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Numero 22 Novembre 2016

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Numero 22 Novembre 2016

Cari amici lettori, eccoci al nostro appuntamento con la rivista sfogliabile. Come sempre, interviste e news dal mondo della cultura da leggere, commentare e condividere. La nostra copertina è dedicata aila questione culturale nel nostro Paese e ai linguaggi che si rivolgono alla pancia del pubblico. Buona lettura.

Vi ricordiamo che abbiamo creato un indirizzo mail (posta@periodicoitalianomagazine.it) al quale potete indirizzare lettere, materiali e suggerimenti. 

STORIA DI COPERTINA
Senza giudizio critico

Scrivere di cultura non è cosa semplice. A differenza del pubblico, chi per professione esprime un giudizio su un lavoro (editoriale, cinematografico, teatrale, televisivo, musicale), più che tenere conto di ciò che gli piace, analizza il prodotto a 360 gradi. Con questo non si vuole negare la capacità critica del pubblico stesso, bensì sottolineare che gli elementi di analisi sono più complessi . Laddove sono stati utilizzati da autori, registi o attori, gli elementi seduttivi della battuta ‘volgare’ volti a suscitare una risata ‘grassa’ o del politicamente corretto, strumentalizzato per suscitare consenso, il critico non si lascia infatuare e analizza cosa è ‘stato messo lì’ in modo superficiale, cerca gli elementi di originalità, veridicità e valore reale o artistico di ciò che ha davanti. Pochi giorni fa, leggendo di un progetto di sperimentazione avviato dalla Regione Toscana per la formazione del pubblico teatrale ho trovato questo passaggio: “Il pubblico che assiste a uno spettacolo teatrale potrebbe e dovrebbe essere un interlocutore vitale di una comunicazione culturale complessa e non un semplice utente-consumatore di un prodotto culturale. Per rendere fecondo il rapporto del pubblico con lo spettacolo teatrale è utile un lavoro promozionale, che conduca a elevare la qualità della fruizione dello spettatore”. Ed è proprio sulle ultime parole “elevare la qualità della fruizione dello spettatore” che mi vorrei soffermare. Perché lo spettatore italiano, suo malgrado, è il frutto di ciò che ha visto (o non visto) negli ultimi anni. Di quella televisione che prolifica di programmi dove la cultura ha ben poco spazio, dove la dialettica è declinata in urla, dove si ascolta l’opinione di tutti a prescindere. Il pubblico è importante solo in quanto audience e lo si seduce dandogli uno spazio di espressione spopositato. Si è passati da ‘la storia siamo noi’ a ‘la storia sono io’. Tutto ciò si riflette in un’assenza di punti di riferimento che impoverisce la capacità critica. E fra quegli spettatori ci sono i giovani autori, attori, registi e artisti, ai quali è impedito l’accesso a un qualsiasi apprendistato. La cultura del futuro che cresce con il fai-da-te, con l’autoproduzione e la disperata arroganza di chi vuole dimostrare di poter essere. Che mal digerisce i giudizi della critica e ‘strizza l’occhio’ al giudizio del pubblico. Per dirla alla Nino Frassica: “Non è bello ciò che è bello, ma che bello, che bello, che bello....”. Sì, lo spettatore è stato premiato con la non conoscenza. Ed evito volutamente il termine ‘ignoranza’ per non colpire la pancia e tentare di arrivare alla testa.


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