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17 Aprile 2024

Furio Colombo: "Una rozza demenza si è insediata al governo del nostro Paese"

di Giuseppe Lorin
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Furio Colombo: "Una rozza demenza si è insediata al governo del nostro Paese"

La riflessione di uno dei nostri più grandi giornalisti di sempre, per molti anni corrispondente dagli Stati Uniti per ‘La stampa’ e ‘Repubblica’ nonché storico direttore de ‘l’Unità’, al quale abbiamo chiesto di aiutarci a decifrare questa ‘strana fase’ che la società e la politica italiana sta attraversando

Abbiamo incontrato varie volte Furio Colombo, per definire insieme a lui i tratti essenziali di questa nostra ‘strana’ Italia di oggi. Politico, scrittore e giornalista, Furio Colombo è stato, nel 2000, l’ideatore e il primo firmatario della legge n. 211, da lui tenacemente voluta, che istituisce il 27 gennaio come ‘Giorno della Memoria’, in ricordo del 27 gennaio 1945, quello in cui avvenne la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia. Il ‘Giorno della Memoria’ è poi divenuta, nel 2005, ricorrenza riconosciuta dall’Onu per ricordare la ‘Shoah’ e i perseguitati politici. Fin dalla sua istituzione, questo evento commemorativo ha conosciuto il consolidato tributo da parte di organi istituzionali, scuole e personaggi di primo piano, ma è anche fonte di critiche molto diverse fra loro. La cancelliere tedesca, Angela Merkel, cristiano-democratica, si associò al Papa nell’esprimere lo sdegno contro il vescovo negazionista Richard Williamson, ribadendo che la ‘Shoah’ è stata “un crimine contro Dio e contro l’umanità ed è inaccettabile e intollerabile chi, tra gli uomini, neghi o minimizzi l’immane catastrofe che, per ordine di una ideologia errata, venne compiuta”. Oggi, si parla tanto del ritiro dalla vita politica di Angela Merkel: una notizia accolta in tutto il mondo con preoccupazione. Solo nel governo russo vi stato un certo ‘rilassamento’, da tempo agognato. È infatti accertato che l’orizzonte degli Stati Uniti d’Europa arreca molto fastidio sia a Trump, sia a Putin. Per non parlare dei loro fanatici ammiratori, che si aggirano anche nei corridoi di Palazzo Montecitorio. L’idea di avere, un giorno, un unico presidente degli Stati Uniti d’Europa allarma molto le ambizioni degli attuali leader delle singole nazioni europee. Ma il ‘populismo’ di questi anni lascia anche avvertire molti ‘rigurgiti antisemiti’. Non ultima, la tragica strage di Pittsburgh, avvenuta lo scorso 27 ottobre 2018, che ha visto l’uccisione di 11 persone nella sinagoga ‘The tree life’ di Pittsburgh. Robert Bowers, l'uomo accusato di aver assassinato gli ebrei riuniti in preghiera nella sinagoga locale, in tribunale si è dichiarato innocente per i 44 capi d'accusa a suo carico, tra cui compaiono l'omicidio e il delitto a sfondo razziale. L'accusa ha chiesto la pena di morte.

Furio Colombo, lei ritiene che il ‘perdono’ possa essere praticabile di fronte a fatti e stragi così odiose?
“Io credo che il perdono sia un aspetto distorto del tempo che segue la ‘Shoah’. Nel senso che nessuno ha i titoli per poter perdonare ciò che è accaduto. E nessuna circostanza ci suggerisce che si dovrebbe perdonare, perché facendolo si annullerebbe, si ‘normalizzerebbe’: si darebbe cioè l’impressione di normalizzare ciò che non può essere normalizzato. Naturalmente, c’è una ragione logica ancor più grande di quella psicologica, morale e storica che ho appena detto: soltanto le vittime avrebbero il diritto di perdonare. Ma le vittime, in grandissima parte, non sono presenti. Di conseguenza, non possono e non avrebbero mai potuto farlo. Detto questo, ritorno all’argomento logico: il perdono sembra inimmaginabile, perché ciò che è avvenuto non può essere normalizzato e, quindi, portato nel rapporto tra domanda e risposta. Se c’è una domanda, ci si immagina che segua una risposta. E se c’è un torto, ci si immagina che vi sia una rettificazione del torto, attraverso il meccanismo della tolleranza o del perdono. Ora, tutto quel che è avvenuto e che avviene ormai quotidianamente nei posti più disparati del mondo non è nell’ordine della logica storica, morale e umana di un comportamento possibile e, di conseguenza, non si applica. Ecco perché l’impegno del perdono non può entrare in questo discorso”.

Cos’è per lei il potere? E ripensando al crollo di ponte Morandi o ai recenti smottamenti e allagamenti avvenuti sul territorio ligure e in Veneto, quali comportamenti dovrebbe mettere in pratica chi gestisce la cosa pubblica? Insomma, quale critica muove al potere di oggi?
“È molto difficile rispondere. Francamente, è una domanda molto difficile, perché bisognerebbe ‘definire’ il potere. E bisognerebbe definire il criterio in base al quale si formulano le colpe. Noi siamo entrati in una fase in cui il potere, se anche fosse buono - e non lo è - avrebbe comunque torto; se anche fosse ragionevolmente all’altezza dei suoi gravissimi doveri sarebbe comunque da condannare. Questo è un po’ il modo in cui ci stiamo comportando o in cui ci stiamo orientando. Per esempio, molte delle aggressioni che ha subìto il sindaco di Genova nella giornata in cui è andato a vedere i disastri della sua città, molti di quei modi e di quelle aggressioni erano parecchio al di là del meritato: un sindaco ha potere, ma fino a un certo punto. E non può nemmeno andare al di là di quel punto. Di conseguenza, viene accusato di cose che non ha fatto e che non avrebbe mai potuto fare. Quindi, mi riesce difficile rispondere a questa domanda. Forse potrei obiettare, se fosse una questione giudiziaria, che questa è una domanda troppo generale per poter rispondere”.

Cosa pensa del perpetuarsi delle stragi uomo contro uomo, degli omicidi che avvengono ai danni di giornalisti, come a Malta per Daphne Caruana Galizia o nell’omicidio premeditato del giornalista dissidente saudita, Jamal Khashoggi?
“Purtroppo, il metodo della strage e dell’eliminazione dei dissidenti è un meccanismo di bassa intelligenza e di intensa violenza che, tuttavia, trova ancora molto spazio nella gestione del conflitto politico. È una specie di ‘demenza’ che periodicamente percorre l’umanità, che ha percorso l’umanità attraverso i secoli: una sorta di epidemia che, di tanto in tanto, sembra domata, ma che poi riprende con furia a imperversare tra e contro gli esseri umani, fra e contro gli esseri più deboli. Qui c’è un’osservazione in più da fare: oltre all’orrore che si prova per questi fatti di cronaca nera e oltre a questa sensazione di demenza che riesce a insinuarsi, a circolare ancora, a installarsi in alcune ‘isole di potenza’ in cui c’è il potere di compiere una strage, la strage viene compiuta. Quindi, l’atto demente o criminale viene realizzato. Oltre a questo, non si può non pensare al fatto che, mentre il numero degli esseri umani che vivono sulla Terra aumenta, l’inadeguatezza di coloro che si candidano o si offrono, o che comunque finiscono per essere, in definitiva, i comandanti, i leader, i capi, i dirigenti, diventa più grave, aumenta. Come se il talento umano, che di certo non è diminuito, andasse altrove, o si tenesse lontano dalla gestione degli affari comuni, per cui governi miserabili si trovano alla testa di Paesi importanti. E non mi riferisco solo al Brasile, all’Asia e all’Africa, ma anche all’Europa, che inizia ad avere governi pessimi. Come per esempio l’egoismo degli esecutivi europei, di tutti gli esecutivi europei, inclusa l’Italia, che in questo momento si ritrova in difficoltà per il solo fatto di avere delle coste. Ma l’egoismo, l’assenza e la cecità dei Paesi europei nei confronti di una realtà come quella dell’immigrazione, che prima ancora che un dramma della realtà è una vera e propria tragedia della realtà, testimonia un’inadeguatezza paurosa. Perché se è vero che Srebrenica è una strage, se è vero che nel Medio Oriente le stragi dell’Isis ancora riecheggiano come un’eco, bhè, allora anche l’Europa continua tranquillamente ad assistere alle stragi di innocenti che muoiono nel Mediterraneo. E se non fosse per quei frammenti di operazioni di salvataggio fatte dall’Italia e ora bloccate da quell’essere che è stato eletto insieme a quel nugolo di approssimativi, non sapremmo mai il vero numero delle vittime. Di conseguenza, nel momento in cui dichiariamo “che orrore” e che giustamente lo denunciamo, ci rendiamo conto della spaventosa rozzezza che si è insinuata, della demenza che si è insediata nella leadership di questo Paese. Ma questa è l’Europa: restiamo ciechi, totalmente ciechi, con l’assenza di reagire a chi sta riscaldando gli scranni di questo governo. Queste sono le stragi della fiducia”.

Il 2 novembre scorso è stata anche la ricorrenza dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, a 43 anni da quell’efferato complotto del 1975: lei che intervistò per l’ultima volta il grande romanziere e intellettule ‘friulano’, che giustificazione si è dato su questo incombente silenzio che da, più parti, si vorrebbe ‘squarciare’?
“No, io non direi ‘silenzio’: direi, anzi, che c’è sempre stata molta fervida discussione. In secondo luogo, non ho l’impressione che le istituzioni si siano particolarmente impegnate a soffocare una possibile verità, perché ogni giudice è rimasto libero di indagare e avrebbe potuto farlo, così come infatti si sono compiute, in quegli anni, delle indagini anche spericolate, drammaticamente rivelatrici su aspetti della vita italiana, come per esempio quelli venuti alla luce al processo di Palermo sulle trattative Stato-MafiaPier_Paolo_Pasolini.jpg. Non c’è stato e non poteva esserci un soffocamento istituzionale di altre indagini. E a coloro che credono nel delitto organizzato o premeditato, io dico che, purtroppo, chi lo ha messo in atto, se questa è la tesi da accettare, lo ha fatto in un modo più perfetto rispetto ad altri delitti, perché non ha lasciato delle vere tracce identificabili con il passare degli anni. Di solito, il tempo favorisce il disvelamento di cose che nessuno, in precedenza, aveva voluto svelare. Qui, siamo nel caso contrario. Ed è la ragione per cui, insieme ad alcuni dei più cari amici di Pasolini come Enzo Siciliano, Alberto Moravia, Dacia Maraini e Michelangelo Antonioni, che era con me il giorno in cui, la mattina all’alba, siamo andati sul posto, a un certo punto ci siamo detti: ‘E’ impossibile andare al di là di questo’. Ogni sospetto, ansietà o suggerimento è perfettamente possibile, ma altro non c’è. Tanto è vero che non c’è stato. C’è stato l’intenso attivismo di Oriana Fallaci, che era tipico del suo appassionato stile di giornalismo. Ma a parte quello, purtroppo, mille ipotesi e nessun consolidamento di prove è stato possibile. Ed è sulla riva di questo fiume limaccioso che bisogna, purtroppo, fermarsi. Indubbiamente, siamo un Paese così ricco di complotti politici e di ‘ragioni di Stato’ che non stiamo affermando cose assolutamente impossibili, bensì perfettamente immaginabili. Tuttavia, al momento sono ancora e soltanto immaginabili e mi auguro che, presto, tutte queste nebbie possano dissiparsi”.

Abbiamo vissuto con estrema rabbia gli anni di piombo e l’omicidio di Aldo Moro, per non parlare dei delitti che hanno visto coinvolto, in qualche modo, il Vaticano, non ultimo il recente ritrovamento di alcune ossa che sembrano risalire ai tempi della scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori: lei ritiene che si stia cercando la destabilizzazione dello Stato e della democrazia? Cosa sta avvenendo, in questa strana Italia di oggi?
“Anche questa è una domanda troppo grande e importante. Io mi limiterei alla questione Moro, che certamente è stata di una gravità immensa. E, su questa gravità, è calato un buio fitto: il più fitto di ogni altro delitto italiano, perché la personalità era di prima grandezza. Era in gioco la sua vita, quindi anche la conoscenza e la capacità di dire e di fare di un personaggio politico che era al vertice della vita politica italiana. Una politica italiana che, in seguito, è cambiata, risultando ‘deviata’ per sempre. Quindi, il fatto è enorme. E su un fatto così enorme è calato un buio altrettanto grande, che ha impedito, fino a oggi, di poter sapere, per esempio, chi ha ucciso Aldo Moro: chi, quando e come. E’ senz’altro il ‘delitto-simbolo’ di tutti i nostri delitti rimasti oscuri”.

Per concludere quest’intervista, vogliamo ricordare le parole di Primo Levi: “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. La memoria è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni”.

Furio Colombo
Giornalista e scrittore, Furio Colombo ha diviso la sua vita fra l’Italia e gli Stati Uniti. È giornalista e inviato speciale per molte testate. Ha diretto vari programmi culturali della Rai ed è autore di numerosi saggi e romanzi. Nel 1963, fu tra i fondatori del ‘Gruppo ‘63’. All’inizio degli anni ‘70 partecipa alla fondazione del ‘Dams’ di Bologna, dove ha insegnato dal 1970 al 1975. Negli Stati Uniti è stato corrispondente de ‘La Stampa’ e ‘La Repubblica’. Ha scritto per il ‘New York Times’ e la ‘New York Review of Books’. Già presidente della ‘Fiat Usa’, è stato anche professore di giornalismo alla Columbia University, direttore dell’Istituto italiano di cultura e storico direttore de ‘l’Unità’. E’ stato prima deputato e poi senatore della Repubblica italiana per diverse legislature.

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NELLA FOTO: FURIO COLOMBO

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