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19 Aprile 2024

1970: in Messico l'ultima edizione della Rimet

di Gaetano Massimo Macrì
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1970: in Messico l'ultima edizione della Rimet

Secondo il regolamento costitutivo del 1930, la nazionale che avesse vinto per tre volte il titolo mondiale si sarebbe impossessata definitivamente della Coppa. Un'eventualità assai probabile nell'edizione messicana, vista la partecipazione delle tre rappresentative 'bicampioni': Uruguay, Italia e Brasile. Ci riesce quest'ultima, in finale proprio contro gli Azzurri, provenienti dalla 'partita del secolo': Italia-Germania 4 a 3

Mexico ‘70 è l’ultimo appuntamento con la Coppa Rimet: il trofeo è vinto per la terza volta dal Brasile, che si porta in patria la 'Vittoria alata' per sempre. Considerando le quattro che giungono in semifinale, ci sono tutte e tre le squadre che hanno vinto due volte la Coppa (Brasile, Italia e Uruguay) più i vincitori dell’edizione del ’54, i tedeschi dell’Ovest. Sono ben sette titoli messi l’uno contro l’altro. E se si aggiunge nel conto anche l’Inghilterra, campione uscente, arrivata ai quarti, si intuisce che si tratta di un Mondiale molto ‘titolato’. Un torneo in cui i più forti ben figurano come da pronostico e si crea una disparità di forze sulla carta, tra le favorite e le altre compagini minori. In altri termini, è una manifestazione in cui non ci sono sorprese. Alla fine, il Brasile si dimostra in assoluto il più forte e il meglio attrezzato a vincere, grazie a un Pelé in grande spolvero e a una squadra di tanti numeri 10. L’Italia sembra aver superato gli anni bui. Arriva sino alla fine, battendo i padroni di casa e una diretta rivale, la Germania, in una storica semifinale. Alla sua guida si trova Ferruccio Valcareggi, che costruisce una squadra di giovani talentuosi. Gianni Rivera l’anno prima aveva vinto il Pallone d’oro e la coppa dei Campioni col Milan di Nereo Rocco. C’è Sandro Mazzola, campione d’Europa con l’Inter. Abbiamo il capocannoniere del campionato italiano, Gigi Riva, trascinatore del Cagliari nello scudetto ‘69/’70, a dimostrazione che la Sardegna “non è soltanto una terra di pastori”. Il suo mancino è di una tale potenza che Brera lo soprannomina “Rombo di tuono”. Completa l’opera la nostra vittoria agli Europei di Roma nel ’68. Abbiamo tutti i numeri per ben figurare e gente con una spiccata attitudine a vincere trofei importanti.

FASE A GIRONI – Nel suo girone l’Italia chiude al primo posto, nonostante i numeri poco brillanti: una vittoria e due pareggi. Vinciamo contro la Svezia, 1-0, grazie a un gol di Domenighini al 10’. È l’unica rete che siamo in grado di siglare. In compenso, Albertosi tra i pali non viene mai violato, né da Israele, né dall’Uruguay. Giochiamo ‘all’italiana’, molto attenti alla difesa e pronti a ripartire in contropiede. Una ‘scuola’ che ci contrappone a quella più atletica degli inglesi e dei tedeschi e a quella tutta tecnica e fantasia dei brasiliani. Il Mondiale in Messico è anche un confronto tra questi differenti stili di gioco, ormai divenuti tradizione. E i loro maggiori interpreti non riservano sorprese, passando il turno nonostante i timori iniziali dovuti all’altura. In molti temono che l’elevata altitudine possa sfiancare oltremisura, favorendo un gioco più tecnico, ai danni di quello più fisico. Il Brasile supera il girone a punteggio pieno e batte anche l’Inghilterra, diretta rivale, per 1-0. Garrincha non partecipa al torneo, ma chi ha preso il suo posto non lo fa rimpiangere. Si chiama Jair Ventura Filho, detto Jairzinho, ha 26 anni e realizza quattro degli otto gol del girone. Gli altri, tranne uno, portano la firma di O’ Rey Pelé, che fino alle qualificazioni in molti vedevano al tramonto. L’attaccante brasiliano, dopo il mondiale inglese del ‘66, ha saltato alcuni appuntamenti con la Nazionale verdeoro. Troppo preso dai suoi impegni che ne sfruttano l’immagine, minandone la condizione fisica. Lo sostituisce egregiamente Tostao, ma i due nel mondiale messicano giocano clamorosamente insieme. Una decisione che si rivela giusta. Il CT Zagallo non si limita solo a questo, ma schiera accanto ai due attaccanti ben tre numeri 10: Rivelino, Gerson e appunto Jairzinho. Un quintetto stellare e forse spregiudicato, ma che alla fine risulterà vincente. Gli inglesi di sir Ramsey sono stati rimaneggiati, ne fanno ancora parte alcuni campioni come Charlton, Moore e Hurst. La sconfitta che subiscono contro il Brasile non pregiudica il passaggio del turno. Nell’ultimo incontro c’è la Cecoslovacchia a zero punti e gli inglesi sono secondi insieme con la Romania, già trafitta dal Brasile e fuori gioco per la differenza reti. Passano il turno agevolmente l’Urss insieme al Messico, con 5 punti per parte (due vittorie a testa contro le meno accreditate del girone, Belgio ed El Salvador, e un pareggio a reti 'bianche' nello scontro diretto, che non danneggia nessuno). Infine, le altre quartiste sono la ovvia Germania e il sorprendente Perù. Il tedesco Gerd Müller va sempre a segno, realizzando 7 dei 10 gol che gli regalano il titolo di capocannoniere. La formazione andina è la vera unica sorpresa del torneo, balzata agli onori della cronaca già per l’eliminazione ai danni dell’Argentina nelle qualificazioni. A guidarla è una panchina di tutto rispetto: Didì, il brasiliano bicampeon che proprio contro la sua nazionale dovrà scontrarsi ai quarti. Il regista, ex compagno di Pelé, riesce a infondere un gioco di buona fattura in una squadra inesperta, in cui svetta su tutti Teofilo Cubillas (7 reti) e che consente al Perù lo storico passaggio del turno battendo la Bulgaria (3-2) e il Marocco (3-0). Deve inevitabilmente arrendersi contro la corazzata tedesca e alla tripletta di Müller.

QUARTI/SEMIFINALI – L’Italia arriva ai quarti con nuove e non del tutto certe speranze. La vittoria degli Europei di Roma l’ha messa nuovamente alla ribalta, regalandole un ruolo da protagonista. Abbiamo classe e potenza, anche se finora in questo torneo non ha espresso un bel gioco. Tuttavia, è riuscita a superare il girone, cosa che non accadeva dai mondiali anteguerra. Non ha subìto alcun ‘maltrattamento’ e, soprattutto, ha gli uomini ‘giusti’ per progredire nel cammino. Qualità ancora inesplose, tuttavia. Il 14 giugno affrontiamo i padroni di casa nello stadio della città di Toluca, a 2660 metri di altitudine. Poco più di 26 mila spettatori guardano la partita dagli spalti. L’esito premia gli Azzurri, che vincono grazie a una dimostrazione di forza di Gigi Riva. I messicani, a quanto pare meno abituati di noi alle alte latitudini di Toluca, reggono bene solo un tempo. Passiamo in svantaggio al 13’, finché un’autorete ci rimette in corsa. A quel punto è 'Rombo di tuono' a salire in cattedra, risvegliandosi dal torpore in cui sembrava caduto. Sigla la doppietta che ci vale il passaggio in semifinale. Segna anche Rivera, entrato come prestabilito nel secondo tempo al posto di Mazzola. È la 'staffetta' che fa impazzire gli italiani davanti alla tv, generando una dura diatriba. Valcareggi, sfruttando la novità delle sostituzioni (sono solo due) preferisce schierare Mazzola dal primo minuto. Dopo quella vittoria, inutile dire che nelle case degli italiani è lui, il 'Golden boy' Rivera ‘costretto’ in panchina, l’eroe della partita. Se ora c’è una nuova Italia capace di risorgere e mostrare scampoli di gioco dopo lo stentato inizio, lui ne è l’artefice. L’altro quarto, Germania vs Inghilterra, offre grandi emozioni. I tedeschi hanno la possibilità di smacchiarsi dall’onta della sconfitta di 4 anni prima, in cui era stato complice un arbitraggio di parte. Gli inglesi fin dall’inizio del torneo sono sempre sbeffeggiati dal pubblico sudamericano. Sono i 'ratones', i ladri. Alle accuse di ruberie del mondiale in casa loro, si aggiunge una complicata storiaccia di un presunto furto di un braccialetto di smeraldi. Le accuse indicano il capitano, il campione Bobby Moore, che viene anche messo in stato di fermo e liberato prima dell’inizio della Rimet messicana. Un vero e proprio caso diplomatico che durerà cinque anni. Nonostante il tifo ‘contro’, i leoni inglesi conducono per 2-1. Sir Ramsey decide di togliere Charlton al 70’, per risparmiarlo in vista della semifinale. Deve solo difendere il vantaggio, ma riesce a compiere un disastro. L’assenza del numero 9 pesa e i tedeschi, solidi come sempre, ne approfittano: Seeler pareggia e poi il solito Müller, ai supplementari, chiude 3-2. La vendetta è compiuta. In semifinale è Italia vs Germania, una sfida rimasta negli annali della storia del calcio.

ITALIA – GERMANIA 4:3 – Ci trasferiamo a Città del Messico, Stadio Azteca. Scendiamo dunque di quota, il che dovrebbe agevolarci. E tutto sommato meglio una semifinale contro i tedeschi, che contro i maestri del calcio per cui potremmo sempre provare un complesso d'inferiorità. Oltretutto, la Germania giunge più affaticata, dopo la rimonta nei supplementari contro gli inglesi. Quello che non sappiamo è che quella che andiamo a giocare sarà una sfida interminabile, molto meno scontata di quanto si potesse pensare. Per come si è svolta, è passata alla storia come "la partita del secolo". Passiamo in vantaggio quasi subito con Boninsegna, all’ 8’. Mazzola, ancora una volta preferito a Rivera nel primo tempo, gioca molto bene da interno. Quando esce, entra il Golden Boy che il pubblico televisivo anela. E il ‘Kaiser’ (l’Imperatore) Beckenbauer giganteggia con la volontà di un samurai: ha il braccio immobile per una lussazione alla spalla. Rivera si muove poco rispetto a Mazzola, non fa copertura. Restiamo così fino alla fine, con una difesa a oltranza. Fino a quando Schnellinger al 92’ ricorda a se stesso che ancora non ha mai segnato un gol con la propria nazionale e a noi: dopotutto, quella è pur sempre una semifinale. Quella rete infrange il nostro sogno, ma sono tante le volte in cui, nei supplementari, le speranze di entrambe le squadre si spezzano per rinascere e poi spezzarsi ancora. Una carambola di gol rende l’incontro una storia a sé. La tattica viene abbandonata, conta solo la singola giocata. Il pubblico impazza per questo. Müller al 94’ (1-2); Burgnich al 98’ (2-2); Riva al 104’ (3-2) splendida la sua azione a fintare sul sinistro; ancora Müller al 110’ (3-3); Rivera al 111’ (4-3) dopo una meravigliosa incursione di Boninsegna sul lato sinistro e l’assist vincente. Al fischio finale non si sa chi tra giocatori e pubblico abbia maggiormente il cuore in gola. Nasce così 'l’Italiagermaniaquattroatre', un film di 120’ da vedere e rivedere tutto d’un fiato, una sfida unica con cui (ri)entriamo nella storia del calcio. Oltre trenta milioni di italiani rimangono incollati alla radio o alla tv fino a notte fonda, per poi esplodere di gioia nelle strade coi lunghi caroselli d’auto. Enrico Ameri, nella sua radiocronaca dirà: "L'Italia ha segnato, non sappiamo dirvi con chi, gentili ascoltatori, ma esattamente... con Rivera!". Altri tempi. Andiamo in finale contro il Brasile, che ha eliminato 3-1 l’Uruguay.

LA FINALE
- La vittoria sui tedeschi testimonia al mondo il nostro Risorgimento calcistico. “Il mondo ci ha visto e si inchina” titola 'Stadio' il giorno seguente. Affrontiamo quindi i brasiliani con maggiore consapevolezza, ma prendiamo una batosta: 4-1. Probabilmente siamo rimasti a quella semifinale al cardiopalma, che pesa ancora nelle gambe. Gli integratori non esistono e la paura dell’antidoping ci impedisce di fare uso di ‘altre’ sostanze. La vittoria sulla Germania è nata dal cuore, con sofferenza, ma tatticamente ha dimostrato le nostre carenze. Contro il Brasile, dunque, si deve cambiare registro. Resistiamo solo un tempo, segna un signor Pelé e pareggia Boninsegna, che però approfitta di un errore avversario. La squadra fatica a costruire una manovra corale e cede il passo al Brasile, che dilaga nella ripresa. Burgnich si rende conto che O’ Rey è immarcabile: è evidente che voglia quella  Coppa e superbamente ce la sfila. Gerson con un gran tiro dai 16 metri, Jairzinho e per finire Carlos Alberto calano il sipario. La Rimet è ufficialmente e definitivamente nelle mani dei più forti carioca. Ai tifosi italiani non resta che crogiolarsi nella vittoria del cuore contro la Germania, quando, racconta Brera, “sentimentali e romantici si sono abbandonati a orge di entusiasmo e di gratitudine verso gli Azzurri”. Quel “partido del siglo” commemorato da una targa affissa nello Stadio Azteca, non deve offuscare il ricordo di una finale in cui il Brasile si è distinto per classe sopraffina. Rivera entra solo all’ 84’, per vedere il suo nome nel taccuino dell’arbitro e nei rotocalchi nazionali, che prendono di mira la ‘staffetta’. Anche questa volta torniamo a casa tra le polemiche e i pomodori. È definitivamente esploso il calcio come fenomeno di massa.

Vincitore: Brasile
Capocannoniere: Gerd Müller (Germania Ovest)

BrasileItalia 4:1, il video della finale

Italia-Germania 4:3

La radiocronaca di Enrico Ameri

 

 

La più bella partita di tutti i tempi
di Vittorio Lussana
Il vero ‘momento-soglia’ della nostra storia calcistico-nazionale fu quello varcato nell'indimenticabile notte del 17 giugno 1970. L'Italia di Ferruccio Valcareggi era giunta in semifinale dei campionati del mondo in Messico dopo aver eliminato i padroni di casa. Ci attendeva, ora, la Germania, quella di Schnellinger, Muller e, soprattutto, di Franz Beckenbauer, uno dei più grandi 'liberi' della storia del calcio. L'Italia intera si pose innanzi ai televisori con la netta sensazione che stesse per succedere qualcosa. E infatti, dopo circa 8 minuti, una ‘sponda sporca’ di Gigi Riva pose Roberto Boninsegna nelle condizioni di battere il 'portierone' tedesco Mayer. Era l'uno a zero: eravamo in vantaggio. Subito veemente fu la reazione dei tedeschi. I nostri si ritrovarono 'sotto assedio' e in netta difficoltà: eravamo ancora una volta lì, sul Piave, a difendere qual maledetto fiume di sangue da questi enormi mangiatori di patate. Burgnich si sacrificò per un'ora intera stando addosso a Gerard Muller, il centravanti tedesco; Facchetti non riusciva più a uscire sulla corsia di sinistra nello sforzo di contenere le 'folate' dei germanici; Domenghini, De Sisti e Mazzola si ritrovarono impegnati in un durissimo lavoro di disturbatori della manovra teutonica, che ormai ci accerchiava completamente. Resistemmo miracolosamente sino al 92esimo minuto, quando una specie di 'scivolata' di Scnhellinger, che stava quasi per essere sostituito, mise il pallone alle spalle di Albertosi. Si andò ai supplementari. Il regolamento di quell'epoca impediva le sostituzioni dopo il 90esimo minuto: chi c'era, c'era e chi non ce la faceva rimaneva a bordo campo, lasciando la propria squadra in inferiorità numerica. La battaglia ricominciò durissima e, dopo soli due minuti, la Germania passò in vantaggio. Ormai era finita: i 'crucchi' hanno sempre avuto più resistenza fisica di noi, non era più possibile ribaltare il risultato. Ma i tedeschi si erano 'sfiancati': avevano speso moltissimo durante l'assedio a cui ci avevano sottoposto nei tempi regolamentari. E Beckenbauer, a un certo punto, si infortunò e fu costretto a giocare con un braccio fasciato intorno al collo. Gigi Riva, un mancino 'riottoso' figlio di due operai metalmeccanici del 'varesotto', lo capì perfettamente, si diede alla fuga sulla sinistra, mise un pallone nell'area tedesca per Tarcisio Burgnich il quale, riprendendo una corta respinta di un difensore, siglò il pareggio. Due a due: non era ancora detta l'ultima parola, carissimi tedeschi. Gli schemi tattici saltarono completamente. I tedeschi si arrabbiarono di brutto per essersi visti sfuggire la finale per l'iniziativa isolata di un'ala sinistra che militava nel piccolo Cagliari. E ci saltarono letteralmente addosso. Ma Cera, Rosato e Bertini resistettero, riuscirono a far filtrare un pallone all'ala destra dell'Atalanta, il giovane bergamasco Angelo Domenghini, il quale riuscì subito a lanciare Gigi Riva, il nostro 'rombo di tuono'. Ricordiamo tutti quella rete come la forma più tenace e ostinata di un uomo nel cercare di raggiungere il proprio obiettivo: Riva si allargò sulla sinistra inseguito da tre avversari e, all'improvviso, tirò una 'castagna' in diagonale con quel suo sinistro micidiale, velenoso, cattivo, sul palo più lontano della porta di Mayer. Eravamo in vantaggio, ma stava accadendo qualcos'altro: stavamo vivendo un momento di orgoglio travolgente, all'improvviso ci scoprimmo tutti forti, orgogliosi, resistenti, coraggiosi, persino belli a vedersi. Finalmente, stava uscendo la parte migliore di noi. Ma i tedeschi erano fisicamente forti, mentre i nostri erano quasi tutti ormai bloccati dai crampi, poiché si stava giocando da quasi due ore a 1.900 metri di altitudine nello stadio 'Azteca' di Città del Messico, la capitale più alta del mondo dopo La Paz. I germanici decisero di compiere lo sforzo estremo: non ci stavano a perdere con gli italiani, quelli del mandolino e degli spaghetti al pomodoro. E si fecero avanti, tempestandoci di traversoni. Seeler e Held continuavano a crossare palloni dalla sua fascia per Muller, il quale, grazie ai suoi quasi due metri di altezza, riuscì agilmente a sfiorarne uno e a battere nuovamente Albertosi. La Germania ci aveva nuovamente raggiunto. Tuttavia, ormai non stava più in piedi, perché aveva dovuto mettere in campo il suo ultimo respiro. De Sisti e Bonisegna ripresero il gioco dopo un nuovo, ennesimo, calcio d'inizio. Mancavano solo due minuti, ma oramai c'era solo l'Italia in campo: tre passaggi precisi tra De Sisti, Boninsegna e Gigi Riva, un traversone rasoterra al centro, dove c'era rimasto il nostro 'abatino', Gianni Rivera, quel ragazzo 'genialoide' di Alessandria che, secondo Gianni Brera, non aveva la forza per resistere a due ore e mezza di 'guerra vera' in alta montagna. Il suo tocco fu preciso, un 'piatto' destro che mandò tutta la difesa tedesca, con una finta di corpo, dall'altra parte: rete. Fu la più grande, commovente, esaltante e giusta vittoria mai ottenuta da noialtri sui tedeschi, i nostri avversari di sempre, quelli che ci rompevano da secoli 'i coglioni' al di là dell'Adamello, quelli che da sempre erano più forti di noi, la razza 'eletta', i barbari che avevano distrutto l'Impero romano. E invece, questa volta li avevamo sconfitti pienamente, nel corso di una battaglia vera, durissima, addirittura cruenta. "Le truppe nemiche risalgono in disordine quelle stesse valli che, negli scorsi mesi, avevano disceso con baldanzosa sicurezza". Ancora oggi c'è una targa d'argento in quello stadio di Città del Messico. La dicitura recita: 17 giugno 1970: Italia - Alemania = 4 - 3. Vencido y vencidor, siempre con honor.

La più bella partita di tutti i tempi
di Vittorio Lussana

Il vero ‘momento-soglia’ della nostra storia calcistico-nazionale fu quello varcato nell'indimenticabile notte del 17 giugno 1970. L'Italia di Ferruccio Valcareggi era giunta in semifinale dei campionati del mondo in Messico dopo aver eliminato i padroni di casa. Ci attendeva, ora, la Germania, quella di Schnellinger, Muller e, soprattutto, di Franz Beckenbauer, uno dei più grandi 'liberi' della storia del calcio. L'Italia intera si pose innanzi ai televisori con la netta sensazione che stesse per succedere qualcosa. E infatti, dopo circa 8 minuti, una ‘sponda sporca’ di Gigi Riva pose Roberto Boninsegna nelle condizioni di battere il 'portierone' tedesco Mayer. Era l'uno a zero: eravamo in vantaggio. Subito veemente fu la reazione dei tedeschi. I nostri si ritrovarono 'sotto assedio' e in netta difficoltà: eravamo ancora una volta lì, sul Piave, a difendere quel maledetto fiume di sangue da questi enormi mangiatori di patate. Burgnich si sacrificò per un'ora intera stando addosso a Gerard Muller, il centravanti tedesco; Facchetti non riusciva più a uscire sulla corsia di sinistra nello sforzo di contenere le 'folate' dei germanici; Domenghini, De Sisti e Mazzola si ritrovarono impegnati in un durissimo lavoro di disturbatori della manovra teutonica, che ormai ci accerchiava completamente. Resistemmo miracolosamente sino al 92esimo minuto, quando una specie di 'scivolata' di Scnhellinger, che stava quasi per essere sostituito, mise il pallone alle spalle di Albertosi. Si andò ai supplementari. Il regolamento di quell'epoca impediva le sostituzioni dopo il 90esimo minuto: chi c'era, c'era e chi non ce la faceva rimaneva a bordo campo, lasciando la propria squadra in inferiorità numerica. La battaglia ricominciò durissima e, dopo soli due minuti, la Germania passò in vantaggio. Ormai era finita: i 'crucchi' hanno sempre avuto più resistenza fisica di noi, non era più possibile ribaltare il risultato. Ma i tedeschi si erano 'sfiancati': avevano speso moltissimo durante l'assedio a cui ci avevano sottoposto nei tempi regolamentari. E Beckenbauer, a un certo punto, si infortunò e fu costretto a giocare con un braccio fasciato intorno al collo. Gigi Riva, un mancino 'riottoso' figlio di due operai metalmeccanici del 'varesotto', lo capì perfettamente, si diede alla fuga sulla sinistra, mise un pallone nell'area tedesca per Tarcisio Burgnich il quale, riprendendo una corta respinta di un difensore, siglò il pareggio. Due a due: non era ancora detta l'ultima parola, carissimi tedeschi. Gli schemi tattici saltarono completamente. I tedeschi si arrabbiarono di brutto per essersi visti sfuggire la finale per l'iniziativa isolata di un'ala sinistra che militava nel piccolo Cagliari. E ci saltarono letteralmente addosso. Ma Cera, Rosato e Bertini resistettero, riuscirono a far filtrare un pallone all'ala destra dell'Atalanta, il giovane bergamasco Angelo Domenghini, il quale riuscì subito a lanciare Gigi Riva, il nostro 'Rombo di tuono'. Ricordiamo tutti quella rete come la forma più tenace e ostinata di un uomo nel cercare di raggiungere il proprio obiettivo: Riva si allargò sulla sinistra inseguito da tre avversari e, all'improvviso, tirò una 'castagna' in diagonale con quel suo sinistro micidiale, velenoso, cattivo, sul palo più lontano della porta di Mayer. Eravamo in vantaggio, ma stava accadendo qualcos'altro: stavamo vivendo un momento di orgoglio travolgente, all'improvviso ci scoprimmo tutti forti, orgogliosi, resistenti, coraggiosi, persino belli a vedersi. Finalmente, stava uscendo la parte migliore di noi. Ma i tedeschi erano fisicamente forti, mentre i nostri erano quasi tutti ormai bloccati dai crampi, poiché si stava giocando da quasi due ore a 1.900 metri di altitudine nello stadio 'Azteca' di Città del Messico, la capitale più alta del mondo dopo La Paz. I germanici decisero di compiere lo sforzo estremo: non ci stavano a perdere con gli italiani, quelli del mandolino e degli spaghetti al pomodoro. E si fecero avanti, tempestandoci di traversoni. Seeler ed Held continuavano a crossare palloni dalle loro fascie per Muller, il quale, grazie ai suoi quasi due metri di altezza, riuscì agilmente a sfiorarne uno e a battere nuovamente Albertosi. La Germania ci aveva nuovamente raggiunto. Tuttavia, ormai non stava più in piedi, perché aveva dovuto mettere in campo il suo ultimo respiro. De Sisti e Bonisegna ripresero il gioco dopo un nuovo, ennesimo, calcio d'inizio. Mancavano solo una manciata di minuti, ma oramai c'era solo l'Italia in campo: tre passaggi precisi tra De Sisti, Boninsegna e Gigi Riva, un traversone rasoterra al centro, dove c'era rimasto il nostro 'abatino', Gianni Rivera, quel ragazzo 'genialoide' di Alessandria che, secondo Gianni Brera, non aveva la forza per resistere a due ore e mezza di 'guerra vera' in alta montagna. Il suo tocco fu preciso, un 'piatto' destro che mandò tutta la difesa tedesca, con una finta di corpo, dall'altra parte: rete. Fu la più grande, commovente, esaltante e giusta vittoria mai ottenuta da noialtri sui tedeschi, i nostri avversari di sempre, quelli che ci rompevano da secoli 'i coglioni' al di là dell'Adamello, quelli che da sempre erano più forti di noi, la razza 'eletta', i barbari che avevano distrutto l'Impero romano. E invece, questa volta li avevamo sconfitti pienamente, nel corso di una battaglia vera, durissima, addirittura cruenta. "Le truppe nemiche risalgono in disordine quelle stesse valli che, negli scorsi mesi, avevano disceso con baldanzosa sicurezza". Ancora oggi c'è una targa d'argento in quello stadio di Città del Messico. La dicitura recita: 17 giugno 1970: Italia - Alemania = 4 - 3. Vencido y vencidor, siempre con honor.


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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