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19 Aprile 2024

Marco Solaro: "Siamo tutti 'tessere' di un immenso mosaico"

di Liliana Manetti
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Marco Solaro: "Siamo tutti 'tessere' di un immenso mosaico"

‘Senza fissa dimora’ è il nuovo romanzo di uno scrittore dallo stile snello ma intelligente, che con i suoi ‘racconti brevi’ riesce a sintetizzare riflessioni filosofiche ardite e insegnamenti morali estremamente attuali

Da pochi giorni è uscito il nuovo romanzo di Marco Solaro dal titolo ‘Senza fissa dimora’, opera del neurologo-scrittore che ha voluto dare un seguito, dopo due anni, al suo primo lavoro, ‘Il volto della primavera’, entrambi editi da Enoteca Letteraria. Il 13 ottobre scorso si è tenuta la presentazione del volume presso l’Enoteca letteraria di Tonino Puccica, in via San Giovanni in Laterano a Roma, con la partecipazione del circolo Iplac (Insieme per la cultura, ndr) e di moltissimi dei suoi membri. Ha moderato l’evento Maria Rizzi, socia fondataria dell’Iplac. A margine della presentazione, abbiamo incontrato l’autore e diverse figure che, di solito, si mettono a disposizione del circolo per organizzare gli eventi, del tutto gratuitamente. Come, per esempio, la poetessa romana Federica Sciandivasci, che ha pubblicato numerose sillogi, con riconoscimenti in numerosi premi letterari, tra cui l’ultima – ‘Cromosofia dell’anima’ - che le è valso il Premio ‘Alda Merini’. Durante la presentazione, si è prestata a leggere e a interpretare alcuni stralci del romanzo di Marco Solaro. Poi Loredana D’Alfonso, giornalista e scrittrice di ‘gialli’, da poco consigliera Iplac, che in questa occasione ha intervistato pubblicamente l’autore. Infine, Franco Campegiani, poeta, saggista, filosofo, critico letterario e critico d’arte, che ha letto una propria relazione filosofico-letteraria del romanzo presentato. L’autore, oltre a questi due primi romanzi, ama molto scrivere racconti, premiati peraltro in alcune importanti rassegne letterarie. Per esempio, con il saggio intitolato ‘Sul sentiero della memoria’ ha ricevuto il premio speciale ‘Il faro’ nell’ambito del premio internazionale ‘Voci: città di Roma 2018’, nonché il premio speciale ‘Parco dei Castelli Romani’ nell’ambito della V edizione del premio letterario: ‘Si accende il Borgo 2018’. Nel romanzo ‘Senza fissa dimora’, l’autore afferma una verità apparentemente paradossale, che tuttavia dà senso pieno al racconto: il non vedente protagonista della vicenda ritrova la sua strada di casa proprio quando perde la propria fissa dimora, quando smarrisce il proprio ‘ego’ specchiandosi nell’Altro. Da qui, il titolo dell’opera. In quanto ‘racconto breve’, questa ‘novella’ è particolarmente ‘snella’ e di facile lettura, benché ricca di citazioni e riflessioni filosofiche. Citazioni e riflessioni che, infatti, il filosofo e noto critico letterario, Franco Campegiani, ha notato immediatamente: “La storia”, ha affermato, “ha una trama scarna e pochi personaggi, ma è ricchissima di riflessioni. Vengono infatti trattate”, ha spiegato il critico letterario, “tematiche molto grandi ed eterne, che però risultano essere anche molto attuali, come il contrasto tra sogno e realtà e il rapporto tra il bene e il male. Il romanzo di Marco Solaro”, ha concluso Campegiani, “rientra nel genere della parabola volta a un insegnamento morale: siamo tessere di un immenso mosaico. Questo è il senso più profondo, nonché il messaggio, del romanzo”. Per saperne di più, abbiamo rivolto alcune domande direttamente all’autore.

Marco Solaro, in questo suo nuovo romanzo, ‘Senza fissa dimora’, ci sono elementi eterni ma anche attualissimi, come il contrasto tra la realtà e il sogno e il conflitto tra bene e male, tematiche che precedono riflessioni audaci: perché questa esigenza di trovare risposte così profonde nella realtà umana?
“Probabilmente, è un’esigenza insita nella mia natura. Penso che i concetti di realtà e di sogno e di bene e male nascano con noi. Anzi, prima di noi. Li percepiamo in qualche modo sin da quando siamo bambini. Ci appartengono e ci accompagnano per tutta la nostra vita. Perché, allora, non cercare di conoscere meglio questi nostri compagni di viaggio”?
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La storia del cieco e del pubblicitario che lei utilizza all’inizio del suo racconto, è un aneddoto che generalmente viene impiegato nei corsi e nei seminari per insegnare il marketing: perché anche lei ha voluto avvalersi di questo episodio?
“La prima volta che sono venuto a conoscenza dell’aneddoto sono rimasto colpito e, in qualche modo, commosso, poiché tratteggia di una naturale reazione umana di empatia nei confronti di un povero cieco. Di lì è iniziata la mia riflessione sull’importanza del linguaggio, sull’autenticità delle parole, sulla nostra difficoltà a calarci in maniera autentica e profonda nella realtà e nel mondo degli altri”.

Il non vedente protagonista del suo libro, pur nella sua semplicità, dimostra essere un uomo molto intelligente, che apprende molto dalle sue esperienze di vita: si può pensare che non sia altro che un suo ‘alter ego’?
“Non so se sia il mio ‘alter ego’. Penso, piuttosto, che ci sia un po’ di me in ogni personaggio che rappresento nei miei libri. E, soprattutto, credo che il nostro vero volto lo possiamo vedere solo se ci rispecchiamo nei molteplici, quasi infiniti, volti degli altri”.

Come è avvenuto il passaggio da neurologo a scrittore? Da cosa è nato l’interesse per la scrittura e la filosofia? E quanto del neurologo c’è nello scrittore di oggi?
“Beh, sono domande interessanti, delle quali probabilmente non conosco esattamente le risposte. Io non credo nella stretta rappresentazione delle categorie, quando parliamo di uomini. Io non sono un neurologo: faccio il neurologo; non sono uno scrittore: faccio lo scrittore. Quello che veramente sono, insomma, è altra cosa. Forse, l’interesse per la filosofia e la letteratura nascono proprio dall’esigenza di capire chi sono, o almeno di provarci. Per questo amo scrivere, ma soprattutto leggere. Umberto Eco diceva: ‘Chi non legge vive solo la propria vita, mentre chi legge ne vive molte altre’. Aggiungo, da semplice scrittore quale sono, un pensiero di Borges che amo spesso citare: ‘Lascio agli altri vantarsi di ciò che hanno scritto, io sono orgoglioso di ciò che ho letto’. Questa frase mi ha insegnato che è importante imparare dagli altri e che dobbiamo essere anche noi ‘quell'Altro’ che può contribuire, magari con una riflessione stimolante, a sollecitare la curiosità altrui”.

Perché la preferenza per un romanzo breve, o più i generale per i racconti come scelta di narrazione?
“Non so. Spesso, pensiamo di essere noi a scegliere, ma forse sono le cose a scegliere noi. Il modo con cui si è costruito il mio ‘romanzo breve’ ha seguito un suo cammino naturale. Oserei dire, quasi spontaneo. Scrivere racconti brevi mi viene naturale. E’ come se la mia cifra stilistica si nutrisse di una quantità specifica di spazio da occupare nella narrazione”.

Il critico e filosofo Franco Campegiani ha parlato del suo romanzo inquadrandolo nel genere della parabola: il senso è forse quello di voler dare un insegnamento morale? Oppure, l’aiuto e l’altruismo, che lei intende trasmettere ai lettori dipendono anche dalla sua professione di medico?
“La definizione del bravissimo critico Campegiani la trovo calzante, ma insegnamenti morali da dare all’umanità non ne ho davvero. Quello ‘morale’ è, infatti, un argomento delicato: l’insegnamento morale, se interpretato e vissuto in modo rigido, può diventare una prigione nella quale si consumano indicibili sensi di colpa. E questo io lo vedo proprio nella mia professione di neurologo. Quello che, invece, vorrei che emergesse dal mio libro è l’idea che ogni uomo, per conoscersi, deve confrontarsi con gli altri. E ciò presuppone un atteggiamento d’animo di ascolto, di immedesimazione con il mondo interiore di chi abbiamo davanti. Forse, anche in questo il mio ruolo di medico mi stimola continuamente. Io e loro (gli altri): non è più bello quando usiamo il pronome come prima persona plurale? Non è meglio quando parliamo di noi”?

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NELLA FOTO: LO SCRITTORE MARCO SOLARO (FRANCESCO LUCARELLI PHOTOGRAPHY)

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