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9 Maggio 2024

1982: Italia campione del mondo

di Gaetano Massimo Macrì
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1982: Italia campione del mondo

“Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finita! Campioni del mondo” urla Nando Martellini nella telecronaca che ha fatto storia. Tre gare inguardabili, poi battiamo Brasile, Argentina, Polonia e Germania e passiamo dall’inferno al paradiso

“È finita! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!” L’urlo liberatorio di Nando Martellini in diretta Rai echeggia nelle case di tutta Italia. È quello il segno inequivocabile che solleva gli Azzurri dal peso delle polemiche che li hanno accompagnati, prima e durante il torneo. Nella notte magica di Madrid, allo Stadio Santiago Bernabeu coroniamo il sogno che nessuno si immagina. L’11 luglio 1982, quel gruppo di giocatori si trasforma in una leggenda dello sport. C’è ancora Bearzot a guidare la Nazionale, come in Argentina ’78. Là abbiamo sbalordito tutti per la prestazione in campo, pur non vincendo il titolo. Questa volta, mettiamo piede in Spagna inondati dalle critiche. Le prime partite, al di sotto della sufficienza, rafforzano l’idea che la formazione voluta dal tecnico sia inadatta. Due anni prima, un fruttivendolo ha destabilizzato l’ambiente del calcio nostrano. Ha raccontato che qualcuno truccava le partite. Si tratta del ‘totonero’, che travolge l’attacco azzurro. Paolo Rossi e Bruno Giordano, infatti, sono fuori gioco. Il primo viene addirittura arrestato. 'Pablito' Rossi termina la squalifica in tempo per la convocazione mondiale. Bearzot non vorrebbe partire per la Spagna senza i suoi 'pupilli'. Qualcosa lo convince che quella caparbietà sia più vincente delle critiche che gli stanno piovendo addosso. Intanto, prova delle soluzioni alternative. Una si chiama Altobelli, il centravanti nell’Inter. Lo chiamano 'Spillo', perché è lungo e magro, ma ha una potenza formidabile. E a Roma ci si chiede come mai non si convochi Pruzzo, il romanista capocannoniere per il secondo anno di fila. Nella capitale scoppia un putiferio. Da più parti, le critiche contro questo atteggiamento ‘testardo’ si sprecano, ma Bearzot sembra impermeabile. Ha deciso di attendere Rossi, che sconta due anni di squalifica e così è.

FASE INIZIALE - Quando arriva in Spagna, Bearzot ‘blinda’ i suoi, isolandoli dal mondo esterno. Gli Azzurri stimano quell’uomo di poche parole, ne condividono i metodi. Sarà per quello che sono pronti a seguirlo contro tutto e contro tutti. Anzi, in siffatte condizioni  il gruppo degli italiani si consolida e riesce a resistere agli urti, dentro e fuori dal campo. Bearzot, detto il Vecio, per gli Azzurri è un buon padre di famiglia: dà e pretende rispetto. “Il gruppo c’è, lo vedo bene, sarà questa la nostra forza”, confessa prima di arrivare al lussuoso hotel di Vigo in cui soggiornano, il Puerta del Sol. C’è qualcuno, però, che vola a Madrid nella consapevolezza di essere una squadra ben superiore a quella che ha vinto il mondiale in casa propria nel ’70. È il Brasile dei vari Socrates, Falcao, Oscar, Zico, Cerezo, tanto per riaccendere il ricordo dei più appassionati. Sono gli attori del ‘calcio samba’. Giocare in attacco, sempre e comunque: un’idea assurda, quanto meravigliosa, ma quasi irreale, resa possibile da quei campioni. La spavalderia con cui giocano è tale da indurli a schierare in porta Valdir Perez, uno dei portieri più scarsi della storia, quasi non ne abbiano necessità. Un ‘mistero buffo’ che rimane l’unico tallone d’Achille per i verdeoro. A causa di un suo errore i Sovietici si illudono di inaugurare il torneo passando in vantaggio per 1-0 contro quei brasiliani venuti da Marte. Cederanno nel finale alla potenza di fuoco di Socrates e Eder. La qualificazione alla fase successiva appare una pratica scontata. Gli uomini del CT Santana non conoscono il turn over: giocheranno sempre e comunque i titolari. Sarà un altro punto a sfavore di quella corazzata che ancora oggi, pur non vincendo il titolo, è da tutti unanimemente ricordata come una delle formazioni più belle e forti della storia del calcio. Gli altri sudamericani, gli argentini, portano in Spagna la Coppa che hanno vinto 4 anni prima e sognano il bis. Tra le loro fila gioca un certo Diego Armando Maradona, che i compagni già chiamano “Pibe de Oro”. Quel ‘ragazzo d’oro’ mostra da subito un talento innato per il pallone, genio e sregolatezza che l’Italia imparerà a conoscere nei suoi anni di militanza col Napoli. Il ragazzo ha classe, ma la sua squadra non riesce ad arrivare prima nel girone. Come l’Italia, l’Argentina passa il turno al secondo posto.

SECONDA FASE
- Un triste epilogo sta per abbattersi sugli Azzurri: i tre pareggi consecutivi miracolosamente ci catapultano al girone successivo e ci tocca in sorte il Brasile e l’Argentina. Perderemo, come pensano tutti? E poi perché ordinare quel “silenzio stampa” (il più famoso della nostra storia calcistica) voluto da Bearzot per proteggere i suoi? Parlano solo lui e il capitano Zoff. Quel non sapere bene cosa avvenga, peggiora gli umori all’esterno. E là dove non si può arrivare, come spesso accade, nasce il pettegolezzo. Si parla, anzi si sparla dei nostri calciatori, lo fa la stampa, qualcuno arriva addirittura a evocare rapporti sessuali all’interno del gruppo. E così va a finire che Cabrini sta a Rossi come una muchacha a un hombre. Parolacce che scivolano via come l’olio, senza ‘ungere’ l’ambiente, per fortuna. “La nostra Nazionale era affiatata, unita grazie ad un tecnico straordinario”, dirà Rossi a distanza di 30 anni. Da quel ‘girone della morte’ a tre, ne passerà una soltanto in semifinale e per i voleri insondabili del fato ci risvegliamo in tempo utile dal torpore. Gentile è il prescelto per fare da marcatore sul giovane Maradona. 
L’ argentino e la sua maglia devono arrendersi ai suoi ‘morsi’. Quel giorno Gentile pare abbia appeso al collo il cartello “cave canem”: si cala perfettamente nella parte di cane da guardia, annullando il campione. Nella ripresa, Tardelli con uno splendido diagonale e poi Cabrini, ci regalano l’inizio di un sogno che ancora sembra troppo lontano dalla realtà. Il passo successivo è il Brasile. “Italia facci sognare”, titola la Gazzetta. Come sarà mai possibile infrangere adesso il fenomeno carioca? Ha maltrattato l’Argentina 3-1, per cui non ha la necessità di vincere. Gli basterebbe un pareggio. Noi, invece, non possiamo perdere. C’è da considerare che finora abbiamo giocato in dieci: Paolo Rossi è stato l’illustre assente, cui ora viene concessa l’ultima chance: o giocare o cedere il posto a Altobelli. Il suo fantasma, invece, in questa partita si risveglia e si trasforma nel peggiore incubo per i brasiliani. La sua tripletta fa rifluire il tricolore nelle vene degli italiani, che già hanno dimenticato di preferirgli il sostituto in panchina. I soliti ‘bandieruoli’. Il Brasile è pur sempre il primo della classe e riesce a riacciuffarci in pareggio due volte. Rossi però pare essersi reimpossessato del patentino di ‘opportunista’ e con i suoi gol di rapina spinge l’Italia alla vittoria. Tranne il primo, su cross di Cabrini, segna il secondo rubando palla ai difensori (i brasiliani non sono eccellenti a difendere) e il terzo e definitivo deviando in rete un tiro sporco da fuori. Martellini, telecronista RAI dirà “Ed è pareggio!”, in preda all’emozione o forse tradendo l’incredulità per il miracolo che stavamo compiendo. Sul finale i verdeoro ci provano ancora, ma Zoff è un ragno e in tuffo si impossessa del pallone che sarebbe certamente finito in rete. Nel tempo diventerà ‘la Parata’ per eccellenza. È il suo modo per riscattarsi dagli errori commessi sui gol subiti. La semifinale contro la Polonia trascinata da Boniek è nostra. Dovremmo temerla, ma per fortuna il suo uomo più rappresentativo è squalificato. E c’è un altro aspetto da considerare: abbiamo battuto i semidei brasiliani, il nostro cammino verso la finale, prima improbabile, ora sembra il giusto destino. Bearzot si avvicina alla panchina con la giacca sulle spalle e gli occhiali da sole a coprire un volto onestamente teso. A scioglierlo ci penserà ancora una volta lui, Rossi che ormai sembra averci preso gusto, finalmente. Due guizzi di testa e archiviamo il risultato che ci porta dritti alla finale contro la Germania Ovest. Una nostra storica rivale.

FINALE – Un tifoso d’eccezione è giunto dall’Italia per la partita conclusiva. Condivide con Bearzot il fumo lento della pipa. È il presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Restano memorabili le sue espressioni che riflettono quanto avviene in campo. Cabrini a un certo punto si incarica di battere il rigore, sbaglia e Pertini si alza blaterando da vero tifoso qualche cosa. Quel pallone scivola fuori, a lato del palo portandosi via inevitabilmente un po’ di sicurezza che abbiamo incamerato nei giorni precedenti. Per fortuna c’è sempre Pablito che riesce a ‘captare’ ogni potenziale situazione da gol. Ne ‘vede’ una, mentre il pallone entra in area, lanciato dai compagni e ci si catapulta come un cavallo da corsa. Corre Rossi, corre alla pari del suo difensore. Ci si chiede chi vincerà, sono frazioni di attimi infiniti. Alla fine è l’ italiano il più lesto a tagliare il traguardo: arriva prima e infila in rete. Il tabellone elettronico per la sesta volta dall’inizio del torneo indica il gol, il suo nome e il numero 20. A ripensare alle critiche che gli sono piovute addosso, alla squalifica per il totonero, alle prime partite da ‘dormiente’, sembra quasi di aver assistito a due Mondiali differenti. Ha appena superato le 5 reti del tedesco Rummenigge, mica uno qualsiasi e tanto gli basta per laurearsi capocannoniere. Il gol più bello, però, non gli appartiene. Lo segna Tardelli poco più tardi e rimarrà l’immagine più rappresentativa di quel Mondiale, quasi un sinonimo di Spagna ’82. Arrivato nei pressi dell’area, riceve il passaggio da destra. Sposta il pallone sul sinistro, lo lascia carambolare una frazione minima, giusto per assestargli il tiro in mezza scivolata che fa schizzare la palla sul palo opposto. E poi su, a correre per il rettangolo di gioco a pugni chiusi e un urlo continuo di gioia. Gli fa eco Pertini sugli spalti, in piedi coi pugni all’aria che per darsi un contegno, si riabbottona la giacca del completo. Siamo sempre portati a ripartire da dietro nel gioco, copriamo la porta, ma il due a zero non ci basta. Siamo i veri spregiudicati, riusciamo a fare un altro gol con Altobelli a nove minuti dal termine. Un altro piccolo capolavoro. Il nostro Presidente-partigiano, gesticolando con la mano esclama con la sua voce squillante: “Ormai non ci prendono più”. C’è il tempo per un ultimo gol tedesco, inutile che infatti cade nel dimenticatoio. Per chi ha memoria dei fatti, gli attimi finali in TV sono stati:“Palla al centro per Muller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finita! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!” Tre volte, perché si tratta della terza Coppa, dopo Roma ’34 e Parigi ’38. Torniamo in Italia finalmente senza lancio di pomodori. Tutti insieme appassionatamente nell’aereo presidenziale, moderna versione del ‘carro del vincitore’. Per qualcuno è solo un modo per evitare la dogana, con tutti quei milioni in contanti offerti agli Azzurri. Comunque sia, si ritorna a casa, con Pertini a giocare a scopone scientifico insieme a Bearzot, Causio e Zoff, e Paolo Rossi che si sente definitivamente ‘Pablito’. Gli Italiani, invece, per la prima volta si sentono ‘Fratelli d’Italia’.

Vincitore: Italia
Capocannoniere: Paolo Rossi (Italia) 6 reti

Le vittorie dell’ Italia nel “girone della morte” con Brasile e Argentina. Telecronaca di Nando Martellini - RAI

Le vittorie dell’ Italia nel “girone della morte” con Brasile e Argentina. Telecronaca di Nando Martellini - RAIItalia – Argentina 

 

Italia – Brasile

Video della finale Italia – Germania Ovest


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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