A prescindere dalla montagna di ‘fake news’, gli atteggiamenti più comuni che si possono riscontrare nei media continuano a dar luogo a contraddizioni in cui trova posto tutto e il contrario di tutto, dalla deprecazione apocalittica all’esaltazione degli aspetti miracolistici del progresso tecnologico
L’indirizzo distaccato e razionale di una linea editoriale viene spesso contestato in quanto mera 'suggestione', come semplice orpello decorativo che potrebbe benissimo vedersi innestato in svariati altri distinti contesti ideologici o politici. Ma un'informazione più razionale non rappresenta affatto una forma di snobismo edonistico, bensì il semplice tentativo di dettare nuovi metodi di comunicazione all’interno di un panorama culturale complessivo alquanto disordinato, se non addirittura astratto. La razionalità di un giornale è, perciò, tendente a generare nuovi punti di riferimento di 'area' e non semplicemente politici o di partito, poiché essa discende da elaborazioni che cercano di informare i lettori, non di indottrinarli. Inserire una linea di questo genere all’interno di un panorama ideologico 'altro' rappresenterebbe solo un modo per accreditarsi ideologicamente, come quando ci si presenta con un vezzoso biglietto da visita. Ciò comporta il dato di fatto che un
qualsiasi organo di informazione, nell’attuale fase storica, una posizione precisa forse non possa neanche prenderla, perché finirebbe col trovare punti di contatto con ogni tradizione, ma anche precisi e netti luoghi di divisione, se non di vera e propria incomprensione. La razionalità dell'informazione non è solamente una connotazione culturale utile, come spesso accade, a darsi un contegno nel corso di un dibattito, bensì la più pericolosa, scomoda e insinuante accusa nei confronti del mondo politico, sociale e culturale preso nel suo complesso, il quale continua a rifiutarsi di osservare in profondità numerose questioni, rinunciando a quei 'paraocchi ideologici' che le impediscono di vedere le cose con un più elevato grado di obiettività.
Una questione di indagine fondamentale, per esempio, è proprio quella relativa alla grave crisi culturale e psicologica che attraversa la società italiana da alcuni decenni a questa parte. Una difficoltà che deriva dalla mancata analisi della relazione esistente tra la morale cattolica e uno sviluppo tecnologico dotato di un altissimo grado di scientificità. Si tratta di un terreno scarsamente indagato, in quanto viene spesso sottostimato il grado di percezione della natura intrinsecamente culturale dellp sviluppo tecnologico in atto, il quale non è altro che una nuova razionalità produttrice di valori. Limitarsi a osservarne gli effetti sotto il mero profilo dei cambiamenti di costume rappresenta ben poca cosa: un mero esercizio di 'colorazione' della realtà la quale, invece, possiede un proprio 'scheletro' di sistema niente affatto 'neutrale'. E ciò non solamente dal punto di vista dei consumi, ma anche da quello delle nuove regole, dei nuovi comportamenti, dei nuovi bisogni che tecnologia e scienza richiedono o sono in grado di stimolare. La morale, in genere, è dominata dalla questione del 'controllo etico
' sull’uso degli strumenti tecnologici e scientifici. Un approccio che le impedisce di interrogarsi sui nuovi problemi che proprio il dinamismo culturale espresso dallo sviluppo scientifico finisce con l’imporre alla morale stessa e alla sua organizzazione. A prescindere dalla montagna di 'fake news', gli atteggiamenti più comuni che si possono riscontrare nei media continuano a dar luogo a contraddizioni in cui trova posto tutto e il contrario di tutto, dalla deprecazione apocalittica all’esaltazione degli aspetti miracolistici del progresso tecnologico, senza naturalmente dimenticarsi di passare attraverso il trasalimento mistico, la deriva apologetica o le preoccupazioni censorie. Ma tutto questo dimostra, semplicemente, come non solo la morale cattolica, ma quella di tutte le religioni siano da tempo 'a rimorchio' rispetto all’avanzamento tecnologico in atto. La qual cosa si traduce in un sensibile, anche se da molti non percepito, allontanamento tra prescrizione e vissuto, tra norma e prassi. Questo fenomeno avviene perché il processo di secolarizzazione delle moderne società non è affatto un 'principio', bensì una finalità. Non rappresenta assolutamente l’inizio di un nuovo mondo o di una nuova era, ma la conclusione definitiva di una 'lacerazione etica' già avvenuta da tempo. In termini puramente sociologici, la società si è ormai laicizzata, anche se essa non sembra esserne consapevole o non lo vuole ammettere per motivazioni di carattere meramente ideologico o di forzato 'allineamento' politico. Si tratta di un distacco tra dimensione laica e dimensione sacrale, da cui deriva un sempre più forte senso di schizofrenia, di cui sono avvertibili i sintomi nell’ambito stesso del nostro 'ethos collettivo' ed il cui prodotto finale è divenuta la prevalenza di un’etica 'soggettivista' o meramente corporativa della società, ormai composta solamente da 'frammenti' isolati dal proprio contesto.
Non
accorgersi di tutto questo, non riuscire a cogliere l’errore delle continue derive subculturali che stanno avvenendo nella nostra società, da quella prettamente tradizionalista a quella più tristemente provinciale e 'localista', non può far altro che generare un quadro sociale complessivo sempre più depresso e sconcertante, che rischia veramente di 'tagliarci fuori' dal resto del mondo, che tende a trasformare il nostro Paese in un 'cortile'. Un atteggiamento moderno e razionale dell'informazione non può non sottostare a una presa d’atto obiettiva, se non addirittura indifferente, verso una gestione della cosa pubblica. Perché ciò è un dato che non entra affatto in relazione con il reale contesto di una società che proprio non riesce più a trovare un grado normale di felicità, di appagamento, di realizzazione psicologica e pratica della propria vita. Le cause del nostro attuale malessere sono altre, derivano da fattori diversi e ben distinti, che riteniamo non siano stati analizzati per tempo sia sul terreno strettamente economico, sia su quelli più eminentemente culturali. Una questione che non può essere affrontata attraverso desuete schematizzazioni ideologiche, né tantomeno con il semplicismo paternalistico.
