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3 Maggio 2024

La bontà dell'essere umano

di Chiara Genovese
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‘The Whale’, l'ultimo film di Darren Aronofsky con protagonista Brendan Fraser, vincitore di due premi Oscar, è un dramma psicologico con una morale di fondo positiva

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Al termine della visione di qualsiasi film, lo spettatore non esperto di cinema si pone di solito una semplice domanda: mi è piaciuto? Non mi è piaciuto? E' un bel film? Nel caso di ‘The Whale’, la risposta non è scontata. Lo è in quanto prodotto ben confezionato, impeccabilmente diretto e magistralmente interpretato. Ma non è piacevole da guardare. Al contrario, è doloroso da seguire e ancor più duro da ‘rielaborare’ dopo la visione. L'indugiare della telecamera sul corpo deformato del protagonista, interpretato da Brendan Fraser, è volutamente disturbante: una scelta che è costata al film numerose polemiche e accuse di ‘grassofobia’, specialmente a causa dell'utilizzo della cosiddetta 'fat suit', la tuta prostetica indossata da Fraser per assumere l'aspetto di un uomo gravemente obeso. Il disfacimento del corpo come effetto visibile del male che l'uomo fa a se stesso, è un tema ricorrente nei film di Aronofsky: l'abbiamo visto, per esempio, nella ballerina autolesionista de ‘Il cigno nero’ e, in modo particolarmente crudo, con gli effetti dell'abuso di eroina in ‘Requiem for a dream’. Tuttavia, seppur drammatico, ‘The Whale’ sembra nascondere un messaggio positivo: l'essere umano, persino quando appare egoista, cinico e addirittura sadico, è intrinsecamente buono e naturalmente predisposto ad amare. E' forse questa la vera ricerca del bene nel cuore dell'uomo che, come la balena Moby Dick del capitano Achab, talvolta è così sfuggente da farci credere che essa sia solo un'illusione o un’utopia. Ma proprio come Achab, sappiamo che c'è. E siamo disposti a cercarla. Talvolta, fino alla follia.

The Whale
Locandina_ufficiale.jpg: la balena bianca di Aronofsky
Charlie, magistralmente interpretato da Brendan Fraser, è un docente universitario di inglese e scrittura creativa, che insegna esclusivamente online. Segnato da un passato drammatico, l'uomo si è rifugiato in una dipendenza da cibo, che lo ha portato a raggiungere un peso di oltre 250 chilogrammi. Consapevole di stare per morire, Charlie tenta di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente (Sadie Sink), che non vede da anni. Per tutta la durata del film, Charlie trova un apparentemente inspiegabile conforto nella lettura e rilettura di un vecchio tema scolastico sul romanzo Moby Dick: un tema di cui solo al termine della storia scopriremo l'autore. Se all'inizio potremmo pensare che sia Charlie stesso la ‘balena’ del titolo, andando avanti con la trama scopriamo che questo ha una doppia chiave di lettura: la 'balena Charlie', con la sua incredibile mole, ma soprattutto la balena bianca del capolavoro di Melville, viene infatti usata come allegoria di una ricerca ossessiva. Com'è ossessiva e, a tratti, disperata la ricerca del protagonista del significato della propria vita che, sul punto di perderla, ha bisogno di ritrovare.

Un dramma in una stanza

Pressoché l'intera azione del film si svolge all'interno del salotto di Charlie. Quasi fosse un pianeta che esercita una propria forza gravitazionale, intorno a lui si muovono gli altri personaggi: l'infermiera e amica Liz (Hong Chau), che se ne prende cura; il giovane missionario Thomas (Ty Simpkins); l'ex moglie Mary (Samantha Morton); e soprattutto, la figlia Ellie (Sadie Sink). Le intense interpretazioni degli attori consentono di sorvolare sul leggero senso di claustrofobia trasmesso dall'ambientazione. Il premio Oscar, Brendan Fraser, non ha bisogno di presentazioni. Hong Chau, con la sua interpretazione dell'infermiera Liz, si è aggiudicata a sua volta una ‘nomination’ come migliore attrice non protagonista. Mentre la giovanissima Sadie Sink, dal canto suo, dopo il suo ruolo in ‘Stranger Things’ divenuto sempre più centrale stagione dopo stagione, dimostra di essere ormai un'attrice in piena regola, destinata a una carriera di sicuro successo.

Riconoscimenti
E' piuttosto infrequente che, al termine della proiezione di un film, l'intero pubblico in sala abbia gli occhi lucidi e un fazzoletto in mano. Se ciò avviene, significa che quella pellicola, in un modo o nell'altro, è riuscita a toccare le corde più sensibili di ciascuno dei presenti. Un’opera che si è aggiudicata due premi Oscar (miglior attore protagonista per Brendan Fraser e miglior trucco) e una candidatura (miglior attrice non protagonista) per Hong Chau. Prima ancora, il film era stato accolto con entusiasmo alla 79° Mostra d'Arte cinematografica di Venezia, dove aveva vinto il Leoncino d'Oro e ricevuto una standing ovation di sei interi minuti.
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