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10 Ottobre 2024

Hungry hearts: la genitorialità come possesso totalizzante

di Giuseppe Lorin
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Hungry hearts: la genitorialità come possesso totalizzante

Saverio Costanzo colpisce pubblico e critica con un film di indiscutibile fascino, incentrato sulle difficoltà e contraddizioni del ruolo di genitori nella vuota società del Terzo millennio

‘Hungry Hearts’ è la pellicola ‘del momento’: lo affermiamo subito, direttamente, senza infingimenti. Sapientemente diretto da Saverio Costanzo, il film racconta una storia di quotidiana follia, di estremizzazioni totalizzanti, di una concezione della genitorialità possessiva e consumistica. Mina e Jude concepiscono un figlio nella maleodorante toilette di un ristorante cinese. Ma dal momento della nascita, il neonato diviene il fulcro esistenziale della madre, che sostanzialmente esclude il proprio compagno da ogni ulteriore rapporto con essa. ‘Hungry Hearts’ è fame di affetto, carenza d’amore, perdita di punti di riferimento senza alcun rimedio pedagogico, o una qualsiasi forma di equilibrata ‘autoeducazione’. La madre di Jude è la vedova di un cacciatore di cervi e, nella sua casa borghese, trofei e busti impagliati di animali indicano la presenza di armi da caccia. Jude, invece, è il figlio traditore degli ideali di carriera lavorativa paterne, mai perseguite per un complesso di Edipo irrisolto, aggravato dallo ‘stigma’ di dover ‘surrogare’, a tutti i costi, la figura del padre. Mina, infine, è una ragazza vegana con l’ossessione di coltivare verdure e rape rosse in una serra, appositamente costruita sul terrazzo di casa. Il bambino, nato con taglio cesareo, pratica mai definitivamente ‘accettata’ da Mina, non cresce, nonostante il pediatra gli abbia prescritto un’alimentazione ricca di proteine animali. Il mistero viene presto svelato da Jude, che scopre nel bagno un olio, nascosto da Mina poiché ormai ‘posseduta’ dalla propria ‘bronzea’ ortodossia, che impedisce l’assimilazione del cibo e delle proteine prescitte al bambino su indicazione del medico. Mina è ormai in preda a una concezione assoluta di ‘purezza’ che, in realtà, sta danneggiando seriamente il normale sviluppo di suo figlio: un vero e proprio ‘tuffo’ a ‘corpo morto’ di una madre completamente priva di identità, che si affida al veganesimo come unica ‘zattera’ ideologica a cui avvinghiarsi. È una storia di pura follia, di personalità ossessive e ‘borderline’, che trasforma il pubblico in muti testimoni di un’autentica tragedia: quella di una società ormai completamente disorientata, alla deriva, priva di valori, senza più alcun punto di riferimento culturale o identitario. Il regista è abile nel presentarci un film destinato a far discutere. Un’opera in cui non è affatto la tragedia a diventare farsa, bensì precipita ogni presupposto istrionico e farsesco delle scene iniziali in un vero e proprio dramma della modernità, senza eccessive concessioni alla speranza. La semplice scrittura cinematografica, l’immagine a sipario nero, la musica incisiva di Nicola Piovani e la maestria stessa di Saverio Costanzo, al suo quarto film, trascina il pubblico verso modelli da cinema thriller, sin quasi a toccare, in alcuni momenti, persino le note dell’horror. Alba Rohrwacher è Mina, la vegana integrista; Adam Driver è Jude, il marito ingegnere che ricorre alla legge per tentare di ‘salvare’ il proprio figliolo; Roberta Maxwell è la madre di Jude, con il suo incombente e ansioso attaccamento al figlio. L’uso accurato di determinate lenti deformanti rendono impressionante la magrezza della Rohrwacher, specialmente nelle acrobatiche riprese effettuate dall’alto del pianerottolo. Insomma, ‘Hungry Hearts’ è un film dal fascino indiscutibile, che cattura l’attenzione del pubblico senza alcun cedimento, sino alla fine. Ispirato al romanzo ‘Il bambino indaco’ di Marco Franzoso, Costanzo ha saputo trarre un’ingegnosa sceneggiatura all’americana, ideale per i suoi bravissimi attori, che hanno interpretato i rispettivi ruoli con impegno sincero e grande coinvolgimento professionale, rappresentando con talento le molteplici contraddizioni della genitorialità nella vuota società del Terzo millennio, perennemente in bilico tra banalità assurde ed estremizzazioni fatte ‘passare’ come normalità quotidiana dalle sottoculture dominanti.


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