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20 Aprile 2024

Troppa chimica nell'abbigliamento

di Marta De Luca
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Troppa chimica nell'abbigliamento

L’industria tessile purtroppo fa largo uso di sostanze nocive rimanendo uno dei comparti economici più inquinanti. Dalla produzione delle fibre e del filato, al pre-trattamento, dalla tintura alla stampa, ogni fase richiede l’uso di prodotti chimici. Si parte dai pesticidi per passare a detergenti e coloranti e ogni sostanza lascia una traccia sul capo che indossiamo. Come al solito, le logiche di profitto superano quelle di etica professionale e di buona gestione dello Stato e così in Italia non esiste una legge che imponga maggiore rigore ai produttori. La cosa più triste è che la maggior parte di queste sostanze tossiche è facilmente sostituibile o eliminabile, solo che le aziende, indifferenti alla salute dei propri clienti, preferiscono non fare investimenti in questo campo, continuando con vecchie procedure di produzione già collaudate.
Già nel 2004 Greenpeace aveva condotto uno studio che dimostrava la presenza di composti chimici in capi assolutamente insospettabili. Una battaglia che l'organizzazione ambientalista ha continuato a portare avanti, fino a denunciare una anno fa, con il report “Dirty Laundry 2”, le grandi marche dell’abbigliamento (tra cui Adidas, Uniqlo, Calvin Klein, Li Ning, H&M, Abercrombie & Fitch, Lacoste, Converse e Ralph Lauren) per l’utilizzo di sostanze chimiche pericolose per la salute umana nelle produzioni di tessuti e abiti firmati. Da allora alcune ditte si sono ravvedute e corrette, ma siamo ancora lontani dal raggiungere un risultato soddisfacente. Tra le prime multinazionali a prendere atto della gravità della situazione e farsi carico di un cambiamento compare H&M, che ha deciso di mettere al bando i composti tossici perfluorinati dalle linee di abbigliamento che andranno in commercio a partire dal 2013.

Anche la moda bimbi è a rischio
Il problema si fa sentire in maniera pressante quando a farne le spese sono anche i più piccoli. Lo avevano già dimostrato in passato i test di Altroconsumo condotti su alcuni pigiamini e magliette per bambini con stampe colorate e plastificate (e quindi a rischio), della collezione autunno-inverno 2007. Su 15 prodotti testati, tre capi indicati per bambini da 0 a 2-3 anni sono stati bocciati in quanto contengono sostanze nocive, che anche se non fanno danni immediati possono creare nel tempo gravi rischi per la salute. I tre capi “non” sono: un pigiama della linea Bluekids di Upim, che contiene un colorante a rischio vietato da una Direttiva europea; un pigiama della linea Texbasic di Carrefour e un modello di Tezenis, che invece contengono ftalati. Dopo la segnalazione di Altroconsumo, Upim e Carrefour hanno ritirato i prodotti dal mercato, mentre Tezenis si è riservata di fare accertamenti.L'allarme sulla totale mancanza di controlli sulle aziende produttrici è però una problematica sempre attuale. Infatti, una recente indagine della Società italiana di dermatologia allergologica professionale e ambientale (Sidapa) dimostra come le dermatiti da contatto con abiti sono in aumento. 

Non solo abbigliamento
Purtroppo le sostanze tossiche non si rilevano solo nell’abbigliamento. Un ulteriore consiglio ai genitori è quello di non acquistare presso le grandi catene e i supermercati piccoli elettrodomestici da cucina che non abbiano la certificazione europea “Food Contact”, rappresentata da una forchettina con un piatto, simbolo di materiali adatti ad uso alimentare. Potrebbero infatti essere ricoperti con le stesse vernici tossiche usate nelle fabbriche cinesi sui giochi Mattel, proibiti, ma ancora in vendita nei supermercati italiani.

“Made in...” specchietto per le allodole
Comprare un capo in un negozio specializzato non sempre è garanzia di qualità assoluta. Ciò avviene perché la normativa europea prevede il limitato uso di alcune sostanze come i clorofenoli (antimicrobici e antimuffa) e i derivati dello stagno (antiodore) ma su ciò che viene prodotto nel nostro Paese. Ma esclude il controllo sui passaggi del processo di lavorazione realizzati in altri Paesi. Un capo può essere confezionato in Italia, ma il tessuto provenire dalla Cina o da altri Paesi, e addirittura basta che in Italia si faccia una cucitura o si attacchi un bottone perché il capo possa essere etichettato come “made in Italy”. Per questo dobbiamo ringraziare la Commissione europea, che si oppone a sanzionare il falso made in Italy o in France perché sono contrarie le grandi catene europee di distribuzione, il governo inglese e quello dei Paesi del nord-Europa, che traggono enormi profitti dall’import cinese.

I veleni del tessile
Formaldeide: spesso presente negli indumenti nuovi perché usata in fase di finissaggio dei capi. È cancerogena e colpisce in particolare le vie respiratorie. Fortunatamente è idrosolubile e viene quindi scaricata dal capo ad ogni lavaggio. Questo non va comunque a vantaggio dell’inquinamento ambientale. Può essere tranquillamente evitata, come dimostra l’esistenza di capi che non ne contengono.
Coloranti: ci sono alcune sostanze estremamente tossiche che possono essere riscontrate nei coloranti alcuni dei quali sono stati vietati dalle Direttive europee. Possono contenere anche tracce di metalli pesanti, come il piombo, probabilmente presente a causa di contaminazioni, che ha gravi effetti sul sistema nervoso dei bambini e che può portare ad un abbassamento permanente del QI, o il cadmio usato come pigmento e stabilizzatore, che è cancerogeno.
Ftalati: additivi usati per ammorbidire le plastificazioni, che sono tossici soprattutto quando si è continuamente esposti alla loro presenza. Si possono tranquillamente sostituire con altri prodotti e sarebbero già dovuti essere tolti dal mercato da molto tempo.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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