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20 Aprile 2024

Bobo Craxi: "Possiamo scongiurare l'avvento degli sprovveduti a 5 stelle"

di Michele Di Muro
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Bobo Craxi: "Possiamo scongiurare l'avvento degli sprovveduti a 5 stelle"

Parla il figlio del grande leader del Psi, Bettino Craxi, che in questa lunga intervista ci ha aiutati ad analizzare le tare di fondo del sistema politico italiano e della sua classe dirigente, la quale non sembra essere all'altezza innanzi al compito di far riemergere l’Italia dalla sua lunga fase depressiva

Anche il Partito socialista italiano ha subìto, in questi giorni, la sua scissione. Il 'pomo' della discordia è sempre lui, Matteo Renzi, che in questi ultimi anni ha ‘infilato’ la sinistra italiana all'interno di una 'strettoia' di mancati risultati e di sconfitte che lascia, oggi, attonita persino una buona parte dell’elettorato convintamente progressista, con il rischio di andare a gonfiare le fila del consenso ‘grillino’. Ricostruire nuovi equilibri, secondo Bobo Craxi, è dunque divenuto prioritario. Ecco insomma il parere del valente sottosegretario agli Affari Esteri che fu protagonista, nel 2008, di una vittoria clamorosa, a lungo ‘rivenduta’ da altri, sotto il profilo mediatico, anche a posteriori: l’Expo di Milano 2015.

Onorevole Craxi, cosa è successo nel Psi? Siete di nuovo sull’orlo di una scissione?
“Direi che con la celebrazione dell’ultimo Congresso si è sancita, di fatto, una separazione politica che era in atto già da un paio d’anni. La questione del referendum costituzionale e le sue conseguenze hanno reso incompatibili due posizioni che esprimono, nei fatti, giudizi radicalmente opposti su quasi tutto: a) sulla situazione politica italiana in generale; b) sull’esperienza del Governo Renzi, che abbiamo sostenuto; c) sulle prospettive della sinistra e del Paese; d) sulla politica delle alleanze; e) sull’autonomia del Partito; f) sulla sua gestione in ragione dei risultati prodotti. Per tutta queste serie di ragioni, avevamo invitato i compagni della segreteria ad avviare un percorso di gestione unitaria fra socialisti del ‘Sì’ e quelli del ‘No’, al fine di intensificare un percorso di chiarimento politico interno e uno sforzo comune di riflessione programmatica, in attesa dell’evoluzione del quadro politico e dell’approvazione della legge elettorale, nella convinzione che l’introduzione rinnovata del proporzionale assegnasse ai socialisti un compito nuovo, forse a loro più congeniale. Prove e chiarimenti avrebbero mantenuto il nostro Partito in un quadro di riferimento più largo, che poteva contenere spinte e tendenze differenti, ma unificate nel segno della comune tradizione politica. Per ragioni burocratiche, si è invece voluto accelerare l’appuntamento, sfidando naturalmente le minoranze. Si sono regolati i conti, ma il Psi in quanto tale, non ha offerto, nel corso del dibattito, alcuna prospettiva politica, né elettorale, chiara. Si è semplicemente confermata la lealtà a Renzi. Anzi, si è solennemente dichiarato che “il Psi sta con Renzi”, preliminarmente. Questo confligge non soltanto con l’opinione della stragrande maggioranza dei socialisti, ma anche con l’interesse generale di chi avverte che, senza una forte discontinuità, il Paese rischia di essere consegnato direttamente alle destre o al nascente fascismo a ‘cinquestelle’. E’ ovvio che, oggi, ci sono socialisti che si sono messi ‘in movimento’ e che intendono valorizzare la loro battaglia vincente in difesa della Costituzione, la quale, per la prima volta dopo molti anni, ci ha rimesso in sintonia con la maggioranza del Paese”.

Quali sono, esattamente, le due linee politiche che non sembrano riuscire a trovare una sintesi, all’interno del Partito?
“Noi abbiamo sempre pensato che fosse un errore far coincidere posizione di Governo e guida del Partito con la stessa persona: ciò ha impedito il dispiegarsi di una politica autonoma e ha prodotto, inevitabilmente, l’appiattimento su alcune questioni fondamentali, nonostante ci si sia affannati a spiegare che non è stato così. Le uniche parole ‘feroci’ o polemiche che ho sentito pronunciare da Nencini in questi anni sono quelle che egli ha rivolto a me dalla tribuna del Congresso, suscitando una grande reazione negativa da una base socialista che mi ha sempre riservato grande simpatia, attenzione e solidarietà. Noi abbiamo cercato di suscitare un dibattito che non disperdesse le ragioni di fondo di un Partito socialista che si dotasse di una propria autonomia, che contribuisse a sviluppare, all’interno della sinistra, un proprio ruolo originale. Lo spazio si è vieppiù ampliato dopo la crisi del Partito democratico e a causa del giudizio, ormai sprezzante, che i cittadini italiani riservano ai Partiti della seconda Repubblica. C’era una ‘doppia funzione’ che i socialisti potevano - e io aggiungo che ancora possono esercitare - di orientamento di una sinistra smarrita, di garanzia per molti italiani che non hanno affatto dimenticato quale sia stato, nella nostra lunga Storia, il ruolo decisivo, per lungimiranza politic e responsabilità, dei socialisti italiani. Un tema che non mi è sembrato centrale nelle discussioni congressuali che si sono disperse fra un riconoscimento doveroso a Emma bonino, il rimpianto della stagione della rosa e un interlocuzione con il buon Cicchitto disperso nella palude centrista mentre come nella commedia del Beckett si attendeva almeno un segnale democratico che non è arrivato se non nella fredda formalità di una letterina. E’ ovvio che soltanto la polemica interna poteva riscaldare i cuori, ma le polemiche all’alba svaniscono e resta il vuoto di una proposta politica da colmare e che noi cercheremo di colmare”.

Secondo lei, la tendenza a tenere questi Congressi come fossero delle semplici ‘convention’, con votazione finale per 'acclamazione formale', non rappresenta, a sua volta, una crisi evidente anche del cosiddetto ‘Partito-leggero’ di derivazione ‘berlusconiana’?

“Il Congresso in questione ha avuto luogo, innanzitutto, per sanare una questione di ordine burocratico non secondaria: la causa che alcuni compagni hanno intentato nei mesi scorsi dopo aver rilevato delle irregolarità nelle procedure del congresso precedente. Un giudice in fase di inchiesta ha sospeso gli effetti dello scorso congresso e ha spinto affinché si promuovesse una riconciliazione, che evidentemente non c’è stata, nonostante io stesso mi sia fatto promotore di una chiusura della questione. E’ inoltre accertato come le strutture e i Partiti ‘pesanti’ non corrispondano più alle forme di espressione della vita democratica. Tuttavia, io ammonisco che questo costante richiamo alla ‘democrazia diretta’ nasconda nostalgie plebiscitarie e crei una dicotomia quasi insanabile fra il ‘palazzo degli eletti’, che oggi possiamo definire “nominati” e la ‘piazza’. L’idea che si possa fare a meno di regole e istituzioni è ‘strisciante’ e ben presente in molti settori della società italiana, da quella politica, a quella manageriale e industriale: una sorta di repulsione verso il parlamentarismo e le sue forme di espressione. Oggi si attaccano le pensioni perché non si ha il coraggio di contestare lo stipendio, ma si arriverà anche a quello. La società può fare a meno dei politici? L’alternativa è il ‘pilota automatico’ di Bruxelles, oppure il ‘guru telematico’, che si presenta sotto la forma accattivante di un ‘attempato’ comico genovese: uno scenario da incubo totalitario...”.

Non crede che si stia facendo di tutto, ultimamente, per concedere ‘vantaggi’ di ogni tipo al Movimento 5 stelle e alle forze populiste? Perché questa tendenza al ‘suicidio politico’, secondo lei?

“I movimenti che si stanno affermando in questa fase storica in tutta Europa e che si caratterizzano, innanzitutto, per la loro impronta fortemente antisistema e antiparlamentare, trovano certamente nelle difficoltà di ordine generale e nella crisi dei Partiti tradizionali il terreno più propizio per sferrare attacchi. Tutto questo, sommato alla lunga fase di difficile riassesto delle finanze europee, ma anche alla ‘cecità’ e agli egoismi nazionali, ha aperto la strada a movimenti che, certamente, stanno crescendo nell'opinione pubblica. Io interpreto ciò che si muove a sinistra come un estremo tentativo di contenere e indirizzare le ragioni di fondo di questa protesta verso posizioni più ragionevoli e, in definitiva, comprendendole all’interno del sistema democratico. Ma a me pare anche - e alcune recenti dichiarazioni dei leader dei ‘cinquestelle’ sono lì a dimostrarlo - che tale operazione di ‘contenimento’, fatta in questi anni, ovvero quella di portare in parlamento la protesta popolare, non abbia più margini di controllo. Si é esaltata la violenza civile al fine di giustificarla: per quanti errori possano commettere i Partiti tradizionali non può essere giustificata la critica generalizzata, soprattutto in una fase in cui l'intera democrazia occidentale si ritrova alle prese con fenomeni nuovi, che non riesce a padroneggiare con efficacia. La stessa globalizzazione, a lungo salutata come elemento di sicurezza e di pace fra i continenti, ora viene vissuta come una minaccia. In verità, essa ha prodotto disuguaglianze e ‘distanze’ che la politica tradizionale non ha saputo prevedere, o non aveva previsto”.

Lei è forse interessato a quanto sta accadendo sul ‘fianco sinistro’ del Pd, con le operazioni Mdp e altre, come quella di Giuliano Pisapia? Se sì, perché?
“Queste forze a cui lei fa riferimento hanno partecipato alla vittoria del ‘No’. Non vi è dubbio che la Costituzione rappresenti, ancora oggi, un'arma per mezzo della quale è possibile contrastare l'offensiva che viene mossa da coloro che intendono ridurre le sovranità nazionali e, con esse, la capacità di continuare a difendere diritti e valori tutelati. C'è un'azione politica che esalta l'articolo primo della Costituzione, interpretando il suo significato più come una sorta di ‘scBobo_Craxi_Onu_2.jpgudo difensivo’ che come strumento programmatico. Ma vi è anche una convergenza oggettiva della sinistra italiana, affinché essa si riconosca su valori comuni, pur partendo da basi differenti. Ho incontrato diversi esponenti di questo nuovo movimento, a partire dal compagno Speranza, che peraltro è figlio di un vecchio dirigente socialista. E mi riprometto di farlo ancora, nelle prossime settimane. I ‘socialisti in movimento’ devono dialogare con tutti coloro che convergono sulla medesima analisi politica dell'Italia del 2017”.
        
Si tornerà presto ai Governi di coalizione della prima Repubblica, secondo lei?
“Si. E non la considero affatto una ‘tragedia’. Anche nel sistema maggioritario vi era un vincolo di coalizione, ma sovente esso era formato artificiosamente, in vista delle elezioni, andando a moltiplicare le forze politiche col solo scopo di superare la soglia del 51%. Ci dev’essere uno sforzo maggiore tra le forze politiche che hanno una cultura di Governo a spingere verso un accordo programmatico o un compromesso di ordine generale, che abbia al centro l’interesse nazionale. Partiti ‘dominus’ alle viste non ci sono: anche se i loro ‘capi’ indossano la ‘grisaglia’, non mi pare che i ‘cinquestelle’ vedano all’orizzonte la maggioranza assoluta che ‘spiattellano’. Penso che la sinistra italiana avrebbe avuto maggiore ragione di riflettere su ciò che non era andato bene con la politica delle ‘larghe intese’ per indirizzarsi verso un governo certamente di coalizione, ma con un segno più pronunciato di sinistra progressista e riformista, come per esempio avviene in Portogallo. E’ evidente che questa non è la cifra delle guide post-democristiane del Partito democratico”.
 
Quale è stato l’errore di fondo, o quello più grave, della seconda Repubblica? Aver gettato l’acqua ‘sporca’ con tutto il ‘bambino’?
“Il periodo che comunemente chiamiamo seconda Repubblica è quello che, grossomodo, coincide con le esperienze paritetiche dei Governi Prodi e Berlusconi. E’ stata, nei fatti, una ‘Prima Repubblica 2.0’ nei suoi  protagonisti principali. Il sistema maggioritario, che doveva fornire maggior stabilità e alternanza fra gli esecutivi del Paese, non ha retto all’anomalia italiana che si è perpetuata per un ventennio. Ovvero, quella del ‘convitato di pietra’ del sistema istituzionale, che è il potere della magistratura: un’influenza che ha segnato il destino di diversi esecutivi. Per il resto, il ‘vincolo esterno’ del maggioritario ha segnato, più che la stabilità politica, la capacità dei Governi e dei Partiti di sviluppare azioni politiche capaci di ridare slancio all’economia e, nel contempo, di difendere traguardi acquisiti nel tempo. Purtroppo, l’impoverimento progressivo dei ceti medi, la perdita di velocità e di forza del sud, il graduale allontanamento dei ceti popolari dalla guida del Paese e il loro ‘spostamento’ verso derive reazionarie, il cedimento dei governi di sinistra su questioni come lo Statuto dei lavoratori, la fine del peso politico italiano in Europa e nel Mediterraneo rappresentano un lascito tragico di questa seconda Repubblica, fino a rendere persino impietoso il raffronto con la prima...”.

Non crede che molti errori siano stati commessi anche e soprattutto dagli eredi del Pci, che sembrano non avere più idee proprie e che inseguono, spesso, le destre su un terreno ‘nuovista’ che non gli appartiene?
“Assegnare pagelle e distribuire responsabilità è un gioco facile, ma non aiuta a risolvere i problemi del domani. La responsabilità più grande degli eredi del Pci è stata quella di ‘aprire le porte’ e assecondare la stagione del giustizialismo italiano. Vedo e leggo che, oggi, ci sono, finalmente, dei ripensamenti, ma quello fu indubbiamente un errore capitale. Proprio sul terreno del ‘novismo’, entro il quale si nascondono tutti i ‘germi’ dell’antiparlamentarismo reazionario, l’ex premier Matteo Renzi ha impostato la sua campagna referendaria, persa rovinosamente. L’illusione che una fase di rinnovamento caotico abbia uno sbocco progressista è purtroppo appartenuta, per molto tempo, a una parte rilevante della sinistra italiana. La rivoluzione traumatica del 1992-‘94 non poteva che avere uno sbocco a destra. E così è stato. Ogni buon manuale di Storia delle Rivoluzioni contiene questi insegnamenti: evidentemente, non tutti li hanno letti”.

Dobbiamo proprio rassegnarci a vedere Di Maio e Di Battista al Governo del Paese, secondo lei?
“Detta così, sembra che l’avvento di questo fenomeno, dai connotati indubbiamente irrazionalisti, sia ineludibile. Per dirla con Gramsci, io non ho affatto paura dei pericoli, specialmente quando se ne conoscono la radice e la ragione. E’ ancora possibile scongiurare il pericolo che tanti ‘Chancey Giardiniere’, ovvero uomini sprovveduti ma ben guidati, s’impossessino del potere pubblico sorretti da una poderosa ondata di consenso popolare. Il compito delle persone di buona volontà, dei riformisti in definitiva, è quello di spiegare, continuare a spiegare, che nelle condizioni date non è semplice ottenere subito, in tempi rapidi, grandi risultati, ma che è possibile imboccare la via dei miglioramenti parziali delle condizioni di vita e di lavoro, soprattutto se si pone rimedio agli errori fatti in passato e se vi sarà una sensibile correzione nella redistribuzione delle ricchezze. Il resto sta in capo alla capacità dei Governi di ridurre il carico della spesa pubblica e avviare riforme che facilitino - e non complichino - la vita dei lavoratori e delle lavoratrici. C’è uno slogan molto efficace dei socialisti portoghesi, che fa riferimento ai loro recenti progressi ottenuti: “Quanto meglio, tanto meglio”! Piccoli e sensibili cambiamenti, in una situazione internazionale complessa, sono già dei poderosi passi in avanti rispetto alla stagnazione e alla recessione. Una nuova politica economica può ridurre il rischio, ormai conclamato, di progressivo impoverimento della popolazione e della cessione a forze esterne del nostro patrimonio industriale, pubblico e privato. Per questo motivo, una nuova espressione nazionale del socialismo riformista, nella sinistra italiana, può essere di grande aiuto, affinché tutto ciò non accada”.

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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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