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27 Aprile 2024

1990: notti magiche, finché si può

di Gaetano Massimo Macrì
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1990: notti magiche, finché si può

Il mondiale italiano, nei ricordi dei tifosi, ha il sapore di una serie di notti entusiasmanti immortalate dagli occhi spiritati di Totò Schillaci. Il beffardo gol di Caniggia, però, cala il sipario sull'avventura della nostra nazionale. Termina senza lieto fine anche la favola del Camerun trascinato ai quarti dal 40 enne Milla. Vince la Germania in una poco entusiasmante finale contro l’Argentina

“Hiji de puta…” sono le parole che escono di bocca a Maradona, prima della finale contro la Germania. È la sua risposta ai nostri fischi sull’inno argentino. Inizia così l’ultimo atto del nostro mondiale casalingo. Sarebbe potuta esserci la nostra nazionale, pensano i tifosi, al posto di quell’Argentina che ai quarti, violando l’imbattibilità di Zenga, ci ha interrotto il cammino. Ma partiamo dall’inizio. La magia di quelle notti e note di “Un’estate italiana” (l’inno ufficiale di Nannini/Bennato, traduzione di “To be number one” di Giorgio Moroder), si amplifica lungo tutto lo Stivale. Partita dopo partita, cresce l’intensità del tifo verso gli Azzurri che nonostante un gioco non sempre brillante, escono sempre vittoriosi dal campo. L’amore verso quella squadra, però, si concentra soprattutto su due calciatori: Baggio e Schillaci. Saranno loro la ‘strana coppia’ che regalerà le emozioni più forti. Tutti ci stringiamo attorno a quella Nazionale per sospingerla in avanti. Di giorno ci godiamo il mare (chi può) e la sera ci gustiamo le partite in TV. E pazienza se quella mascotte dal nome insipido,“Ciao”, non ci entusiasma al quanto. Però, dopo le prime vittorie, qualcuno comincia a pensare che potrebbe anche portare bene. In un Paese in cui tutti campano di calcio, si attendono che sia l’Italia, che gioca in casa, a sollevare la Coppa. Per scaramanzia non si pronuncia quella parola. Ci si limita a dire: “raggiungiamo la finale’. Al saluto ufficiale della squadra da parte delle istituzioni a Villa Madama, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti rassicura che “comunque vadano le cose, vi vogliamo bene”. Il CT Azeglio Vicini, invece, teme soprattutto una cosa, non vincere le partite, come dichiara in una intervista. Ha formato un gruppo nuovo, portandosi dentro molti suoi pupilli dalla Nazionale minore. Mentre Zenga, il portiere, insieme a Baresi, poco utilizzati da Bearzot, divengono titolari inamovibili. Roma e l’Olimpico ospitano la Nazionale. La città è in fibrillazione. Dappertutto è un pullulare del tricolore di “Ciao”  e di altri manifesti mondiali. 

FASE INIZIALE – Il nostro percorso inizia con Austria, Usa e Cecoslovacchia. Non è affatto scontato e già dalla prima partita crescono le preoccupazioni. Le occasioni da gol sono tante, altrettanti, però, gli sprechi. Produciamo, ma non segniamo. Vincere la prima contro l’Austria darebbe morale all’ambiente. Pareggiare, in casa, equivarrebbe a perdere. Vicini ne è consapevole e dopo un’ora e mezza circa, si rivolge a Totò Schillaci in panchina: “Alzati e scaldati”. Il siciliano deve sostituire il titolare Carnevale (un ‘intoccabile’). Quando entra in campo, Schillaci è ancora incredulo e teme di fare una figuraccia. Eppure, sul cross di Vialli dal fondo verso l’ area, è proprio Totò a saltare tra due difensori austriaci. Lui, basso, contro quei giganti ha la meglio e segna il gol della vittoria. I suoi occhi spiritati ancora sono una felice novità per il pubblico. Ci abitueremo presto a vederli altre volte, invece. “L’Italia urla Schillaci”, titola la Gazzetta dello Sport il giorno seguente. La prima è andata. Il secondo incontro dovrebbe essere più abbordabile, contro gli Usa. Passiamo in vantaggio con Giannini, detto il “Principe” per l’eleganza dei movimenti. L’azione è splendida: Altobelli, al limite dell’area di rigore, finta che è uno spettacolo e lascia passare da sotto le gambe il pallone per Giannini. Il Principe segna con la sua eleganza. “Tutto molto bello”, commenta Bruno Pizzul, nel suo tipico gergo nasale. Vialli, non in perfetta forma fisica, sbaglia un rigore. Il nervosismo sale, qualcosa non sembra filare per il verso giusto. Schillaci entra ancora dalla panchina e ci riprova, sempre di testa, ma il portiere Meola è in giornata positiva. E per nostra fortuna lo è anche Zenga, che ci salva dalle critiche per un possibile pareggio. Alla fine vinciamo anche questa, senza aver espresso un gran gioco. “Italia a dieta”, commenta tiepida la stampa. Al terzo turno avviene un imprevisto, uno di quelli che, col senno di poi, vorresti benedire. Vialli dà forfait e la nuova, inedita, coppia d’attacco è Baggio-Schillaci. Una novità attorno alla quale si sviluppa grande attesa. La partita contro la Cecoslovacchia dello scatenato Skuravhy  è importante: se vinciamo, possiamo rimanere a Roma. La responsabilità della vittoria, dunque, è nelle mani di una formazione nuova che, per fortuna, si rivela vincente. Tra l’opinione pubblica, c’è chi pensa ancora che Schillaci sia troppo basso per fare il centravanti. E proprio il siciliano dedica la rete (seconda personale) ai suoi denigratori. Segna il vantaggio da bravo opportunista, ancora di testa. Totò ormai sta crescendo. Partito dalla panchina, in silenzio, si è conquistato un posto di prestigio. Segna, si spreca per la squadra e non si cura delle critiche. Sa che il pubblico lo ama, che quello è il suo momento di gloria. E tanto per ricordare che comunque è un giocatore professionista, capace di altri numeri, dimostra di saper fare un dribbling in area. Lo atterrano, sarebbe rigore. L’arbitro non lo concede e lui, ancora seduto, sgrana gli occhi incredulo. Sarà l’espressione di quel viso l’icona tipica di Italia ’90. Siamo a punteggio pieno, stiamo vincendo e ci stiamo ‘sbattendo’ per segnare ancora. In quegli occhi sgranati per il rigore non dato c’è tutta l’Italia che si è appassionata all’avventura azzurra e che non demorde. Un’ Italia che ormai crede nella forza trascinante di quelle pupille fuori le orbite. E accanto al nuovo idolo Schillaci, si affianca quell’altro di Roberto Baggio. A lui appartiene il gol più bello della partita e del Mondiale. A qualcuno ricorda vagamente la rete di Maradona nel 1986 contro l’Inghilterra. Una prodezza individuale che lo incorona, per qualità tecniche, il migliore della Nazionale. Siamo tutto sommato una buona squadra, con ottimi elementi e due icone osannate dal pubblico. Raramente l’amore dei tifosi è arrivato a tanto, nella storia delle competizioni mondiali dell’ Italia. Siamo volati agli ottavi, senza subire reti e riusciamo anche a far divertire, in un certo modo. “Quanto sei bella Italia”, è il significativo titolo della Gazzetta. E se la coppia Baggio-Schillaci ha riunito gli italiani attorno al racconto di una nuova favola, l’altra bella favola, invece, è rappresentata dal Camerun di Roger Milla. I sudafricani addirittura si qualificano primi nel girone, battendo l’Argentina che passa soltanto come migliore terza. E continuano il cammino superando la Colombia. I leoni d’Africa si devono arrendere solo con un dignitoso 3-2 ai quarti contro l’Inghilterra. Il bel gioco espresso e la simpatia dei giocatori, su tutti il quasi 40 enne Milla che ha ripreso  le scarpette appese al chiodo per sostenere la squadra, valgono al Camerun il titolo di cenerentola favorita. 

FASE FINALE – Agli ottavi ce la dobbiamo giocare fino alla fine contro l’ostico Uruguay di Ruben Sosa. La regola del dentro o fuori ha sempre il sapore della ghigliottina: spettacolare quanto crudele. Le azioni d’attacco sono prolifiche. Come sempre sprechiamo molto, senza concludere. Uno stress per i giocatori e per il pubblico dei tifosi. Un fattore che, invece, amplifica la gioia nel momento del gol. Schillaci, ormai titolare, ci va vicino, ma Alvez devia per miracolo. Sono soltanto le prove generali. Il solito Schillaci, abbandonando l’uso del colpo di testa, sfoggia un tiro da fuori area che buca la porta. Non è propriamente un numero nelle sue corde, così Baggio gli tira la maglia e lo scaraventa a terra per la gioia. Serena, subentrato a Berti, ci mette in sicurezza col secondo gol. E sotto a chi tocca. L’avversario dei quarti è l’Eire. Zenga deve compiere alcuni miracoli per mantenere l’ imbattibilità. Sono segnali che ci fanno crescere e credere che stavolta sia quella buona. Anche la fortuna è dalla nostra parte. Donadoni scaraventa un tiro tra i pali. Il portiere respinge ma Schillaci è là, col suo opportunismo. Si ritrova il pallone sul piede. Non sarebbe facile e non lo è, infatti. Ha solo il tempo per coordinarsi al meglio, girarsi col corpo in maniera innaturale e segnare. Andiamo in semifinale dopo aver dimostrato merito, cuore e sofferenza. Ci tocca in sorte l’Argentina, ma la partita questa volta la giochiamo al San Paolo di Napoli. Per Maradona e compagni è il luogo giusto al momento opportuno. Per noi lo sarà molto meno. Quel furbo di Diego prepara il terreno, accusando l’Italia di preoccuparsi dei napoletani solo quando ha bisogno. Parole studiate per far breccia nei tifosi partenopei. Il Napoli ha vinto il campionato proprio grazie all’ argentino e solo Dio sa quanto possa essergli grato. Una ‘napoletanata’ da parte di uno scugnizzo acquisito che solleva qualche polemica. Quando entriamo nello stadio, intuiamo che l’aria è differente. Non è come stare a Roma. Giochiamo in casa, ma il Re di Napoli è pur sempre Maradona. Il tifo ‘tecnicamente’ è tutto per noi. Compaiono striscioni a puntualizzarlo, che ringraziano comunque il campione argentino. Napoli tifa Italia, ma non può andare contro Diego, questo il riassunto. A rompere la tensione ci penserà Schillaci, nella sua semplicità e inesperienza internazionale, forse il più distante di tutti dalla comprensione della mezza sceneggiata che sta svolgendosi. Si fa trovare ancora una volta là dove il pallone è respinto sul primo affondo azzurro. Giannini a quel punto è convinto sostenitore della dose di fortuna del compagno. E glielo comunica benevolmente: “che culo che hai…”. Intravediamo la finale, ma sul finire della partita, Maradona crossa in area e Caniggia salta. Non spicca bene di testa, arriva a sfiorare a malapena il pallone. Una combinazione perfetta, però, che basta alla sfera per essere deviata lievemente in rete. Zenga in porta non c’è più. È già uscito dai pali. Non abbiamo mai subito una rete, forse non siamo abituati. Reagiamo male. Quando, dopo i supplementari, finiamo ai rigori, smalto e lucidità sono ricordi lontani che ormai non ci appartengono. La squadra che è arrivata fin qui vincendo, anche con fatica, appare frastornata. Maradona, nel bene o nel male ci ha dovuto mettere lo zampino e rovinarci la festa. Baresi, gol. Baggio, gol. De Agostini, gol. Donadoni, parata. Maradona allunga il vantaggio. Serena sbaglia e salutiamo le notti magiche. “Immagini che non avremmo mai voluto commentare”, commenta Pizzul. Schillaci, l’eroe azzurro, rimane chiuso per oltre un’ora negli spogliatoi. Nella finalina per il terzo posto, contro l’Inghilterra, Baggio, da grande altruista gli offre il rigore per raggiungere la sesta rete, eguagliare Paolo Rossi e agguantare il titolo di capocannoniere. La finale all’Olimpico di Roma tra Argentina e Germania, per noi ha un sapore amaro. C’è aria di vendetta nei confronti di Maradona, i fischi si spiegano così. Vendetta che in fondo si rende manifesta: l’Argentina perde una bruttissima finale a 7 minuti dalla fine, per un rigore molto dubbio concesso ai tedeschi. Maradona ritira la medaglia del secondo posto tra le sue lacrime, forse quelle di qualche napoletano, e la gioia di tanti italiani ancora delusi. 

Vincitore: Germania
Capocannoniere: Salvatore Schillaci (Ita) 6 reti

 

Mondiali 1990 - semifinale Italia Argentina 1-1

 

Video della finale Argentina – Germania 0:1 (in inglese)

 

RAI - Sigla d'apertura dell'Italia durante i Mondiali del 1990


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