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19 Aprile 2024

Fuoco al Corano in nome di Allah

di Chiara Scattone
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Fuoco al Corano in nome di Allah

Uscito alla fine del 2011 il nuovo libro di Carlo Panella, Fuoco al Corano in nome di Allah, edito dalla Rubbettino, non potrebbe essere di maggiore attualità. È di questi giorni, infatti, la notizia degli scontri scoppiati in Afghanistan a seguito dell'azione all’interno di una base americana nella quale alcune copie del Corano sono state bruciate – forse inconsapevolmente –  da alcuni soldati che ritenevano il Testo sacro lo strumento di scambio e conversazione tra alcuni prigionieri. Atto scellerato il rogo dei libri di per sé, quello del Corano in un Paese particolarmente sensibile come l’Afghanistan è stato il pretesto per scatenare una rivolta popolare che ha provocato diversi morti e decine di feriti. Il testo di Panella stravolge fin dal suo titolo il lettore con un’affermazione che non lascia trapelare alcun dubbio: vi è stato un tempo in cui in nome di Allah il Corano veniva dato alle fiamme. La storia del libro parte da un episodio avvenuto nel 1538 a Istanbul e di cui le fonti, soprattutto quelle orientaliste, secondCarloPanella.jpgo Panella prendono poco in considerazione. Il primo rogo di alcune copie del Corano, faticosamente stampate da due tipografi bresciani e il taglio della mano di uno dei due quale condanna per l’empio gesto compiuto: la stampa meccanica del testo sacro.Perché a quanto pare il problema non era la riproduzione in sé del Corano, quanto la sua natura meccanica. L’arte islamica, infatti, si basa profondamente sulla calligrafia. Fin dal VII secolo dopo Cristo, l’islam ha sempre vietato le rappresentazioni figurative e umane nell’arte, sviluppando pertanto uno speciale talento per le arti grafiche e calligrafiche. Riprodurre il Corano a mano era ed è tuttora un’opera di immenso fascino, che solo pochi artisti riescono a eseguire. Ma la questione riportata dal Panella è differente: il mondo (arabo) islamico soffre di un ritardo culturale, sociale, politico e religioso perché ha da sempre negato la stampa dei libri. In poche parole le popolazioni (arabo) islamiche non hanno raggiunto il nostro stesso livello di sviluppo culturale perché non stampano. La questione, secondo l'autore, ha un’origine ancora più profonda: il Corano ha una natura “creata” o “increata”? Ovvero è opera dell’essere umano o, come affermano i teologi sunniti, è un’opera di derivazione celeste (per cui l’intero testo è conservato in un archetipo celeste)?La verità è che nel mondo (arabo) islamico sunnita il Corano è sempre stato considerato come “increato” e questo ha avuto quale conseguenza il rifiuto della cultura con tutte le terribili conseguenze che ne derivano. Da qui l’assunto da cui parte il nostro Autore: “se non è vero che tutti i musulmani sono terroristi, è assolutamente vero che tutti i terroristi sono musulmani” (con buona pace per l’Eta e per l’Ira!).Tale assunto certamente non è dogmatico e sicuramente discutibile. Il rifiuto della cultura, intesa unicamente come stampa dei libri, è stato l’elemento che ha scatenato fenomeni drammatici come quello, peraltro unico al mondo islamico, del terrorismo. Il ragionamento è pieno di stereotipi e lascia il tempo che trova soprattutto quando l’Autore stravolge una delle considerazioni riportate testualmente dai Rapporti Onu del 2002 e del 2005 nei quali si sottolineava non tanto un’incapacità dello stato culturale arabo quanto una “struttura sociale ed economica” che ostacola lo sviluppo della società araba. Quindi l’ostacolo allo sviluppo della società araba non è più l’arretratezza culturale che vede Panella, bensì una struttura economica e sociale che purtroppo lascia poco spazio alla stessa società civile. Il potere nei Paesi arabo-islamici è da sempre nelle mani di pochi, come si è ben visto con le rivolte della Primavera araba dello scorso anno. La corruzione dilaga e la società civile trova pochi spazi di partecipazione alle scelte della vita sociale e politica del Paese. Ma allora di chi è la colpa? E dove sta la soluzione?La colpa secondo Carlo Panella non è certamente da rintracciare nella tormentata storia di tanti Paesi della sponda sud del Mediterraneo, come l’Algeria, il Marocco o l’Egitto né tantomeno da rinvenire responsabilità negli ex Paesi colonizzatori, come Francia o Gran Bretagna che per anni – se non addirittura per secoli come per l’Algeria –  hanno dominato incontrastati su territori annichiliti dal potere altrui. Le conseguenze di questo gap culturale sono da addebitare unicamente alla religione islamica e alla visione oscurantista dei teologi che hanno imposto la natura “increata” del Corano, determinando così la negazione dell’uso della ragione, tanto caro ai filosofi greci e tanto osteggiato dai conservatori religiosi, che vedono nella ragione un ostacolo al raggiungimento della visione di Dio.La quaestio allora è di natura dottrinale e non politico-culturale o sociale e non è certamente possibile liquidare un discorso così complesso, citando a conclusione di tutto l’intervento di Benedetto XVI a Ratisbona sul dialogo tra fede e ragione, dove agire secondo ragione per il mondo islamico sia sinonimo di agire contro Dio.


fuoco_al_corano.jpgFUOCO AL CORANO IN NOME DI ALLAH
di Carlo Panella, Ed. Rubbettino, 2011, Euro 10


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