C’è qualcosa di estremamente affascinante attorno alla figura di Francesco Petrarca. Nato ad Arezzo il 20 luglio 1304, egli è considerato il primo poeta moderno e il padre dell’umanesimo. Di lui, tuttavia, si ricorda poco un altro aspetto: quello della passione per i viaggi e per l’avventura. Una qualità che gli valse una conoscenza esemplare ”qual più diversa et nova” in fatto di cartografia e geografia. La cosa era ben nota ai contemporanei, che lo chiamavano "peregrinus ubique" (il pellegrino ovunque, ndr) o “l’irrequieto turista”. Grande appassionato di antichità, collezionista di monete e codici antichi, ammiratore della Torre di Conti, balzata alle cronache proprio in questi giorni, Petrarca ha svolto un ruolo determinante nello studio e nella riscoperta delle fonti classiche, a partire soprattutto dai geografi greci e latini (anche i cosiddetti 'minori', ndr), affascinanto dalle loro descrizioni di popoli e luoghi lontani. Passione che non fu solo un ozioso passatempo, ma un vero e proprio lavoro filologico, oltre che poetico, che alle soglie del Quattrocento ha contribuito all’emergere di un nuovo concetto di spazio: dalla geografia politica romana, fondata sulla "centralità dell’urbs", si passa a una più moderna rappresentazione dei luoghi e delle distanze.
Incognit
a Thule, agli estremi confini dell’Iperboreo mondo
Leggendo le fonti classiche, Petrarca s'imbatte in alcune testimonianze in merito a un’isola misteriosa e lontanissima e ne rimane affascinato: situata nell’estremo nord, tra la Scandinavia, l’Islanda e la Groenlandia, dai Greci identificata con gli Iperborei, il mantovano Virgilio la chiamava "Ultima Thule" nell’incipit delle Georgiche (vv. 21-30): "E tu anzitutto, o Cesare [Ottaviano Augusto divinizzato] [...] ti onorino i naviganti come loro unico nume e ti si asservi l’estrema Thule e ti accolga Teti con tutte le onde...". Il poeta aretino, insomma, cominciò a raccogliere notizie da Seneca, da Boezio e da Orosio, che ne dà un’opinione severa: "E' Thule dannata, sotto l’iperborea stella" per l’apologeta cristiano, autore di un’aspra invettiva contro i pagani. Qualcuno la descrive situata a occidente, tra settentrione e ponente, al di là dell’Irlanda e delle Orcadi. Ma un giorno, Petrarca entrò in possesso di un libello di tal Giraldo, cortigiano di Enrico II, il quale affermava l'esistenza do alcune isole sparse nell’oceano boreale intorno alla Bretagna e l’estremo confine occidentale, di cui Thule risultava essere la più distante. Eppure, l’identificazione di quest’isola, nominata da tanti studiosi e intellettuali di ogni epoca, rimane incerta e le indicazioni sono vaghe e contraddittorie. La curiosità diventa desiderio. E il desiderio ossessione: doveva trovare quell’isola. Così, Francesco si imbarcò per un viaggio verso le estreme propaggini del mondo, come un novello eroico Odisseo, spinto dal fuoco della conoscenza…
La fuga dal tempo e la vanità delle cose
In realtà, non conosciamo le esatte traiettorie dei viaggi compiuti da Petrarca. Egli accenna, ma oscuramente, di aver costeggiato i lidi di Spagna, di aver navigato l’oceano costeggiando la penisola iberica e ancora, come sembra, di esser giunto in Inghilterra, probabilmente lungo le coste della Cornovaglia, proprio alla ricerca di Thule. Tuttavia, di ciò non ha lasciato altra traccia, se non quelle riportate nelle sue lettere Familiares, raccolte dal poeta stesso tra il 1349 e il 1351, quando era all’apice della carriera e, al tempo stesso, in una fase di profonda riconsiderazione delle proprie esperienze. L’intero corpus epistolare s'incentra sul tema del viaggio, delle scoperte, della curiosità; ma si parla anche di amicizia e di amore, di religione e politica, di antichità e letteratura, Storia, cultura, libertà intellettuale, solitudine. La materia di queste lettere
è, insomma, davvero molto varia. Il viaggio alla volta di Thule è rievocato in una lettera indirizzata a Tommaso da Messina, che reca la data fittizia del 1333, ma in realtà risulta esser stata scritta molto tempo dopo. Petrarca si rivede lì, sul "lido del mar Britannico, molto vicino (secondo che dicono) all’isola che noi cerchiamo", a saggiare con lo sguardo l’orlo del mare aspettando che davanti a sé si stagli finalmente il profilo dell’isola così tanto vagheggiata. Raccoglie anche informazioni 'sul campo'. Ad Avignone incontra Riccardo di Bury, vescovo di Auckland, che si trovava nella cittadina francese – allora sede papale, durante la cosiddetta 'cattività avignonese' – su incarico di re Edoardo III d’Inghilterra. Anche a lui, uomo di rinomata cultura e appassionato bibliofilo, Petrarca chiede notizie su Thule, ma senza esito. Non si dà pace: non si spiega come mai un luogo conosciuto dai più dotti sin dall’antichità, possa essere, al contempo, così vago e indefinito. Eppure, non la trova quell’isola, né tra le carte, né all’orizzonte. Rilegge Plinio: sembra certo che la Thule si trova a sei giorni di navigazione verso nord dalla Bretagna, così come descritto anche da Pomponio Mela, nella sua descrizione degli "inverni senza alba" e delle "estati senza tramonto". Se qualcuno vi fosse realmente stato, ci sarebbero notizie più dettagliate e precise sulla rotta. La ricerca si rivela vana, al punto che ormai Thule gli appare "difficile da trovare come la verità", nascosta e sospesa tra sogno e realtà. Sarà, infine, costretto ad ammettere: "Resti pur celata Thule a Settentrione e la sorgente del Nilo a Mezzogiorno, purché celata non rimanga la virtù, che fra gli estremi è nel mezzo e il corto viaggio di questa vita su cui palpitando e dubitando la maggior parte degli uomini a fine incerto, per ambiguo sentiero camminando si affretta e non ci diamo troppa pena nella ricerca di un luogo che forse, trovato, saremmo desiderosi di abbandonare".
Arriviamo, così, alla fine del viaggio, reale o immaginato, al termine del quale si fa più chiaro in Petrarca un sentimento di disillusione per l’impossibilità di raggiungere la conoscenza ultima: Thule non era altro che una metafora, un’astrazione, inconoscibile e irraggiungibile "come la verità".

QUI SOPRA: IL CROLLO DELLA TORRE DEI CONTI TANTO AMATA DA FRANCESCO PETRARCA
AL CENTRO: IL POETA ARETINO IN DUE RITRATTI DELL'EPOCA
IN APERTURA: UN PROFILO DEL PADRE DELL'UMANESIMO