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25 Aprile 2024

1930: quando il gioco inizia. Il Mondiale delle ‘peripezie’

di Gaetano Massimo Macrì
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1930: quando il gioco inizia. Il Mondiale delle ‘peripezie’

La prima Coppa del Mondo di calcio vede la luce, tra tante difficoltà, grazie agli sforzi diplomatici del suo ideatore, Jules Rimet e altri personaggi influenti. Nasce il connubio tra calcio e potere

Prologo - Jules Rimet lo vuole proprio fare quel campionato del mondo. La vetrina olimpica ha dato un po’ di lustro al calcio internazionale, ma il padron della Fifa desidera un ‘giocattolo’ tutto per sé, con una nuova collocazione. Le Olimpiadi sono un affare del barone De Cubertin, francese come lui, ma di nobili origini, mentre monsieur Jules, al di là del suo incarico sportivo, può al massimo fregiarsi del titolo di Commendatore dell'Ordine della Legion d'Onore. Rimet appartiene alla schiera di quegli uomini che si sono costruiti un futuro partendo dal nulla. Negli ambienti cattolici frequentati in gioventù, familiarizza con gli ideali di quel Riformismo che si prefigura di modificare l’ordinamento  sociale e politico. E proprio nel calcio Rimet intravede l’opportunità di abbassare i toni del conflitto sociale, offrendo la possibilità di creare integrazione tra i popoli. Un idealista, in altri termini, in questo uguale al connazionale De Coubertin, il quale, però, grazie al suo nobile rango, ha trovato strada facile per muoversi nella riorganizzazione dei giochi di Olimpia. Rimet è solo, ma caparbio. L’idea di un universalismo dello sport in lui è sorretta dall’ altra idea: che tutto questo è possibile a patto che ci sia il professionismo. Ecco la vera differenza: il calcio e dunque la competizione mondiale, è un sogno realizzabile purché i calciatori siano pagati. Al figlio di un mugnaio non sembra plausibile correre dietro a un pallone in giro per il mondo solo per ‘puro sport’, come sostiene invece De Coubertin, che da buon aristocratico trova indecoroso praticare sport per motivi venali. La strada che avrebbe condotto Rimet al successo tuttavia è costellata da molti rifiuti eccellenti e difficoltà che solo il suo carattere audace, quel modo di parlare strizzando l’occhio all’orgoglio di un Paese ferito come l’Uruguay e il suo sapersi serpeggiare tra gli intrighi di Palazzo, gli consentiranno di superare. Da vero affabulatore, riesce a parlare stuzzicando l’interlocutore di turno con i giusti argomenti. 
Quando si accorge che in Europa ‘non è aria’ per organizzare il trofeo, la scelta ricade sull’Uruguay, rivelandosi per lui il Paese perfetto: colpito dalla crisi del ‘29 e raggiunto ancora dagli echi della Grande Guerra che si ripercuotono sul sistema socio-economico, potrebbe trovare il suo riscatto proprio nell’organizzazione di un evento sportivo di importanza mondiale. L’arguzia e l’arte retorica con cui Rimet ‘vende’ la sua idea coincidono e si combinano  anche con altri eventi importanti per  l’Uruguay, che nel 1930 festeggia il centenario della Costituzione. Il Presidente Campisteguy non può che sposare in pieno il progetto: quale occasione migliore per rendere il degno omaggio alla memoria del Paese e rimpinguare le casse dello Stato? Anzi, è talmente entusiasta che manifesta alla Fifa l’intenzione di rimborsare le spese di viaggio alle nazionali partecipanti. Non da ultimo, poi, quella uruguayana è la squadra più iridata del momento, con la vittoria alle ultime due finali olimpiche.Il Campionato del Mondo rappresenta, insomma, una tregua e forse uno spiraglio di luce, ma soprattutto un treno da prendere al volo. Il tempo a disposizione è minimo – poco più di un anno - e allora ecco che tutta la macchina organizzativa si mette in moto per dare il massimo lustro a Montevideo e all’intero Uruguay conosciuto un tempo come la “Svizzera del Sudamerica”.
Serve innanzitutto uno stadio degno per la “Celeste”, la nazionale uruguaiana. I lavori per la costruzione del grande impianto sportivo, il “Centenario”, iniziano subito, con tre turni da 8 ore, ma l’architetto Juan Scasso non  riesce a terminare l’opera in tempo utile e le prime due partite devono essere ‘dirottate’  sui piccoli campi del Pocitos e del Parque Central.

Tante defezioni - Mentre in Uruguay fervono i preparativi, dall’altra parte dell’oceano Rimet combatte la sua battaglia per strappare quanti più “Si” possibili alle Federazioni calcistiche europee. Il diniego dell’ Inghilterra (seguita dalla vicina Scozia) per motivi di vantata ‘superiorità’ (gli inglesi si ritengono gli inventori del gioco del calcio, dunque i migliori) e di altre ‘grandi nazionali’, (Italia e Spagna erano le più forti del momento) conducono a una situazione quasi disastrosa: a pochi mesi dall’inizio del Mondiale nessuna squadra europea ha deciso di accogliere l’invito della Fifa. Un vero problema per Jules Rimet. Il costoso viaggio in nave e il lungo periodo di permanenza rappresentano un ostacolo, anche e soprattutto economico, non indifferente per calciatori non professionisti e Federazioni in cui non gira ancora la mole di quattrini cui oggi siamo abituati. Chi avrebbe pagato ai giocatori, infatti, lo stipendio per l’assenza forzata? Oltretutto corre voce che i padroni di casa siano i favoriti. Solo la perseveranza di uno come Rimet riesce a garantire  la partecipazione di alcune squadre del Vecchio Continente: Francia, Jugoslavia, Romania e Belgio. Poche, ma appena sufficienti per un campionato che si vuole definire ‘del mondo’. La Romania ha risolto la questione degli stipendi con l’intervento diretto di Re Carlo II, il “Re Playboy” e forse l’intercessione presso di lui dell’amante Magda Lupescu. Rimet intanto non si dà tregua e continua il tour de force nei corridoi dei potenti d’Europa, riuscendo a strappare un altro importante “sì”, quello del suo Paese, la Francia, ‘mettendoci la faccia’, è il caso di dirlo. Fa pressione su due fronti: convincendo sia la Federazione che i datori di lavoro (non tutti i calciatori ‘campavano’ di sport, ricordiamolo) a lasciar partire i tesserati per due mesi in Sudamerica. Per quanto riguarda il Belgio, è necessaria la mediazione del vice della Fifa, Rudolf Seedrayers. Dal lato opposto, quello del continente americano, la partecipazione è garantita da ben 9 squadre: Uruguay, Argentina, Cile, Brasile, Paraguay, Perù, Bolivia, Messico e Stati Uniti.

Il torneo – Dopo un anno i lavori sono terminati. Nel piccolo stadio di Pocitos, solo un migliaio di spettatori attende il fischio di inizio del direttore di gara, l’uruguagio Liberati. Si affrontano Francia e Messico. È inverno, nevica e il freddo penetra nelle ossa, ma dopo 19’ sono i francesi, che all’epoca indossano una divisa "bleu-blanc-rouge" a passare in vantaggio, con il centrocampista Lucien Laurent. Si tratta del primo gol mondiale in assoluto, siglato senza l’attenzione mediatica di oggi e di cui non rimangono ppausibilmente tracce ‘visive’. Il secondo gol lo siglerà qualche minuto più tardi lo statunitense McGhee contro il Belgio (in USA vs Belgio, l’altra partita giocata in contemporanea al Parque Central). Nel primo girone, tuttavia, né i francesi né i messicani si qualificano: passa il turno la più forte e titolata Argentina. Anche il Brasile deve cedere il posto alla Jugoslavia, contro cui perde lo scontro diretto per 2-1. Il 18 Luglio è il turno dei padroni di casa che riescono a giocare nel Centenario, terminato a tempo di record. Sul cemento ancora fresco dei pilastri, la notte precedente una ignota mano (probabilmente degli stessi operai) lascia impresse frasi di scongiuro e beneaugurali per la Celeste, come “Uruguay Campeon”. In effetti il debutto dell’Uruguay contro il Perù è difficile anche per l’allenatore Alberto Suppici che ha solo 32 anni e il suo vero mestiere sarebbe quello del preparatore atletico (cosa che tornerà a fare subito dopo il mondiale). I primi 45’ trascorrono senza reti, il pubblico è in apprensione, non si può rischiare di perdere proprio la partita inaugurale. Nella ripresa le cose non sembrano mutare in meglio. A risolvere il match, evitando la brutta figura, ci pensa il solito Castro al 65’ del 2° tempo. Per el monco (gli manca una mano, e da quella partita diventerà anche el ‘divino’ monco) lo stadio esplode in un boato e per lui è l’inizio dell’apoteosi. Al termine i tifosi invadono il campo, travolgendo anche l’arbitro. La folla è tale che il direttore di gara non ha modo nemmeno di rientrare negli spogliatoi, ritrovandosi catapultato in centro città ancora con la divisa sportiva. Anche se favorita, la Celeste deve affrontare ora la Romania, forte del 4-1 proprio contro quel Perù con cui ha vinto di misura. Le scelte tattiche di Suppici si rivelano azzeccate: Josè Andrade, la maravilla negra non è più il funambolico campione di un tempo, ma la decisione di schierarlo come mediano più difensivo si rivela azzeccata. Alla fine, la formazione sudamericana predomina con un netto 4-0 e passa alle fasi finali.

La fase finale - Terminati i 4 gironi, si giocano le semifinali. Il sorteggio allontana lo scontro diretto tra i rivali storici, Argentina e Uruguay, ma a giudicare dall’identico  risultato tennistico con cui liquidano gli incontri (Argentina vs USA 6-1; Uruguay vs Jugoslavia 6-1) sembrano aver innescato un vero e proprio duello a distanza. La finalissima del 30 Luglio acquista così il sapore della sfida delle sfide, sembra quasi la sceneggiatura perfetta di un film nel cui finale i nodi vengono al pettine. Tutti attendono ora di vedere chi alzerà la Coppa, chi la spunterà tra le due squadre che dettano legge sul rettangolo di gioco ormai da un decennio.
Jan Langenus, l’arbitro belga incaricato di dirigere la partita, percepisce la grande tensione e avanza due richieste: una polizza sulla vita dei familiari e una scorta, al termine dell’incontro, dallo stadio verso il Duilio con cui spera di rientrare in Europa incolume. Dall’Argentina giungono almeno 20.000 tifosi, un fiume che intasa il porto di Montevideo causando ritardi all’ingresso dello stadio. Pur di entrare, anche senza biglietto, qualcuno si spaccia per l’arbitro, al punto che quello vero viene fermato dal personale di sicurezza. Il torneo finora ha avuto scarso successo di pubblico, ad eccezione delle partite della squadra di casa, ma quello che sta per andare in scena ora, nell’ arena del Centenario, è un evento che nessuno vuole perdersi. Ancora una volta la storia sta per riproporsi: le stesse squadre, un’altra finale, dopo quella olimpica del ’28. Le condizioni climatiche dicono che la temperatura è una delle più basse mai registrate in Uruguay. Se fuori fa freddo, il clima all’interno dello stadio è rovente, una polveriera pronta a esplodere. È probabile che ci siano ben più degli 80.000 spettatori (nelle cronache dell’epoca su molti giornali si parla di oltre 100.000) Sotto, negli spogliatoi, l’aria che si respira è tesa fino all’eccesso, segno in fondo di quella mancanza di professionismo anelato da Rimet. Qualcuno, infatti, manifesta timori nel giocare. Come il possente argentino Luisito Monti, el doble ancho (doppia anta) che si rifiuta di prendere parte alla partita. “Mi hanno minacciato”, dirà, ma viene costretto a scendere in campo. Verrà poi apostrofato come conejo (coniglio).Un episodio simile accade tra le fila dell’Uruguay: Peregrino Anselmo ha i nervi a mille, è negli spogliatoi e si rifiuta di mettere piede sul terreno di gioco. Per il capitano Nasazzi, el caudillo, è un atto vile e codardo di chi non merita di giocare una finale così importante. Senza passare per l’allenatore, si assume la responsabilità e decide: fuori Anselmo, dentro Castro, el monco. E infine il portiere Mazali, anche lui ‘a casa’ per la fuga notturna ‘amorosa’ dal lussuoso albergo del ritiro la notte precedente. Ormai è fatta. I giocatori scendono in campo: a decidere il primo mondiale della storia, due squadre vicine e lontane allo stesso tempo. Due Nazionali, due ‘nemiche’ storiche, due Paesi sulle rive opposte del Rio de la Plata, stanno per mettere le mani non sull’ennesimo trofeo, ma sul premio calcistico più importante al mondo. Se Rimet avesse potuto programmare a tavolino la finale, non avrebbe potuto fare di meglio.
Lo statuario Andrade, el divino monco Castro, il duro capitan Nasazzi da un lato, contro il capocannoniere del torneo dall’altro, el filtrador Guillermo Stabile e Barnabè Ferreira, detto o dinamiteiro per la potenza del tiro (una volta dovette togliersi le scarpe per mostrare alla stampa di non ricorrere a trucchi). Al di là dei timori iniziali, dunque, i numeri per una finale perfetta ci sono tutti. E così è. La partita si svolge in maniera spettacolare. Vantaggio degli ospiti, pareggio e ribaltamento dei padroni di casa. Uno spettacolo degno per la prima storica finale. Al 12’ l’Uruguay con Dorado marca il primo vantaggio: il Centenario è una bolgia piena di cappellini di paglia alzati al cielo. Gli argentini sono tonici e non demordono, pareggiando prima con Peucelle e passando in vantaggio proprio con lui, el filtrador Stabile. Il gol è in sospetto fuorigioco, ma il verdetto di Langenus è irremovibile. A quel punto l’Uruguay sembra una squadra impacciata, quasi irriconoscibile. Non le resta che il secondo tempo per riacciuffare la partita. Scarone è noto per avere piedi precisi (segnava anche dal calcio d’angolo) e proprio dai suoi piedi parte l’assist vincente a Cea, che riapre l’incontro. Sul 2-2 i padroni di casa vedono appesa sul filo del rasoio la possibilità di capovolgere le sorti della Coppa: nessuna partita del torneo è finita in parità e una finalissima di quel calibro, con quel risultato nella ripresa fa temere il peggio da ambo le parti. Può succedere di tutto. Per sua sfortuna Stabile scivola su un pallone che avrebbe dovuto insaccare in rete; sul lato opposto Iriarte, implacabile, punisce l’errore, segnando all’incrocio dei pali da 25 metri. Una vera dimostrazione di forza, la risposta che tutto il pubblico sta attendendo dalla Celeste, che chiude definitivamente i giochi all’ 89’, quando Castro, che non partiva titolare, raccoglie un perfetto cross di Dorado e porta la squadra sul sicuro 4-2. Finisce così al Centenario. L’Uruguay si laurea come prima squadra nazionale campione del mondo, Nasazzi è il primo capitano a sollevare la “Vittoria alata” al cielo. Al vincitore per tre volte della ‘Coppa Rimet’, spetterà di diritto di possederla per sempre. La storia è appena cominciata.

L’eco sulla stampa italiana
Ecco come commentava Leone Boccali la vittoria dell’Uruguay sulla rivista “Lo Sport Fascista”, lamentando la mancanza di autorevolezza delle squadre europee partecipanti.

URUGUAY 1930


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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