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25 Aprile 2024

Quando il coraggio te lo puoi anche dare

di Lorenza Morello*
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Quando il coraggio te lo puoi anche dare

L’episodio che ha contrapposto il quotidiano ‘New York Times’ al presidente americano, Donald Trump, ci porta a riflettere una volta di più sul tema delle fonti anonime nel giornalismo d’informazione

Geoffrey Crowther, direttore dell’Economist dal 1938 al 1956, sosteneva che l’anonimato mantenesse l’autore “non il padrone, ma il servitore di una cosa molto più importante di lui… Dà al giornale una straordinaria forza di pensiero e princìpi”. Storicamente, infatti, molte pubblicazioni stampavano articoli senza firma, per dare ai singoli autori la libertà di assumere voci diverse e permettere ai giornali medesimi di dare l’impressione che i loro articolisti fossero più numerosi (i primi numeri dell’Economist, per esempio, erano scritti interamente dal fondatore, James Wilson). Ma dopo essere nato come un modo di far sembrare che una persona fossero molte, l’anonimato è divenuto un modo per ottenere l’effetto opposto: permettere a molti autori diversi di parlare con una voce collettiva. Gli editoriali, discussi e dibattuti ogni settimana in riunioni a cui partecipano tutti i membri dell’editorial staff, sono spesso aggiornati e corretti estesamente. Il risultato è che i contributi che vanno in stampa sono spesso l’opera della coscienza collettiva dell’Economist, piuttosto che di un singolo autore. La ragione principale dell’anonimato è la convinzione che quello che viene scritto sia più importante di chi lo scrive.
Ora potremmo chiederci se e quale attinenza abbia il suddetto criterio con quanto accaduto di recente nei confronti del presidente americano, Donald Trump, per opera del quotidiano 'New York Times'. Laddove a un lettore che voglia formare la propria opinione dovrebbero sempre interessare le cose più di chi le dice, è parimenti vero che, specie quando si tratta non di opinioni filosofiche su concetti astratti bensì, come nel caso di specie, di accadimenti di rilevanza socio-politica importante e dai possibili risvolti penali, la fonte sarebbe da considerarsi tutto fuorché secondaria. Perché 'chi dice cosa' fa la differenza; perché metterci la faccia significa non temere smentita; perché la vita, anonima non lo è mai; perché la verità non dovrebbe dimostrare paura. Ecco, quindi, ciò che dovrebbe distinguere la ‘piraterìa’ del web da un giornale blasonato, o un ‘blog’ da una testata. Ecco perché si può ritenere alquanto discutibile che un giornale storico compia un atto di questo genere, dato che non siamo nel campo della cronaca nera, in cui un informatore rischierebbe una violenta rappresaglia, né in quello della cronaca giudiziaria, in cui conta la l'inoppugnabilità della prova prodotta e non la sua provenienza. Ecco perché ci risulta difficile ritenere questa mossa slegata dalla crisi dell’editoria che, da molti anni ormai, attanaglia la carta stampata. Ed ecco perché, da qualche giorno, dopo anni, non compro più il 'New York Times'.

*Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
Cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A.D.R. & Conflict Management
www.morelloconsulting.it

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