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29 Aprile 2024

Oltre le religioni, al di là della politica

di Vittorio Lussana
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Oltre le religioni, al di là della politica

Ancora nel Terzo Millennio, la forma più rigida di contrasto ideologico rimane quello tra Stato e religione. E come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Ovvero: eliminando la religione.

Quando ebrei, cristiani, musulmani, induisti, buddhisti e ‘mistici’ vari riconosceranno che le reciproche fedi non sono altro che differenti stadi di sviluppo dello spirito umano, distinte ‘pelli di serpente’ deposte dalla Storia, e che l’uomo è il ‘serpente’ che di esse si era rivestito, allora non si troveranno più in un rapporto religioso con il mondo terreno, ma soltanto in un rapporto critico, scientifico, umano. L’errore culturale che tutti quanti continuiamo a commettere è infatti quello di sottoporre a critica quasi esclusivamente lo Stato cristiano e non lo Stato in sé, poiché non si ricerca quel rapporto tra emancipazione politica ed emancipazione umana continuando, altresì, a porre una serie di condizioni spiegabili solamente con un’acritica confusione tra la prima e la seconda. Invece, esistono tre distinte forme di emancipazione: quella religiosa, quella politica e quella umana. Oggi, nel pieno del confronto con le culture, le fedi e le credenze provenienti dalle popolazioni del nord Africa che giungono sino a noi, è perciò venuto il momento di comprendere che non possiamo continuare a fermarci sul confine delle prime due. E che è divenuto, invece, fondamentale evolversi verso la terza. L’emancipazione politica, infatti, non corrisponde a quella umana: anche se l’occidente è strutturato sullo Stato laico, nella vita reale esistono ancora differenze colossali tra gli innumerevoli comportamenti degli uomini. Ciò è spiegabile se consideriamo che l’emancipazione politica non riguarda l’uomo reale, quello ‘terreno’, bensì un uomo astratto, con pari diritti e dignità, un individuo che, tuttavia, cela enormi sperequazioni pratiche, sostanziali, di comportamento, sul terreno empirico. La necessità di superare il confine dell’emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato continua a volerci far credere che l’uomo sia realmente libero, che lo Stato possa assumere la forma di ‘libero Stato’ senza che il singolo individuo possa realizzarsi compiutamente in quanto uomo libero. Ma la stragrande maggioranza del mondo non cessa di essere religiosa per il semplice motivo di nutrire sentimenti di fede personali, interiori, mentre il comportamento dello Stato verso la religione, particolarmente dello Stato libero, non è altro che il comportamento di uomini che formano lo Stato stesso in netta e totale autonomia dalla religione. Ne consegue che l’uomo, per mezzo dello Stato, politicamente si libera di un limite innalzandosi al di sopra di esso, ma in profondo contrasto con se stesso, cioè in un modo astratto e limitato, in forma parziale. Lo Stato, con le sue leggi riguardanti l’uomo costruito sorvolando sugli elementi ‘particolari’ nella finalità di costruire una propria ‘universalità’, scinde l’essere umano tra il ‘cielo’ delle leggi - lo Stato politico - e la ‘terra’ della realtà - la società civile - continuando a favorire uno sdoppiamento della vita dell’uomo tra il cittadino soggetto con diritti e doveri, e il membro della società civile avente propri interessi personali, privati. Il conflitto nel quale si trova l’uomo in quanto seguace di una religione, con se stesso in quanto cittadino e con gli altri uomini in quanto membro della comunità, viene insomma ridotto alla scissione ‘mondana’ tra Stato politico e società civile, tra Stato-Governo e Stato-comunità. E la contraddizione nella quale si trova l’uomo religioso con l’uomo politico tende più o meno a ricreare - o a sostituire - la medesima contraddizione tra borghesia e proletariato della dialettica marxista. La critica a tale impostazione dovrebbe tuttavia spostarsi verso i diritti-doveri dell’uomo, poiché è in essi che si cela una mistificazione: l’uomo soggetto di questi diritti-doveri non è altro che un singolo individuo facente parte della società civile, caratterizzato cioè da interessi particolari celati sotto una ‘fasulla’ universalità. Ma nessuno di questi diritti-doveri riesce a oltrepassare l’uomo ‘egoistico’, l’uomo in quanto membro della società civile, l’individuo ripiegato su se stesso, sul proprio interesse privato, sul suo arbitrio personale, isolato dalla propria comunità. La stessa vita della specie, la società, appare una ‘cornice’ esterna agli individui, una limitazione della loro indipendenza originaria. Sussistendo questa scissione tra uomo ‘ideale’ e uomo ‘sociale’, solo astrattamente l’individuo si sente effettivamente membro dello Stato, poiché se anche nella sfera giuridica e politica ogni uomo è uguale a tutti gli altri, nell’ambito reale, quello cioè della vita economica e sociale, gli uomini sono, il più delle volte, diseguali. Quando l’uomo reale riassumerà in sé anche quello astratto, diventando membro di quella specie umana in cui tutti gli uomini, in quanto tali, sono eguali, soltanto allora l’emancipazione umana sarà totalmente compiuta. La società umana, non quale è ma quale dovrebbe essere, è razionale e unitaria, priva di conflitti, tanto che in essa non sarebbe neanche necessaria l’esistenza del diritto o della politica, in quanto la libertà viene in essa realizzata nell’unità tra tutti gli individui: in sostanza, nell’unità tra società e individuo. ‘Riagganciare’ l’egualitarismo, depurandolo dalle contaminazioni ideologiche o formali del passato, è dunque il solo presupposto per individuare un nuovo disegno di società più equilibrata che, tuttavia, non si avvii verso un altro intransigente ‘organicismo burocratico’ sul modello di quello marxista, storicamente dimostratosi, sotto il profilo sociologico, dunque empirico, assolutamente formale e astratto.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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