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26 Aprile 2024

L'agente 007 numero 24: Spectre

di Giorgio Morino
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L'agente 007 numero 24: Spectre

La spia più famosa della storia cinematografica torna nelle sale con una nuova avventura, che promette di seguire ed esaltare la formula di successo del precedente Skyfall, ma che alla prova dei fatti, si dimostra piuttosto banale nell’intreccio e nei dialoghi: non un brutto film, ma neanche il capolavoro che molti speravano di vedere

Ci sono appuntamenti al cinema che si ripropongono puntualmente allo spettatore, rassicuranti come una festività comandata. Alcune saghe hanno superato i confini dello schermo o della carta stampata, diventate veri e propri patrimoni culturali della nostra società. Le avventure di James Bond possono essere certamente annoverate in questa categoria. Nel 1952, l’ex ufficiale della Royal Navy e giornalista, Ian Fleming, dette vita al personaggio dell’agente 007 dalle pagine del romanzo Casino Royale. Dieci anni dopo, Sean Connery rese la spia di Fleming un’icona mondiale con il film 'Licenza di uccidere'. Dopo più di cinquant’anni, il testimone è passato ad attori come Roger Moore, Timothy Dalton e Pierce Brosnam, fino al muscoloso e attuale Daniel Craig. Proprio il ciclo di pellicole che hanno avuto per protagonista Craig, di cui 'Spectre' rappresenta, al momento, il culmine narrativo, sono stati particolarmente apprezzati dagli spettatori e dalla critica, in quanto capaci di rappresentare un Bond ancora inesperto, a tratti insicuro e tormentato, ben lontano dallo stereotipo dell’agente impassibile e sornione, fino al parossismo dei film precedenti.
Dopo lo straordinario successo di Skyfall, avevamo lasciato un James Bond apparentemente in pace con il suo passato e pronto a servire i servizi segreti di Sua Maestà con una nuova dedizione. Questo almeno fino a quando un’altra parte del passato della spia sembra sul punto di emergere dall’ombra, per distruggere la sua vita, l’intelligence britannica e l’ordine mondiale. Senza voler entrare troppo nel dettaglio di un plot molto articolato, risulta evidente già dalla sinossi che, rispetto ai precedenti, questo film ha qualcosa di atipico: la trama ricorda i primi film di 007, dove il cattivo di turno era pronto a mettere in atto un piano diabolico, con risata maligna annessa, per conquistare il mondo. In effetti, a livello narrativo, molte delle soluzioni adottate dal regista Sam Mendes sembrano prese di prepotenza dai vecchi film della saga, in particolare da quelli con protagonista Roger Moore. La Spectre, l’organizzazione segreta criminale che da il titolo al film, è la principale antagonista di quelle pellicole. Se da un lato la citazione, in questo caso non occasionale, ma narrativa, può essere apprezzata dal pubblico che magari non conosce i vecchi film, risulta quantomeno stucchevole e insensata agli occhi dei fans, specialmente quando limita lo sviluppo della trama, che non riesce mai a decollare, permeata da una insopportabile lentezza nella parte centrale. Tale dato di fatto, che in generale non creerebbe problemi e perplessità nell’esprimere un giudizio generale sulla pellicola, diventa uno scoglio insormontabile quando si fa il confronto con il film precedente: quello 'Skyfall' che lo stesso regista, Sam Mendes, aveva costruito in quanto punto di rottura nella storia della saga, con un protagonista ferito e incerto sulla sua vita e un villain, interpretato da uno straordinario Javier Bardem, in grado di incarnare tutte quelle paure e capace di trasmetterle allo spettatore con una potenza mai raggiunta prima. Il fil rouge dell’intreccio è sempre il passato di Bond, ma in 'Skyfall' questo veniva presentato come culmine di un ciclo narrativo; in 'Spectre', invece, viene ripreso prepotentemente, quasi forzando determinate soluzioni, facendo pensare che in sede di sceneggiatura scarseggiassero le idee. La sceneggiatura di John Logan, Neal Purvis, Robert Wade e Jez Butterworth è infatti il grande limite di 'Spectre', incapace di catalizzare l’attenzione, di dare un ritmo omogeneo all’intreccio e di costruire dei dialoghi e situazioni quantomeno credibili. A smuovere il film da questa empasse narrativa intervengono la regia di Mendes, virtuosa nelle riprese a campo lungo di Roma notturna, o nel piano sequenza iniziale a Città del Messico, insieme alle interpretazioni. Daniel Craig sembra qui pronto a consegnare il testimone al Bond di nuova generazione, portando sullo schermo uno 007 più consapevole dei propri mezzi e pronto a chiudere con il proprio passato. Il due volte Premio Oscar, Christoph Waltz, è chiamato invece a dar vita al misterioso capo della Spectre, una figura strettamente legata a quella di Bond, ma lasciata in disparte troppo a lungo nel corso della pellicola. Mantenere l’alone di mistero sull’antagonista è una tecnica narrativa ultimamente molto usata - e talvolta abusata - dagli sceneggiatori, che non consente uno sviluppo vero e completo al personaggio. In questo caso, l’ostacolo è stato aggirato dallo stesso Waltz, che in poco meno di quindici minuti di presenza sullo schermo è riuscito a fornire un’interpretazione più che convincente. Gli interpreti di contorno, dalla 'Bond girl' Léa Seydoux al massiccio e silenzioso agente della Spectre, Dave Bautista, sono tutti funzionali alla trama, ma chi ha resa davvero indimenticabile questa pellicola è stata Monica Bellucci, che con la sua interpretazione monotonale della vedova Lucia ha arricchito di significato la parola 'inutilità'.
'Spectre', alla prova della sala, non risulta sgradevole, bensì uno strano e inspiegabile passo indietro rispetto a 'Skyfall' e un omaggio alla tradizione fin troppo integralista. Una pellicola che sembra sempre sul punto di decollare, ma che non riesce a fare quel 'passo in più', in termini di audacia, lasciandosi sfuggire l’occasione di chiudere con i fuochi d’artificio un arco narrativo straordinario, nonché ponendo più di qualche interrogativo sul futuro della serie.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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