto i vertici della Disney a programmare tutta una serie di progetti basati su nuove interpretazioni dei classici più famosi della casa di Topolino: l’anno scorso Maleficent ci ha proposto una nuova versione de 'La bella addormentata nel bosco' in cui la cattiva per antonomasia è in realtà buona (ma come può essere buona una fata che di nome fa Malefica?) stravolgendo il significato stesso di una favola ormai consolidata nel nostro immaginario. Se pensiamo poi che, nel 2016, è già stata programmata l’uscita di un “live-action” su La Bella e la Bestia, il dubbio che in casa Disney le 'buone' idee scarseggiano si dilegua lasciando spazio alla certezza.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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