Gli insegnamenti di Diotima al discepolo Socrate svelati nel Simposio di Platone: una riflessione natalizia sul sentimento, emotivo e simbolico, che muove il mondo
Platone si è ampiamente interrogato sulle funzioni e sulla natura di Eros, descritto come un dio volubile, in grado di annebbiare l’intelligenza eccitando gli appetiti animaleschi nell’uomo, ma anche capace di esaltarlo alle più alte vette della beatitudine. Il Simposio, composto attorno al 380 a. C., è un unico, esteso trattato sull’amore. La scena è un banchetto in casa del poeta tragico Agatone, dove a ciascun commensale — filosofi, medici, poeti — viene chiesto di parlare dell’amore, tessendone a turno le lodi. I partecipanti rispecchiano la società greca dell'epoca o, almeno, l’ideale platonico: una società senza donne. Tuttavia, la vera protagonista, evocata ma non presente, è la sacerdotessa Diotima, maestra di Socrate, il cui ampio discorso fornisce la chiave di lettura dell'opera.
A turno, gli interlocutori prendono la parola, offrendo la propria personale visione sull’amore. Aristofane presenta Eros come un dio amico, soccorritore e medico. La sua narrazione evoca un tempo perduto, in cui i sessi erano tre — quello maschile, originato dal sole, quello femminile, originato dalla Terra e quello androgino, originato dalla Luna. In questa perduta età beata, gli esseri umani erano completi, con quattro mani, quattro gambe, due teste, due membri e bastavano a se stessi. Per questo motivo, s’insuperbirono nei confronti degli dei e, perciò, Zeus li divise per indebolirli. Da quel momento, ciascuna metà ebbe nostalgia dell’altra, cercando il proprio contrassegno: l’amore non è altro che la ricerca dell’intero.
A questa vision
e si affianca la celebrazione assoluta di Agatone, il quale elogia Amore come un dio giovane, delicato e armonioso, che agisce nei confronti degli uomini con giustizia e temperanza. Il suo caloroso discorso si conclude con una dedica che assomiglia a un inno: “Padre di lusso, di raffinatezza, di eleganza, di grazia, di brama, di desiderio; nella fatica, nella paura, nel desiderio, nella parola timoniere, marinaio, compagno, salvatore supremo; ornamento di tutti gli dei e di tutti gli uomini; guida bellissima e valente, che ogni uomo deve seguire inneggiando con arte e seguitando la canzone che egli canta seducendo la mente d tutti gli dei e degli uomini”.
Proseguendo l’indagine sulla qualità dell’amore, la distinzione più potente è introdotta da Pausania, che distingue tra un amore volgare, popolare, che mira solo al possesso del corpo e opera alla cieca – personificato da Afrodite Pandemos – a un amore celeste, identificato in Afrodite Urania, riservato ad ambienti socialmente elevati e prevalentemente omoerotico. Per Platone, infatti, gli uomini sono più forti e intelligenti delle donne e, per questo, aspirano a ciò che, per natura, è più energico e razionale. Lo stesso processo educativo si configura, sempre secondo Platone, come un rapporto di tipo erotico fra maestro e discepolo, dove il desiderio dell’unione dei corpi veniva convertito in quello dell’unione delle anime nella comune ricerca di una vita più giusta. Viceversa, l’amore eterosessuale, che ha come obiettivo la procreazione, per Platone non è che una mera “illusione di immortalità”: un modo per ottenere un duraturo ricordo.
Non deve stupire l’accento posto sull’amore omosessuale, che era comune nella cultura greca. Nel ruolo di divinità dell’amore omosessuale maschile, Afrodite Urania compare anche in un frammento di una poesia di Pindaro, scandita dagli elogi della bellezza fisica e dell’attrattiva erotica dei ragazzi in giovane età (fr. 123, vv. 10-12): “Ma io, per volontà di Lei, come cera di api divine/morsa dal sole mi struggo, quando guardo/alla giovinezza fiorente nelle membra dei fanciulli”.
Le uniche par
ole in favore della relazione eterosessuale tra un uomo e una donna sono attribuite proprio a una donna, Diotima, sacerdotessa di Mantinea, che ammaestrò Socrate alle cose d’amore, non presente al banchetto, ma di cui si riporta il pensiero in un ampio discorso, dal titolo 'Tutti gli esseri umani sono fecondi e aspirano a riprodursi nel corpo e nell’anima': “L’unione di un uomo e di una donna è il partorire. Questa è cosa divina e, negli esseri mortali, è cosa immortale il concepire e il generare. Eppure, per Diotima, Amore è tutt’altro che tenero. Anzi, egli è aspro, duro e “sempre povero, incolto, sempre scalzo e senza casa, si sdraia sulla terra nuda, dormendo all’aperto davanti alle porte e per le strade, sempre accompagnato dall’indigenza”. Con questa natura, Amore non può essere considerato un dio, ma “un qualcosa di intermedio fra dio e mortale. Un gran demone [daimon megas]”, interprete e messaggero tra gli uomini e gli dei.
Il Simposio non si chiude, dunque, con un unico elogio, ma con la consapevolezza che, al di là delle forme e dei desideri, l’amore è l’energia irrinunciabile, che spinge l’uomo a cercare il suo contrario, il suo intero e, infine, la sua essenza. L’eros è, in ultima analisi, il motore perenne, che trasforma il desiderio in aspirazione al divino.
