'Io ti salverò' di Alfred Hitchcock è un film geniale, riconosciuto come tale proprio dalla critica italiana: all'interno di un giallo classico appartentemente razionale, ci si ritrova a dover risolvere il ‘caso poliziesco’ solamente dopo aver chiarito quello clinico
Terzo appuntamento con la rubrica di analisi cinematografica 'I grandi maestri', vogliamo dedicare un nuovo capitolo al maestro hitchcockiano. Andando a ritroso nel tempo (dopo 'Vertigo' del 1958 e 'Intrigo internazionale' del 1959), oggi analizziamo un film in bianco e nero del 1945 dal titolo: 'Io ti salverò' (titolo originale: 'Spellbound'). Una pellicola che a suo tempo ottenne 6 candidature agli Oscar vincendone solo uno, ma che venne poi premiato dalla critica, con grande lungimiranza, al Festival del cinema di Venezia del 1946. Prodotto da David O. Selznick per la United Artists e sceneggiato da Ben Hecht riadattando il racconto 'The House of Dr. Edwardes' di Francis Beeding (1927) con le musiche di Miklós Rózsa, il grande Hitchcock poté contare su un cast composto da Gregory Peck, Ingrid Bergman, Rhonda Fleming, Michail Čechov e Leo G. Carroll.
Trama
Destinato a prendere il posto del vecchio direttore, il dottor Murchison, un certo dottor Edwards giunge presso la clinica psichiatrica dove lavora la giovane Constance Peterson. Tra i due scoppia improvviso l’amore, tanto che la riservata dottoressa, dedita solo al lavoro, si trasforma in una donna follemente innamorata. Tuttavia, colui che si presenta come Edwards ha dei comportamenti alquanto strani, che porteranno Constance a scoprire che l’uomo che ama non è il dottor Edwards, ma un misterioso John Ballantine, il quale avrebbe perso la memoria ed è convinto di aver ucciso il vero dottor Edwards per prenderne il posto.
La fotografia: soggettiva fobica del bianco e psicoanalisi
In quest’opera filmica, la poetica dello stile fotografico è essenziale. Il regista, tralasciando una facile alternanza di chiaroscuri, recupera, seppur in tono minore, la magnifica partitura cromatica già sperimentata in 'Rebecca la prima moglie' del 1940, dove la fotografia era al servizio di ambienti altisonanti, sede della tragicità e d lutti che non permettevano ai personaggi la catarsi. In questo caso, invece, la psiche di Edwards/John Ballantine (un ispiratissimo Gregory Peck, ndr) proietta verso l’esterno e
mozioni penose alla vista di innocui oggetti quotidiani divenuti, per lui, fobici. Per certificare i sintomi di infermità, il 'giovane-falso' Edwards, tormentato da quel cromatismo 'dispotico' del colore bianco, reagisce in modo sempre più nevrotico alla vista di alcuni oggetti. Quasi sempre in soggettiva, le inquadrature della tovaglia nella sala da pranzo della clinica, della coperta sul letto e della vestaglia bianca a righe di Constance scatenano reazioni tali da insospettire l’ambiente medico della clinica. Lo spettatore è partecipe del dramma di Edwards/John Ballantine, condivide con lui la sofferenza nell’aver perduto la memoria e quel patire l’eco di fatti traumatici avvolti nella nebbia. Il regista costruisce un meccanismo perfetto, per far sì che il racconto filmico divenga una vera e propria metafora del processo psicoanalitico, assolvendo al ruolo di 'setting semovente'.
Il doppio maschile e il filo di Arianna
La dottoressa Petersen (una sublime e intensa Ingrid Bergman), unica donna psichiatra in un mondo di uomini, è colei che ricerca la verità, oscillando tra amore e terapia, giustizia e crimine. Il filo d’Arianna è lungo da dipanare, se davanti si ha un 'doppio' maschile come Edwards/John Ballantine. Ma chi è Edward, veramente? Un impostore o l’autore di un saggio su colpevolezza e complesso di colpa? Un doppio mostruoso, che richiama la leggenda del Minotauro, in cui il protagonista la sua Arianna vengono inseriti all’interno di uno schema narrativo tipico del giallo classico, con un presunto colpevole, uno scomparso, degli inseguitori e dei fuggiaschi. Per risolvere il 'caso poliziesco', però, occorre prima risolvere quello clinico. Edwards/John Ballantine può certamente godere dell’aiuto dell’Arianna/Costance per dipanare il suo 'filo' all’interno del labirinto della memoria, anche se la sua aspirante psichiatra, a volte, è detestabile, tormentandolo con la sua terapia 'in itinere', allo scopo di svelare cosa si nasconda dietro quella fobia del bianco, andando oltre quella immagine (che in psichiatria viene definito: “Ricordo di copertura”, ndr), che si frappone tra la coscienza e un trauma infantile. Per far sì che il doppio maschile e la sua Arianna escano dal labirinto, Hitchcock crea una zona ibrida tra giallo e dramma psicologico (impreziosito da citazioni di varie teorie psicoanalitiche, ndr), inscenando altresì sedute terapeutiche persino durante gli spostamenti in treno dei due amanti fuggitivi: fu in questo film che il mondo s'innamorò perdutamente di un’appassionata Petersen, vedendola oscillare tra il suo ruolo di medico e di donna innamorata. La Bergman fu bravissima nel diventare anch'essa un 'doppio femminile', a sua volta emulatrice dello scomparso dottor Edward, il quale era solito applicare le sue terapie con i pazienti in vacanza, sulla neve.
Dissolvenza incrociata e apertura della mente
La celebre sequenza delle porte che si aprono, una dopo l'altra, in dissolvenza incrociata con l’immagine del bacio tra Edwards/John Ballantine e la Petersen, esprime un senso di liberazione interiore, grazie alla meravigliosa profondità di campo: cadono le resistenze dell’Io di Costance, che dovrà salvare l’uomo che ama: “Stai migliorando e io ti salverò”, gli sussurra abbracciandolo.
Ancora luce, in casa del vate degli psichiatri
La luce intradiegetica della lampadina nella toilette in 'casa Brulov', fa esplodere (con stacchi velocissimi, in soggettiva) l’ansia di Edward per il colore bianco, alternandosi con le zone d’ombra che quella stessa luce genera. Poi, con un movimento lentissimo della macchina da presa, il regista accompagna la discesa dalle scale del protagonista verso il pianterreno: il dettaglio della mano che stringe un rasoio, predispone al disvelamento del falso verso la definitiva seduta psichiatrico-analitica.
Dietro/dentro il corpo di Edwards/John Ballantine
Il dottor Bruno offre un bicchiere di latte: grazie all’uso di un particolare filtro e la vicinanza estrema dell’inquadratura del bicchiere, l’occhio della m.d.p sembra entrata dentro il corpo di Edwards/John Ballantine, mentre il sorso decolora il vetro, il bianco viene inghiottito e si può forse intravedere la fine dello stato patologico.
Prodomi di 'Psyco'
Di un personaggio come Edward, che soffre di una psicopatologia, ne vedremo un caso esemplare e molto più spaventevole in 'Psyco' (1960), dove il melodramma-giallo di 'Io ti salverò' diviene un thriller-horror; una fobia dell’inconscio collettivo ne 'Gli uccelli' (1960), film di genere catastrofico, dove gli animali attaccano gli uomini
(genere rilanciato, nel 2005, da 'Guerra dei mondi' di Steven Spielberg, ndr), surclassando quella di 'Io ti salverò'.
Sebbene non venne bene accolto dalla critica (basti pensare ai commenti nefasti di Truffaut, quando affermò "Le dispiace se le dico che il film è francamente una delusione"?) il maestro, con 'Io ti salverò' gettò le basi per i suoi futuri capolavori sulla psicoanalisi e i casi clinici complessi. Superbe le interpretazioni di Gregory Peck e Ingrid Bergman. Da non perdere.