Il mensile di informazione e approfondimento che
intende riunire culturalmente il nostro Paese nel pieno rispetto di tutte le sue tradizioni, vocazioni e ispirazioni ideologiche e politiche.
diretto da Vittorio Lussana
Area Riservata
9 Maggio 2024

Gianluca Marinangeli: "Ridere è la seconda cosa più bella della vita"

di Valentina Spagnolo
Condividi
Gianluca Marinangeli: "Ridere è la seconda cosa più bella della vita"

Una comicità intelligente e sottile, quasi a ‘denti stretti’, ben lontana da forzature e volgarità, che ha saputo comunicare al pubblico il dramma di un giovane rimasto a lungo ‘intrappolato’ tra una serie di timidezze e complessi psicologici tanto limitanti, quanto dannosi

In certe sere, è proprio necessario uscire di casa, anche se il tempo è inclemente. In caso contrario, si perde la possibilità di trascorrere una gran bella serata, divertendosi con qualcosa di particolare. E’ questo il caso de ‘La sindrome del terzo panino’, monologo scritto e interpretato dall’attore marchigiano, ma di origni pugliesi, Gianluca Marinangeli, andato in scena nell’ultimo fine settimana di novembre sul palco del ‘Teatrocittà’, l’intelligente realtà teatrale ideata da Patrizia Schiavo, stabilitasi ormai da qualche anno nel quartiere romano di Torrespaccata. E intelligente, nonché assai ben scritto, ci è infatti apparso questo testo, il quale ha raccontato, attraverso una comicità tutto sommato semplice, priva di forzature, i suoi ricordi di bambino e la sua tortuosa maturazione verso l’età adulta. Una serie di avvenimenti tragicomici, che hanno condotto questo artista verso quella ‘svolta’ grazie alla quale ha potuto guardare in faccia la realtà e prendere in mano le redini della propria vita. Un’infanzia e un’adolescenza vissute sotto il peso di un pesante complesso di inferiorità, con lo spauracchio di non riuscire a realizzare i propri desideri, inizialmente ostacolati da una famiglia eccessivamente pragmatica. Fino ad accettare anche il male come inevitabile e, proprio a partire da esso, a ricominciare un nuovo percorso, gettandosi alle spalle ogni frustrazione, ogni delusione, ogni incertezza, per inseguire, finalmente, i suoi sogni. Al termine dello spettacolo, abbiamo perciò voluto scambiare alcune nostre impressioni con l’autore e interprete de ‘La sindrome del terzo panino’, Gianluca Marinangeli.

Gianluca Marinangeli, cosa ricalca, in realtà, ‘La sindrome del terzo panino’? A quale stile teatrale si richiama? E’ forse una metafora della nostra perdita di originalità e di identità?
“Con ‘La sindrome del terzo panino’ ho voluto inventare una nuova patologia. E’ una sindrome che colpisce chi non si sente pienamente apprezzato, chi pensa di essere di troppo, proprio come si sente un terzo panino nei confronti di una persona che ne ha già mangiati due. Può essere anche buono, ma non sarà mai apprezzato e gustato come il secondo né, tantomeno, come il primo. Il monologo è la storia di un terzo figlio raccontata in prima persona e richiama lo stile di un teatro di narrazione, che ‘strizza l’occhio’ al teatro comico. Pur essendo divertente e, a tratti, emozionante, non sfocia mai nel cabaret e la quarta parete non viene mai totalmente abbattuta. E’ sicuramente una metafora e un ammonimento a voler riscoprire la propria identità, a lottare per realizzare i propri sogni, perché anche se l’ambiente e le circostanze ci condizionano, siamo sempre noi gli artefici del nostro destino”.

Cosa è riuscito a donare senso e ironia a questo spettacolo, rispetto alle rappresentazioni precedenti della sua carriera?
“Questo spettacolo è nato di getto, come se avesse avuto l’esigenza di essere portato in scena. Il primo seme è stato gettato durante un laboratorio con il noto attore, regista e sceneggiatore Massimiliano Bruno, il quale durante un’improvvisazione mi chiese: ‘Qual è il torto più grande che ti abbiano fatto in vita tua’? La mia risposta è stata immediata, senza ragionare: ‘Il torto più grande che mi abbiano fatto in vita mia, me lo sono fatto da solo, perché ho sempre subito la vita’. Era la prima volta che ragionavo su questo. PGianluca_Marinangeli_in_scena.jpgertanto, ho messo in fila tutte le volte che avrei dovuto impormi e che, invece, non l’ho fatto, assestandomi su situazioni comode e quasi naturalmente imposte. Tuttavia, non l’ho mai vista in un’ottica triste e passiva, ma estremamente ironica, come se ogni aspetto che andavo a esaminare fosse una clamorosa scivolata su una ‘buccia di banana’, della quale non puoi fare a meno di ridere”.

Il pubblico è riuscito a ritrovarsi completamente nella vita e nel personaggio da lei presentato in palcoscenico?
“Nella maggior parte dei casi, credo proprio di si. Tra i diversi spettacoli che ho portato in scena in questi anni, questo è l’unico in cui, oltre ai complimenti finali, sempre ben accetti, ho più volte ricevuto un ‘grazie’ dal pubblico. Molti spettatori, inoltre, mi hanno detto di essere anche loro dei terzi panini e ho avuto modo di confrontarmi su alcun aspetti toccati durante la rappresentazione. Mi piace molto questo monologo, perché oltre a divertire fa anche riflettere e, a suo modo, commuovere”.

Con questo suo monologo, siamo nel territorio della ‘visual comedy’, oppure si tratta di una ‘stand up comedy’ sofisticata, meno tendente alla ricerca forzata della risata?
“In realtà, non si tratta di ‘visual comedy’, perché quest’ultima, per definizione, è una comicità gestuale, che non prevede l’uso della parola. Il mio monologo, al contrario, si basa quasi esclusivamente sulla parola. Con la ‘stand up comedy’ ha in comune di essere un monologo, che dunque non porta in scena una gran scenografia. Per scelta registica, infatti, ho previsto una scenografia minimale, perché a farla da padrone dev’essere il racconto del protagonista, che deve attirare completamene l’attenzione del pubblico portandolo nel proprio mondo di fantasia. Non faccio ricorso nemmeno a particolari effetti visivi o a eccessivi ‘stacchetti’ musicali. L’atmosfera che si crea è intima, fino e che ognuno crea, nel proprio immaginario, il particolare legame che c’è tra il protagonista e il pubblico. Sicuramente, non miro alla ricerca forzata della risata: quando l’ho scritto ho inserito una serie di battute e di situazioni comiche, ma questo è uno strumento, non il fine. Il fine ultimo era quello di raccontare una storia che fosse coinvolgente, che potesse appassionare. E ho immaginato il racconto come un ‘ottovolante’ di situazioni comiche e non su ciò che a me piace vedere a teatro. Ho voluto rappresentare me stesso, attraverso un testo in cui più emozioni risultassero  stimolate”.

Insomma, il suo è un umorismo a ‘denti stretti’, oppure ha voluto dimostrare che si può ridere senza trascendere sul terreno tipico del teatro popolare?
“La comicità è soggettiva e si ride a ‘nicchie’: non esiste una comicità universale. In base a ciò, a ogni autore non resta che comprendere quale sia il proprio stile e, partendo da questo, scrivere e raccontare ciò che reputa meritevole di essere trasmesso al pubblico. Io credo che, per comunicare con il pubblico, serva tutto: il teatro popolare, quello in vernacolo, il cabaret, la satira, persino le barzellette al bar. Ma ognuna di queste forme di comicità hanno degli interpreti e dei pubblici ben specifici. A me piace far sorridere alla mia maniera, nei modi in cui riesco meglio e che la mia maschera individuale mi consente. Il mio modo di scrivere e di recitare passa attraverso battute scritte, senza mai ricorrere a volgarità o a stereotipi già abusati. Non voglio dire che il mio stile sia migliore di altri perché, ripeto, tutto è estremamente soggettivo. Ma a me piace ragionare molto anche sulla ‘costruzione’ della battuta, utilizzando tante chiavi comiche diverse come esercizio per quanto ho studiato in tutti questi anni. Una cosa particolare di questo monologo è che spesso vedo molti denti e sento risate a volume basso e, più volte, mi sono sentito dire dalle persone, alla fine, che non sapevano se potevano ridere ‘rumorosamente’. Ciò mi fa sorridere, ma mi fa comprendere ancor di più che ho colto nel segno con il mio stile di scrittura, al punto che lo spettatore prova emozioni talmente diverse che, anche nella fisicità, è combattuto. Per i prossimi spettacoli, tuttavia, vi dò un consiglio: ridete forte, lasciatevi andare, perché ridere di gusto è la seconda cosa più bella della vita”.


Gianluca_Marinangeli_3.jpg

Salva


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale