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16 Aprile 2024

Un’informazione più curiosa e meno stereotipata

di Francesca Buffo
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Un’informazione più curiosa e meno stereotipata

Fra dibattiti televisivi che sono sempre gli stessi da un canale all’altro e trasmissioni che puntano a un’informazione scientifica mescolata al mistero, come è cambiato il giornalismo televisivo? Ne parliamo con Corradino Mineo direttore di Rainews24.

Corradino Mineo, molti programmi televisivi sedicenti culturali hanno trovato una formula tra lo scientifico e il fantastico. Perché stanno avendo tanto successo questi format?
Perché tutti quanti, oggi, siamo in modo molto palese alla ricerca di un senso, nel mondo e anche in Italia. La televisione restituisce questa richiesta di senso spesso male, in modo superficiale, proponendo un modello a cui identificarsi: quello del ‘giornalista scienziato’, del ‘giornalista superman’ o conoscitore delle scienze occulte, che guida in posti improbabili. Io non amo molto questo uso della televisione, però sappiamo tutti che ormai è diventato un ‘classico’ come modello d’identificazione ‘minore’, diciamo così…”.

Questo significa che ci sono dei programmi ‘buoni’ tipo ‘Quark’, assolutamente scientifici e validi anche da un punto di vista documentaristico, mentre invece altri esagerano?
“La questione è un’altra: noi tutti, naturalmente, col tempo ci trasformiamo in qualcos’altro, iniziamo a fare spettacolo per noi stessi, seguendo un genere diverso. Non so se avete presente il Fabio Fazio di ‘Che tempo che fa” rispetto al Fabio Fazio degli inizi: oggi, lui ci parla dei suoi amici, che sono in tutto il mondo, come quando Pavarotti faceva lo spettacolo dei ‘tenori’. Questa tendenza è normale: è la celebrità che ti trasforma così. Invece, ‘Quark’ prevedeva la figura del ‘giornalista divulgatore’ che raccontava. Si tratta di un modulo tradizionale, che molti programmi prevedono ancora. Invece, molti altri programmi, non è il caso di citarli, sono andati oltre, proponendo un mediatore nel quale identificarsi, un giornalista che ti guida nei posti più improbabili del mondo, che utilizza i trucchi che la televisione gli può consentire, dal ‘chroma key’ – un effetto speciale che unisce due sorgenti video, creando sfondi particolari dietro il conduttore, ndr –  ad altro: insomma, siamo arrivati alla figura del ‘giornalista occultista’…”.

Infatti, talvolta si tende anche un po’ a impressionare il telespettatore facendo il ‘verso’ al genere cinematografico horror, non è così?
“Sì, sicuramente. Ma la cosa interessante è la differenza sorta tra la trasmissione tradizionale, in cui il giornalista resta tale e può raccontare tutto quello che ha saputo attraverso le informazioni che ha raccolto o le persone che ha intervistato e il personaggio che, oggi, viene proposto. Infatti, oggi il giornalista tende a proporre soprattutto se stesso: lui nell’occulto, lui fra le scienze, lui nelle situazioni più estreme, lui nella Pompei di 2 mila anni fa e così via. Tutto questo è un altro stile, un’altra ‘roba’…”.

In quanto direttore di Rainews24, al di là degli spazi che conduce lei direttamente, come si crea un palinsesto di format non banale, non letargico? Come si bilancia la richiesta del pubblico e quanto, invece, si deve comunicare?
“La nostra formula è quella di fare 2 lunghe riunioni al giorno e, nel corso di queste riunioni, esprimere tutto quello che ci piace o non ci piace, quello che dovremmo fare, quali sono le centomila notizie che, in realtà, non sono notizie, o sono sufficientemente od ossessivamente ripetute dalle agenzie di stampa, oppure che non hanno senso se non vengono spiegate. Quindi, 2 riunioni al giorno: questa è la prima ‘chiave’. L’altra, ben più complessa per un palinsesto come quello di Rainews24, è quella di evitare le ‘rubriche’, perché in queste ognuno tende a ripetere un fatto specifico. Evitare questa ripetizione di moduli fa sì che la persona che si colleghi a una news voglia saperne sempre di più, voglia anche l’approfondimento, la curiosità, il ‘dietro’ la notizia legata a qualcos’altro. Voglio dire: se io mi permetto un’escursione sul fatto che il 17 marzo 1861 si è riunito il primo parlamento italiano, che questo parlamento aveva 400 e passa deputati eletti soltanto da 240 mila italiani, mentre gli altri 22 milioni erano solo sudditi, questo è un approfondimento che il pubblico di Rainews24 gradisce. Ma se io faccio una rubrica storica vera e propria, la formula diventa ripetitiva e taglia fuori un po’ di pubblico: quello che vuole le notizie del giorno e, magari, le vuole andando oltre. Diciamo che il nostro lavoro è quello di distruggere le formule: non è che ci riusciamo sempre, perché una certa noia e ripetitività, talvolta, c’è anche nella formula delle news”.

Quindi, è meglio parlare di Storia con l’occhio della cronaca o dell’attualità, piuttosto che con quello del mero documentarismo, che potrebbe anche esser ritenuto ‘pesante’ sotto il profilo pedagogico?
“Diciamo che la rubrica in sé diventa una cosa che non ha niente a che fare con le notizie, che diventano poche e ripetitive. Invece, è molto meglio utilizzare la ricchezza delle 24 ore al giorno per non dare solo quelle notizie, o per non dare sempre quelle. Per esempio, se il telegiornale viene ingessato in un orario ‘fisso’, che cosa succede? Succede che le prime 10 news le devi mettere per forza: vuoi non dare quelle che Repubblica ha nel suo sito? O quelle del Corriere? O i lanci di sintesi dell’Ansa? Le devi mettere per forza e tutto il resto scompare. Ma questo è sbagliato, dal punto di vista dell’informazione. Dal punto di vista dell’approfondimento è lo stesso: se parliamo di scienza, per esempio, io ricordo un’esclusiva molto bella che abbiamo ottenuto proprio noi di Rainews24 quando il vulcano islandese, quello col nome impronunciabile, bloccò tutti gli aerei del mondo. Quella volta lì è venuta fuori una discussione molto interessante su Avatar di Cameron, cioè sostanzialmente sulla natura che non sempre è ‘buona’, che può essere matrigna. Ma è stato un parallelismo nato così, legato a un fatto di cronaca e il nostro pubblico ne è rimasto interessato. Se, invece, ci mettessimo a dare in modo ripetitivo e ‘rituale’ pillole di scienza, quello che succede è che, innanzitutto, il giornalista cambia mestiere, cioè da giornalista ‘onnivoro’ con dei suoi interessi, diviene uno ‘specialista’ che tende a raccontare solo certe cose proponendosi ‘molto’, detto brutalmente. L’esperto, anziché essere una persona che si mette in discussione e che può parlare di tutto con versatilità, diventa, invece, qualcuno che fa lezione. E questo non funziona. Occorre, insomma, distruggere gli schemi fissi”.

Nei palinsesti di ‘prima serata’, anche laddove c’è il giornalista conduttore che non accentra tutto su se stesso, ma chiama in causa un esperto, talvolta si danno per scontati degli elementi e non sempre il conduttore riporta l’attenzione su un dato che può risultare mancante all’ascoltatore. In particolar modo, le nuove generazioni di giornalisti non sembrano rispecchiare questo tipo di preparazione, perché?
“Innanzitutto, noi viviamo in una fase, lo stiamo vedendo anche dall’altra parte del Mediterraneo, in cui il livello di preparazione culturale delle persone è molto grande, molto più che in passato. Oggi, c’è internet: qualcuno ha persino paragonato l’evoluzione di internet a quella della stampa al tempo della grande Riforma. E quindi? Cosa vogliono le persone da noi come approfondimento? Mi è capitato di finire su un libro importante di Storia, che trattava di Maometto e Carlo Magno, parlando del Mediterraneo diviso a metà. Era una tematica veramente colta e  ne parlavo con un esperto che ne ha conoscenza. Però, quello che passa, se serve a far capire questa strana cosa di un Mediterraneo diviso per secoli che, forse, oggi ha la possibilità di essere meno diviso se quello che succede a sud diventa una forte spinta verso la democrazia. Se, invece, il giornalista ti predica la sua saggezza, beh, allora è tutta un’altra storia: questo è il punto. Io non so se i colleghi più giovani siano meno preparati: credo, tuttavia, che escano con una forte motivazione: “Io faccio il giornalista e vi spiego il mondo”, perché le scuole gli forniscono più strumenti di quelli che avevano i giornalisti della mia generazione. Però, questa visione può anche essere una deformazione di fondo”.

Cioè una concezione del giornalismo come missione messianica o qualcosa del genere?
“Voglio dire: io parlo di persone che ho conosciuto che erano professionisti che non potendo fare politica si sono messi a fare i giornalisti, come il mio amico Guido Vulsia, che non riuscendo a diventare scrittore si è dedicato al giornalismo. Lo stesso Ciotti, esperto telecronista sportivo, era in realtà un innamorato di jazz e musica. Ora, invece, arrivano molti giornalisti che vogliono fare il giornalista, che hanno il ‘fuoco sacro’. Benissimo, se non sono garantiti, fanno anche un lavoro straordinario: ci sono molti giornalisti free lance per necessità, non per scelta, che fanno un lavoro straordinario. Se però arrivano in televisione e mi diventano il curatore di una rubrica, il conduttore, colui che spiega il mondo: beh, il mondo per spiegarlo devi capirlo. A me piace molto e la mia redazione, in qualche misura, mi segue in questo: ammettere che non sai, ammettere che puoi sbagliare, ammettere che stai cercando una cosa e che lo fai con gli strumenti che hai, che non sono l’assoluta cultura, sono solo ‘pezzi’ di cultura. Voi pensate alla politica: l’Italia oggi è divisa in due, se parliamo di diritto o di Costituzione due giornalisti di diverse estrazioni, hanno culture completamente diverse. Allora, se il confronto ha un senso, non devi considerare che le tue letture e la tua conoscenza siano verità assoluta, altrimenti non c’è confronto”.

Ci si dimentica dell’umiltà del giornalista e anche dell’umiltà personale?
“Un umiltà anche arrogante, se si vuole. Perché se uno si consente anche di parlare di cose non ovvie quali Maometto e Carlo Magno, come dicevo prima, lì il problema è: l’islam l’hanno fermato le crociate o lo ha fermato Carlo Martello a Poitiers, oppure l’islam in politica trova le ragione per fermarsi e ragionare di sé? È un tema di grande attualità, questo, che però si può affrontare se tu non presumi di avere la ricetta. Perché se pensi di avere la ricetta ‘tiri via su tutto’. Io, per esempio, trovo che molti servizi dall’estero siano sempre più inguardabili, francamente, perché ci sono grandi cambiamenti nel mondo e invece si applicano degli stereotipi, delle formule. Non parliamo dell’economia: che la crisi stesse montando si capiva benissimo, bastava guardare i dati dei tre deficit americani (quello federale, quello delle partire correnti e quello delle famiglie). Però si continuava a dire che non era così, perché l’onda lunga del giornalismo economico diceva che non era vero. Da questo punto di vista, recuperare un po’ più il senso del flusso delle notizie e fare l’approfondimento ogni volta che serve, anche in modo meno superficiale di come si faceva un tempo, senza irrigidirlo in un palinsesto fisso a me pare la cosa migliore”.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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