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26 Aprile 2024

Bobo Craxi: "Il 'rompicapo' russo-ucraino non si risolve con un conflitto militare"

di Pietro Pisano
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Bobo Craxi: "Il 'rompicapo' russo-ucraino non si risolve con un conflitto militare"

Secondo l’ex sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, per contenere l’escalation in atto nell’est europeo è necessario contemplare l’appartenenza storica della Russia alla politica del ‘vecchio continente’ anziché cercare di sanzionarla o marginalizzarla

La crisi russo-ucraina è ormai al centro dell’attenzione della comunità internazionale. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha iniziato da giorni ad ammassare truppe sul confine di quello che, un tempo, veniva definito il “granaio d’Europa”, temendo uno scivolamento dell’Ucraina verso la Nato. Gli Stati Uniti sono irritati dalle mosse del leader del Cremlino, il quale sembra inseguire un disegno di restaurazione politico-militare dell’antica potenza sovietica, in una ‘chiave’, questa volta, ‘autocratica’ e autoritaria. Insomma, per molti osservatori sembra quasi di rivedere un ‘vecchio film’ o di essere ripiombati in piena ‘guerra fredda’. Per altri versi, l’Unione europea è indecisa sul da farsi: le sanzioni economiche degli anni passati non sembrano aver sortito gli effetti sperati nei confronti del dinamismo militare di Mosca e, anzi, in molti casi, sono apparse persino controproducenti. In particolar modo sul fronte energetico, per via del ‘Nord Stream 2’: il gasdotto collocato nelle profondità del Mar Baltico, che trasporta il gas proveniente dai giacimenti russi fino alla Germania. Fortunatamente, l’Italia, grazie al nuovo allacciamento con la ‘pipeline’ proveniente dal Mar Caspio, sembra aver guadagnato una certa autonomia. Ma proprio per tali motivi, il nostro Paese sembra oggi destinato a dover svolgere un inedito ruolo di mediazione e di riconciliazione con il ‘gigante’ russo, poiché esso appartiene, a tutti gli effetti, alla Storia della politica europea e non può certamente esser lasciato ai margini di quel processo di ricostruzione dei ‘nuovi equilibri’ geopolitici mondiali. Di tutto questo e di molto altro ne abbiamo parlato con Bobo Craxi, ex sottosegretario di Stato agli Affari Esteri.

Onorevole Craxi, cominciamo dalla crisi russo-ucraina: è vero che gli Stati Uniti stiano esagerando, in merito ai movimenti di truppe ai confini con l’antico ‘granaio d’Europa’?
“Siamo di fronte a una evidente ‘escalation’, che sta assumendo le stesse caratteristiche tattiche adottate durante gli anni della guerra fredda: schierare i propri eserciti, per poi cercare di negoziare. La mia impressione è che da questo ‘affronto’ non possa che scaturire un persistente ‘equilibrio precario’. La Russia non intende esser tagliata fuori dal nuovo bipolarismo mondiale. Lei e l’Europa sono troppo deboli per pretendere di fare la ‘terza gamba’ del tavolino. Ma solo una ‘terza gamba’ può tenere in piedi e in equilibrio un ordine nel mondo. Diversamente, avremo nel futuro continue tensioni e divisioni”.

Ma non può trattarsi semplicemente del fatto che il presidente russo, Vladimir Putin, non vuole la Nato davanti alle ‘porte di casa’? Oppure c’è dell’altro, secondo lei?
“Nessuna potenza militare - e la Russia è una potenza militare, innanzitutto - vuole alle proprie frontiere delle minacce. Tuttavia, grava sulla questione ucraina l’antica e mai sopita frattura territoriale, condita da interessi economici che si trovano nelle Repubbliche autoproclamate e, oggi, contese. Il rompicapo non si risolverà con un conflitto militare: questo lo sanno anche a Mosca”.

La quePipelines.jpgstione delle forniture di gas stanno rendendo la Germania più prudente, mentre noi italiani, dati i nuovi ‘allacciamenti’ con il gasdotto del Mar Caspio e quello più antico proveniente dall’Algeria, sembriamo in una posizione relativamente più serena: giunti a questo punto, Germania e Italia possono svolgere un ruolo di mediazione e di distensione nei confronti della Russia?
“Certamente si. É interesse europeo avere una Russia alleata e non ostile, purché il regime di Putin non insista con le vecchie pratiche di infiltrazione e di destabilizzazione dei regimi democratici, come ha continuato a fare in questi anni. L’autocrazia neo-imperiale di Putin non è un modello a cui ispirarsi, ma è tuttavia una nazione a cui riferirsi, per la sua contiguità territoriale e il suo rapporto storico con l’Europa. Siamo ancora in un periodo di transizione e questi trent’anni dalla caduta del comunismo non hanno prodotto, come si vede, un equilibrio convincente. L’Europa sa di cosa ha bisogno, ma è ancora troppo fragile per ottenerlo”.

Veniamo alle questioni politiche più recenti: c’è un vento di socialismo che spira da più parti in Europa, a cominciare dalla recentissima vittoria del presidente Costa in Portogallo, ma anche dal ‘ricambio’ avvenuto a Berlino tra Angela Merkel e il nuovo premier tedesco, Olaf Scholz: solo qui da noi si rimane ‘impantanati’ tra le ‘pozzanghere’ del conservatorismo immobilista?
“Penso che le democrazie più giovani abbiano saputo conservare meglio le loro radici lontane. Non c’è stata la sbornia ‘novista’, perché già i Partiti democratici rappresentavano una novità. Di contro, il socialismo democratico appare ancora la dottrina che meglio si adatta alle condizioni del tempo. Contenere le spinte conservatrici e autoritarie del neo-capitalismo e gli squilibri della globalizzazione può e dev’essere il compito di una sinistra democratica e liberale. Quindi, socialista. In Italia, non ci sforzeremo mai abbastanza di dire che quello che è avvenuto trent’anni fa ha condizionato la prospettiva democratica del nostro Paese, che deve fare i conti con una maggioranza ‘elettorale’ che appoggia e sostiene i populismi di vario segno. É molto complicato risalire la china”.

La diffidenza quasi atavica dimostrata delle forze moderate italiane in merito ai vaccini e alla conduzione della pandemia potrebbero rivelarsi un’arma in più per le forze progressiste, in vista delle elezioni del 2023? Oppure, sarebbe meglio evitare le strumentalizzazioni proprio per distinguersi da un conservatorismo quasi trascendentale?
“Il punto fondamentale, sul quale sembra convergere l’elettorato europeo, la stabilità politica e, in un certo senso, l’approccio multilaterale nell’azione di contrasto alla pandemia, ha rilanciato questo desiderio di stabilità. Non sempre, tuttavia, la stabilità coincide con il progresso: nella vicenda, per esempio, del presidente della Repubblica e del Governo italiano, le spinte sono apparse conservatrici, ovvero non di cambiamento, ma di difesa e consolidamento di un quadro politico e democratico opposto al tentativo di presa del potere di tecnocrazie e apparati. Siamo nel bel mezzo della crisi di un sistema: la sinistra dovrebbe essere la parte più sensibile e più capace di convincere i cittadini di questo. Ma, allo stato, ancora non lo è”.

L’Italia ha un fronte conservatore più simile all’Ungheria di Orban, piuttosto che al liberalismo inglese: è un segnale di provincialismo culturale, secondo lei?
“Il nazionalismo dell’est è una forma spontanea di reazione contro l’oppressione sovietica, durata mezzo secolo. Sono regioni d’Europa che non hanno conosciuto stagioni democratiche: sono passate dalla dominazione di imperi autoctoni alla sottomissione a quello sovietico. Il reazionarismo italiano, invece, è sempre stato presente: la Dc era in grado di assorbire queste spinte conservatrici, che si muovono nella società. L’impoverimento della classe media ha generato una richiesta molto forte di autoritarismo. E la nostra destra ha saputo cavalcare queste spinte, sapendo soddisfare diverse esigenze: ci salva solo la mediocrità degli esponenti di queste tendenze, che hanno dimostrato di non essere ancora all’altezza di guidare un Paese occidentale che ha 60 milioni di abitanti. Mi domando, però, ancora per quanto tempo: dietro l’angolo, il rischio dell’avvento di una destra becera, come in sudamerica, lo pavento anche io”.

Due parole sulla riconferma di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica: è mai possibile che nessuna forza politica si sia presentata preparata all’appuntamento, magari predisponendo una serie di profili femminili adeguati alla carica di capo dello Stato?

“Le condizioni nelle quali si è svolto questo voto erano le peggiori: siamo alla fine di una legislatura, con gruppi politici frantumati e un sistema che ha dato segni di grave logoramento. Lo status quo, cioè il decidere di ‘non decidere’, di per sé rimanda a un’altra fase la decisione di affrontare un nuovo ciclo della vita politica del Paese. In un certo senso, si è rivelata una decisione saggia, peraltro assunta con relativa rapidità, nonostante una pressione mediatica che descriveva una normale dialettica assembleare come un caos indescrivibile: nulla di tutto ciò. Inoltre, ciascuno cercava di uscire vincitore, come se ciò determinasse chissà quale vantaggio per il futuro. La permanenza di Sergio Mattarella, al netto delle ‘sgrammaticature’ politiche, ha assunto un suo valore e un’indicazione per il futuro: è necessario attribuire alla presidenza della Repubblica un ruolo preminente. E bisogna avviarci verso una robusta riforma costituzionale, in senso presidenziale, ma democratica, eletta dai cittadini e non da un segreto e confuso conclave”.

Abbiamo un mondo politico troppo ‘chino’ sul presente, che non va oltre la prospettiva degli appuntamenti elettorali?
“Le società moderne hanno sistemi politici il cui impianto risiede nella stagione democratica che si è sviluppata nel secondo dopoguerra. Oggi, affrontiamo sfide assai complesse e, da se solo, il sistema politico non può reggerle tutte. C’è, da un lato, la diserzione dalle urne dei cittadini e, dall’altro, una poderosa partecipazione democratica nel dibattito pubblico attraverso i social. Va adottato un sapiente ‘mix’, promuovendo una democrazia deliberativa. Al tempo stesso, è necessario rendere più agevole e più rapida la capacità d’intervento nell’azione di governo. Esso può avvenire solamente attraverso una legittimazione popolare, perché le esperienze degli ultimi anni, purtroppo, ci dicono che gli italiani non hanno messo ‘becco’ nel definire il quadro politico di governo. Questo ha creato il caos, la crisi di sistema e una crescente disaffezione democratica”.

Veniamo al Psi di oggi. Si è aperto un dibattito interno sulle alleanze future: il Pd è l’unico punto di riferimento stabile a sinistra? Oppure, potrebbe esserci spazio per un qualcosa di diverso insieme a Renzi, Calenda, i Radicali italiani e le altre forze laiche? Lei cosa consiglia?
“Io rimango su un punto semplice: ‘Primum vivere’. La nostra prospettiva di rilancio autonomo è fissata per il 2024, ovvero alle elezioni europBobo_mask.jpgee, dove ci presenteremo o in forme autonome, o collegati con la lista europea dei socialisti europei. Per le prossime elezioni, mantenendo un logico vincolo con la sinistra italiana, dovremo scegliere gli alleati con i quali superare lo sbarramento elettorale e formare un ‘cartello’ elettorale. Le minoranze, quando diventano tali - e io ho ormai vissuto per trent’anni dentro un quadro minoritario - devono dotarsi di una dose supplementare di realismo, cercando di mantenere il più possibile un vincolo di coerenza e di legame con la propria nobile storia politica”.

Il declino di Forza Italia: cosa prevede per il futuro, sul fronte moderato? Si formerà una nuova ‘balena bianca’ al centro degli schieramenti, oppure teme una deriva ‘trumpiana’, che rischia di ‘polarizzare’ ulteriormente il dibattito?
“Non credo a un centro cattolico tradizionale, quanto piuttosto alla convergenza fra le espressioni, minoritarie, delle grandi tradizioni politiche europee: quella popolare, quella socialista e quella liberale. Divisi sul piano europeo, ma uniti e alleati sul piano nazionale, per rafforzare una proposta di governo. Se questa sarà la scelta comune, ne avrà un conforto e un vantaggio anche la nostra stabilità politica. Che è quello che poi desiderano i cittadini italiani e i cittadini di tutta Europa, in un momento assai complesso sul piano economico, sul piano sanitario e su quella della pace e della sicurezza”.



Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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