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25 Aprile 2024

Testimoniando il destino

di Giovanna Albi
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Testimoniando il destino

Il decano della filosofia italiana, Emanuele Severino, uno dei massimi filosofi contemporanei deceduto nel 2020, torna in ristampa per Adelphi, con un corposo e denso volume uscito il 17 gennaio 2019

Si tratta di una summa delle opere precedenti. A partire da quando il filosofo si è imposto a livello internazionale, nel 1958, procedendo nell’affrontare la crux della filosofia occidentale: l’Essere o il Divenire. Egli vira in maniera netta verso l’eternità dell’Essere che compie in suo destino nel Nulla, presentandosi come il più parmenideo tra i contemporanei. Questa presa di posizione chiara è di conforto al nostro occidente, che si accapiglia da sempre intorno alla ‘vexata quaestio’ frammentandosi in mille rivoli di pensiero. Abbiamo bisogno di tornare all’Assoluto, anche sentendoci assoggettati al Nulla, dal quale venimmo e nel quale, indubbiamente, torneremo. Il testo, che non tradisce certo le aspettative dei tanti lettori, si struttura in 15 capitoli e 19 postille, in cui il filosofo si interroga sui temi a lui più cari: il destino e la scienza; apparire e compimento; finitezza dell’originario; possibilità e volontà della verità; permanenza e resurrezione.
Incauti detrattori del suo pensiero lo accusano di essere lì da anni, fermo sul Nulla. Ma che cosa sua questo Nulla, se non un fertile Nulla/Pieno, promotore delle più approfondite riflessioni sulla dimensione dell’Essere e sul compimento della sua ‘moira’? Dobbiamo riconoscere al filosofo che, in un secolo in cui molti voltano le spalle alla Verità filosofica, riempiendo il Nulla ‘severiniano’ di vuote discettazioni, Severino va al cuore del problema, testimoniando il destino dell’uomo, che sta eternamente nel suo Essere, anche nel qui e ora, in cui anche noi scriviamo parole impermanenti, che torneranno nel Nulla. Ma prima che cadano nell’oblio, vogliamo avvertire addetti e non ai lavori di quanto sia profondo questo libro, perché ci fa riflettere su quella condizione eternamente vuota dell’Essere di cui facciamo quotidianamente esperienza, tra la Terra e il cielo. Il filEmanuele_Severino.jpgosofo Severino sta in questa consapevolezza da circa 60 anni e, in questo lavoro, ha ormai raggiunto una pienezza di pensiero inaccessibile ai più. Uno “stare nel sapere” che ha conseguito uno scopo eccelso, laddove ha fallito l’epistème a partire da Socrate. Il destino cui, infatti, questa è condannata con il disvelamento sempre incompleto dell’Essere, ha determinato il relativismo conoscitivo, poi tracollato in nichilismo. Qualcuno ha già fatto notare che ‘stare’ ed ‘episteme’ hanno la medesima radice indoeuropea ‘stha’ e che ci vuole una volontà ferrea e una dedizione smisurata a divulgare questo verbo sul Nulla e su questo eternizzarsi dell’Essere. Per cui, Severino qui appare uno dei filosofi più coerenti a livello internazionale, mai pago di divulgare le sue certezze sperimentate: l’uomo non sarebbe l’ombra di un sogno, come ebbe a dire Pindaro e come credeva la cultura greca, ma vive su questa Terra, un paradiso di eternità di cui non è affatto consapevole. Così, l’Essere ‘severiniano’ non si lascia irretire dalla Storia, che è puro accidente, ma rimane eternamente identico a se stesso. Questo guardare in faccia la Verità filosofica in modo fermo, lo tiene lontano dall’abisso di Nietzsche, lo corrobora circa la consapevolezza dell’illusorietà del divenire. Lo sguardo frontale sul mondo ricorda il poeta da lui tanto amato e studiato, Giacomo Leopardi, il quale ne ‘La Ginestra’ sfida la natura che pone l’uomo di fronte alla sua finitezza, con l’orgoglio di essere poeta/filosofo, consapevole del Nulla e dell’orrido abisso nel quale precipiteremo. Ci vuole determinazione nella contemplazione del Nulla, perché interviene a disturbare l’horror vacui e la spinta umana, terribilmente umana, a riempire quel vuoto che si crea e che genera l’angoscia esistenziale. Pensiamo a quanta angoscia di fronte al vuoto e all’insorgere delle “infinite possibilità”, come ha avvertito Kierkegaard, fino ad arrivare al salto nella fede attraverso un credo ‘quia absurdum’.
Severino, invece, resta saldo febbraio del 2019 e può dirsi appagato dell’esperienza dell’Eterno, affermando nella nota iniziale al testo: “Non basta possedere un campo, bisogna coltivarlo. E il campo di cui qui si tratta è l’insieme dei miei scritti. Un linguaggio, dunque. E anche questo libro intende indicare l’autentica ‘pianura’ della verità”. Da qui si evince tutto l’orgoglio severiniano/leopardiano, accompagnato dalla consapevolezza di essere uno spirito superiore, che spiana la via alla Verità. Severino il profeta, potremmo dire, che ha dissodato il campo della conoscenza e ha trovato un modus cogitandi et vivendi che lo ha strappato all’esilio a cui gli uomini, nella maggior parte dei casi, sono condannati. Un “non essere padroni”, diceva Freud, “nemmeno in casa propria”. Severino ha invece visto il destino della Verità “che sta al di sopra di ogni fede e di ogni volontà”. E in ‘Testimoniando il destino’ (Adelphi, 2019) ci lascia un’eredità di pensiero che nulla potrà mai cancellare.
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