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23 Aprile 2024

I cento anni che sconvolsero il mondo

di Ilaria Cordì
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I cento anni che sconvolsero il mondo

L’esplosione di un conflitto assurdo e devastante come quello del 1914-‘18 ha generato popoli smarriti e disperati. Ma proprio per questo motivo dovremmo ricordarlo attingendo ai nostri più elevati sentimenti di pietà universale, poiché quell’immensa carneficina mise a tacere ogni saggezza

A cento anni esatti dallo scoppio della prima guerra mondiale, riteniamo opportuno e importante sottolineare come quell’abominevole e immensa tragedia dovrebbe essere ricordata a livello europeo e planetario in quanto uno degli eventi più disastrosi della Storia del XX secolo, se non dell’intera umanità. Oltre a produrre 15 milioni di morti, infatti, il quadriennio 1914-’18 ha generato tutte le premesse per l’esplosione del successivo conflitto degli anni 1939-‘45, ancor più pazzesco e spaventoso. Fino al punto di convincerci a interpretare i due eventi bellici come un unico, terrificante, dolorosissimo ‘travaglio’ del genere umano. Tutto ciò dovrebbe rappresentare un elemento di seria riflessione per tutti i Governi e i popoli che attualmente compongono l’Unione europea, poiché sono esattamente queste le fondamenta morali sulle quali l’Europa ha deciso di riedificare se stessa in quanto entità unitaria sovranazionale. Invece, ogni iniziativa culturale o di commemorazione sta avvenendo secondo forme marginali o ‘distratte’: la Germania, avendo perduto ‘due guerre su due’, sembra intenzionata a rimuovere quasi completamente la cosa; nel Regno Unito si sta trattando l’argomento con una certa nostalgia, considerando la prima guerra mondiale come la ‘miccia incendiaria’ che ha decretato la fine dell’imperialismo britannico e della sua egemonia nel mondo; in Francia, l’evento viene affrontato con la consueta enfasi da ‘grandeur’, al fine di dimenticare - e far dimenticare… - l’umiliazione subita a Sedan nel 1870 per opera dei prussiani; qui da noi, infine, il metro di misura rimane quello retorico, poiché la poderosa vittoria del 1918, costata più di 650 mila morti in soli 3 anni di partecipazione attiva al conflitto, per qualche decennio ci collocò tra le grandi potenze vincitrici, trascinandoci verso l’estetismo decadente di Gabriele D’Annunzio e, soprattutto, nella profondissima contraddizione storica del fascismo. In realtà, sarebbe assai più opportuna un’unica, importante, solenne commemorazione comune di portata continentale. Un qualcosa in grado di rappresentare, con sincera misericordia e sentita commozione, l’immensa pietà che dovremmo provare nei confronti di accadimenti talmente drammatici da essere riusciti a sfigurare il volto stesso della Storia. I motivi che stanno generando le lacunose celebrazioni cui abbiamo fatto cenno sono, in verità, assai ovvie e banali. Almeno quanto può esserlo una civiltà ‘globalizzata’ totalmente asservita ai voleri e alle logiche del grande capitalismo finanziario delle multinazionali, convinto non solo di essere riuscito ad assassinare ogni ideologia, cultura e tradizione valoriale del passato, ma di aver trionfato persino su Dio e la Storia stessa. Ma in questo modo, il mondo rischia di rimanere prigioniero della mera propaganda dettata dalla cultura del marketing, dalla deificazione del denaro e del profitto, secondo un’idea assolutamente ‘vuota’ di società, in cui le parole debbono, sempre e per forza, risultare spudorate, aggressive, edonistiche, tese a ratificare il definitivo declino spirituale - dunque sostanziale ed effettivo - di sentimenti, luoghi, eventi e ricordi impossibili da commercializzare. Chi ci guadagna - e cosa - nel piangere sulle ‘macerie’ del passato? Una domanda, quest’ultima, assolutamente priva di scrupoli, poiché tendente ad assorbire e a omologare ogni memoria collettiva ponendo ‘all’asta’ non soltanto i rapporti umani più semplici tra singoli individui, ma lo stesso dovere morale di rinnovare, rielaborare e reinventare quei sentimenti di amicizia e fratellanza tra i popoli che dovrebbero essere considerati come il vero ‘cemento’ dell’Unione europea. Nessuna concessione è possibile ottenere dall’attuale onnipotenza ‘tecnocratica’, che appiattisce il tempo, lo spazio e l’umanità stessa trascinando con sé un eterno medioevo basato unicamente sulla produzione e il consumo. Ma questo trionfo ‘schiacciante’ del mercato sulle ideologie, sulle diversità culturali e persino sulle religioni, è solamente una vittoria ‘a metà’, poiché crea popoli muti ed esitanti, anime drammaticamente insensibili a qualsiasi forma di sincera passione e amore: un’Europa e un mondo di codardi, incapaci di comprendere perché ci si dovrebbe confrontare con quegli umili ed eroici alpini che trascorsero lunghi e rigidissimi inverni tra le trincee di alta montagna della Carnia; con gli orgogliosi popoli dell’Austria-Ungheria costretti a combattere per un impero dal quale chiedevano solamente di affrancarsi, al fine di autodeterminarsi; da tutte quelle schiere di eserciti e soldati giunti da ogni parte del globo per combattere un conflitto tutto interno al ristretto novero delle grandi potenze economiche e coloniali. Quelle stesse potenze che, per poter fare la guerra e attraverso le guerre, avevano già allora depredato il resto del mondo, sprecando, per le loro finalità mortifere e nefaste, le risorse agricole e del sottosuolo di interi continenti, lasciandoci in eredità un debito praticamente inestinguibile, causa e origine più autentica dei nostri problemi di oggi. L’esplosione di un conflitto assurdo e devastante come quello del 1914-‘18 ha generato solamente popoli smarriti e disperati. Ed è per questo motivo che dovremmo ricordarlo attingendo ai nostri più elevati sentimenti di pietà universale, poiché quell’immensa carneficina fu capace di mettere a tacere ogni saggezza. Con immensa pietà e umana comprensione, noi dovremmo ricordare quella guerra per insegnare ai giovani di tutto il mondo quanto sia terribilmente sbagliato cercare di conquistare il mondo con la violenza e con le armi, acclamare i prepotenti come fossero degli eroi, non riconoscere alcuna cultura se non la propria, nessun’altra lingua se non la propria. Noi dovremmo aggrapparci a quei milioni di morti, alla follia e all’orrore che si scatenarono in quella maledetta estate del 1914, per sradicare ogni seme di divisione tra tutti gli uomini del pianeta, ogni differenza tra quel che diviene e ciò che resta, ogni possibile gemito di discordia tra le popolazioni d’Europa. Per riuscire ad ascoltare, anche soltanto per un minuto, l’anima del mondo.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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