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26 Aprile 2024

Bobo Craxi: "La terza Repubblica rischia di diventare la tomba della sinistra"

di Livio Cotrozzi
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Una riflessione con l’ex sottosegretario agli Affari Esteri, figlio del grande leader socialista Bettino Craxi, a margine dell’inaugurazione di una piazza intitolata, di recente, a suo padre dal comune di Bassiano, in provincia di Latina
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E’ sempre un piacere incontrare Bobo Craxi durante alcuni appuntamenti storico-politici importanti, come nel recente evento di Bassiano, in provincia di Latina, in cui è stata intitolata una piazza al grande leader del Partito socialista italiano, Bettino Craxi. Una forza politica che, con sempre maggiore evidenza, manca molto alla sinistra italiana, per il suo antichissimo bagaglio di princìpi e la sua grande tradizione riformista di progresso, da perseguire nell’equità e nell’equilibrio. Un ‘Partito-cerniera’, che svolgeva una funzone preziosa e che, oggi, in molti rimpiangono.

Onorevole Craxi, cominciamo dal Partito democratico: come giudica le recenti titubanze di Marco Minniti e, più in generale, la confusionaria situazione di questa forza politica, che dovrebbe essere l’architrave di una futura possibile alternativa al governo ‘penta-leghista’?
“Gli sbandamenti e le confusioni post elettorali appartengono alla regola delle cose. Nel caso del Partito democratico, vi è certamente qualcosa di più, che determina incertezze sul suo percorso futuro. Si è esaurita, in meno di tre anni, una fase, quella dominata da Renzi, che aveva suscitato speranze e aspettative non solo nel Pd, ma anche nel Paese. Egli aveva modellato un Partito a sua immagine e somiglianza, ma aveva anche costruito un’opzione politica e un’identità precisa del Pd, che prima non ne aveva. Una forza di governo guidata, innanzitutto, da giovani energie, totalmente scollegate dalle radici politiche e culturali dei Partiti ‘novecenteschi’ che avevano costituito il Pd (il Pci e la Dc). Una scommessa anche culturale, che tuttavia ha perduto ‘smalto’ sul terreno delle scelte di governo e sul modello di leadership che, via via, ha assunto, di carattere dispotico, che lo ha allontanato dal ‘clichet’ classico di un Partito della sinistra italiana. L’operazione Zingaretti tenta di ricostruire un punto di equilibrio fra il Partito di governo e quello della tradizione, ma non saprei dire, allo stato, se quest’operazione avrà successo”.

Stanno emergendo, o sono già emerse, tutte le contraddizioni di un’identità culturalmente spuria, secondo lei?
“Dal mio punto di vista, un’identità culturale il Pd non l’ha mai avuta: ha prevalso un ‘continuismo nascosto’, ben orchestrato dagli epigoni della stagione ‘berlingueriana’, sino all’avvicendamento, alla guida del Partito e del Governo, di personalità in cui nettamente si percepiva il timbro della sinistra ‘tecnocratica’ e cattolica. D’altronde, sin dalla sua nascita, l’Ulivo prima e il Pd poi si sono sempre dovuti misurare pragmaticamente con le mutate condizioni del Paese e con l’avvento del populismo, prima ‘light’ e ‘soft’ di Berlusconi e, successivamente, con quello di Matteo Renzi. Tutto ciò ha aperto la strada al populismo vero, quello delle destre e del ‘poujadismo’ interpretato da Beppe Grillo, non dissimile dall’antica propensione di una certa sinistra che, un tempo, trovava nel Pci la propria ‘culla naturale’. Non credo che la svolta politica verso una definitiva opzione socialdemocratica possa arrivare da Zingaretti: ho sempre osservato che la figura maggiormente ispirata alle tendenze ed esperienze socialiste europee fosse quella di Andrea Orlando, che però è fuori dalla lotta”.

E il Psi? Si dice che andrà a Congresso, ma alcuni malesseri si percepiscono anche nella formazione guidata, sin qui, da Riccardo Nencini: cosa succede? E, soprattutto, cosa succederà?
“Compito non dissimile di riorganizzare obiettivi e strategie spetta anche alle piccole forze di tradizione, come la nostra. Ho espresso la mia volontà di contribuire al suo rilancio, a riqualificare l’azione anche stemperando le polemiche che, nel recente passato, non sono mancate. Il malessere percepito attiene al fatto che, ‘a tavolino’, il nuovo non può nascere. Ed è solo attraverso prove successive che si può valutare se c’è ancora vitalità nel mondo socialista organizzato. Nencini, con il quale sono tornato a parlare di recente, deve però chiarire se intende favorire questo processo o se è ritornato sui suoi passi, volendo mantenere una mano di protezione sul Partito, il quale, penso, abbia bisogno di un catarsi simbolica, ovvero di un cambiamento alla sua guida”.

Cosa deve fare il mondo socialista, oggi, secondo lei? E quale tipo di risposte dovrebbe articolare?

“Allo stato, bisognerebbe puntare sull’autonomia politica, sull’identità e sull’aggregazione di nuove energie e di vecchie esperienze. Modellare una nuova forza politica secondo criteri di modernità, in un giusto ‘mix’ fra esperienza della rete e tradizionale organizzazione partitica. Al contempo, mantenere saldi i principi di fondo del socialismo, perché è di esso che, nella società odierna, si sente il bisogno, senza sbandamenti o concessioni alle ‘mode’ del momento. Il Psi fu travolto non per gli scandali, ma perché era un Partito ‘cerniera’ della società italiana. E perché andava denunciando i rischi che un approccio sbagliato alla globalizzazione e una frettolosa unificazione europea avrebbe potuto comportare. Io so soltanto che, scomparsi i socialisti, furono ‘svenduti’ i ‘gioielli di Stato’ in men che non si dica. E che la deprecata corruzione è aumentata del doppio, così come il nostro debito pubblico. La seconda Repubblica è stata un disastro per il nostro Paese e la terza può diventare la ‘tomba’ della sinistra. Non vedo perché non riannodare i fili spezzati di una Storia e ripartire con rinnovato slancio”.

Il recente riconoscimento di Bassiano (Lt) a suo padre è stato solo uno dei tanti atti di stima, ma nessuna grande città ha ancora discusso la possibilità di dedicargli una strada: è l’ennesimo segnale dell'oblio in cui versa la politica attuale?
“Credo che, inseguendo i riconoscimenti ‘toponomastici’, smarriremmo il senso di quanto, con evidenza, sta accadendo. E’ in atto un revisionismo storico molto profondo. E il contributo lo stanno dando anche le nuove generazioni, che non si ‘bevono’ affatto la ‘favoletta’ degli onesti che avrebbero sostituito i malfattori. Si vuol vedere più chiaro, intorno a quanto avvenne venticinque anni fa. E si sta ormai vedendo più chiaro, nonostante le operazioni disperate di rilancio dei magistrati senza ‘macchia’ e senza ‘paura’ ripropinate tanto da Sky, l’anno scorso, quanto da La7 quest’anno: un ‘buco nell’acqua’. La democrazia italiana non è mai stata così fragile; i Partiti mai stati così poco legittimati; le loro classi dirigenti mai state così deboli e incompetenti. Il problema italiano, che è simile al problema occidentale, apre uno squarcio sui ‘vuoti’ da riempire. Di certo, non sarà con la propaganda storiografica che si colmeranno questi vuoti. E ciò vale anche per le piazze intestate a mio padre. Ma il passo verso una storia condivisa va compiuto, pena la perdita d’identità e lo scontro politico permanente”.
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Se lei, oggi, dovesse spiegare o raccontare suo padre a una classe di giovani studenti, come lo descriverebbe? Chi era Bettino Craxi?
“Non dovrei essere io a spiegare o a raccontare: spero che i testi scolastici e universitari sapranno descrivere con equilibrio un periodo della Storia repubblicana nel quale il Psi e Bettino Craxi resero un grande servigio alla nazione, sapendo garantire sviluppo e progresso interno, unito a un rinnovato prestigio internazionale”.

Chi ha raccolto o può raccogliere, anche in parte, l'eredità politica di quel Partito socialista, cioè quello guidato da suo padre per più di 15 anni?

“Non ci sono ‘eredità’ da spartire, piuttosto un’impronta politica generale da condividere e reinterpretare. E’ naturale, tuttavia, che quella esperienza avrebbe maggior efficacia se interpretata da una forza politica di ispirazione socialista e democratica”.

Il crescente avanzare dei populismi in Europa: come può essere arginato?
“Quest’onda arriva da lontano: ha attraversato i confini europei, dove si sono risvegliati i ‘vulcani spenti’ del passato. Persino la nostalgia per il totalitarismo, pare affascinare le nuove generazioni, così come gli ‘identitarismi territoriali’, che si trasformano in pericolose fobìe xenofobe, razziste e suprematiste. Se la ragione principale risiede nel fallimento delle politiche economiche monetariste, causate da una presunta supremazia finanziaria sulla politica, è anche giusto rilevare che le formazioni eredi del novecento sono arrivate a questo appuntamento con la Storia confidando nel successo e nell’affermazione della democrazia liberale. Ma la verità è che si è sempre dato tutto per scontato, mentre invece – ed è la stessa Storia che lo insegna - il futuro è un continuo divenire, in cui il passato trova sempre un angolo in cui ricollocarsi. Anche il passato peggiore, che alla luce del presente sembra rappresentare un’alternativa. Sarà una difficile battaglia di contenimento, perché il peggio può sempre presentarsi alle nostre porte. Quando pensiamo che nulla possa accadere, in realtà questo accade. La pace, per esempio, non è una conquista duratura, ma un valore da perseguire ogni giorno. Da questo punto di vista, considero ci sia molto da imparare su come una minoranza a lungo perseguitata come quella ebraica sia riuscita a mantenere viva una memoria, scongiurando l’oblio. Il compito di tutti i sinceri democratici è di battersi perché non si prepari un mondo di divisioni, ma di unione e d’interdipendenza. Noi esercitiamo un ‘ruolo-chiave’ nel Mediterraneo. E ci dobbiamo impegnare quotidianamente, per questo”.

I segnali provenienti dall’Andalusia: si tratta di un avvertimento preciso di quel che potrebbe accadere a maggio?
“La Spagna ha conosciuto un periodo di divisione e instabilità, in cui l’unità della nazione è stata posta a rischio e un certo logoramento costituzionale ha fatto riemergere una discussione molto serrata sulla necessità di un suo aggiornamento. Il Governo attuale è fragile, poiché dipende dal voto degli indipendentisti baschi e catalani; la destra, a sua volta, si mostra con un volto più aggressivo, come nel caso di ‘Vox’, una forza nata da una ‘costola’ della destra del Partido popular, oppure con il volto più rassicurante, ma non meno populista, di ‘Ciudadanos’. I socialisti perdono l’Andalusia dopo oltre 35 anni di governo e pagano un prezzo all’instabilità nazionale. Purtroppo, la Governatrice Diaz ha commesso un errore nel convocare le elezioni anticipate: ha perso la maggioranza e ha indebolito il Governo. Errori come questi, in una fase straordinaria e delicata, non bisogna commetterli. E’ lo stesso ‘peccato’ di presunzione che commise Cameron in Gran Bretagna: di fronte ai rischi di grave instabilità, lo ‘status quo’ è sempre preferibile. Il Psoe è ancora avanti, ma a maggio potrebbe non esserlo più. Penso, tuttavia, che le misure economiche adottate daranno a Sanchez l’ossigeno necessario per presentarsi alle elezioni d’autunno con maggiori ‘chances’. Ma se il quadro, prima di allora, dovesse nuovamente precipitare non avrà scampo. E la vittoria delle tre destre porterà il Paese, quasi sicuramente, verso un rischio di guerra civile in Catalogna”.

Molte critiche all’austerity imposta a tutta l’Europa dal Ppe provengono, da più di 10 anni, proprio dal Pse, eppure di ciò sembrano beneficiarne le nuove formazioni di destra estrema: come mai?
“Innanzitutto, va detto che non il Ppe, ma la Commissione europea, spalleggiata dalla Bce, ha promosso un rigore assoluto, che la Germania ha accettato e fatto proprio. Gli stessi socialisti tedeschi, pur battagliando con la Merkel, hanno dovuto cedere ai suoi ‘ukase’: ne sa qualcosa il nostro amico Martin Schultz, che ha perso in un sol colpo la leadership politica dell’Spd e il suo ruolo di governo. Tuttavia, il paradosso è proprio questo: la destra economica, finanziaria e tecnocratica ha aperto la strada a un’altra destra, se possibile più pericolosa, perché nazionalista e populista, la quale ha dimostrato di difendere meglio della sinistra gli interessi generali delle classi sociali che hanno sofferto la crisi. Se l’Europa cambierà, come io credo sarà costretta a fare, il successo politico di queste formazioni sarà innegabile. Naturalmente, proprio perché fondato esclusivamente sull’elemento della protesta, esso è destinato gradualmente a spegnersi. Il compito delle socialdemocrazie sarà perciò quello di governare l’uscita da questa crisi, fissando nuovi obiettivi che uniscano la difesa dello Stato sociale e il progresso delle società sul terreno ambientale, culturale, sulla difesa della pace, della sicurezza e della democrazia, oggi posta a rischio da tentazioni autoritarie e da presupposte modernizzazioni tecnologiche, le quali non sono altro che una nuova forma di controllo totalitario del pensiero delle masse attraverso l’informazione e la rete”.

Ma cosa non si perdona al movimento socialista internazionale: l’apertura agli immigrati? Oppure di essersi spesso coalizzato proprio con le forze del Partito popolare europeo?
“Le ‘grandi coalizioni’ si sono avute soltanto in Germania. In Italia, Pierluigi Bersani, a mio parere sbagliando, cooperò con Forza Italia tenendo in vita un Governo tecnocratico dannoso come il Governo Monti, ma poi si rifiutò di dar vita al suo Governo con il sostegno di Forza Italia. Come se la solidarietà nazionale, di cui spesso i post comunisti menano vanto, non fosse altro che l’accordo fra il Pci e la destra democristiana, che loro tennero al potere per ben tre anni. Ma è acqua passata... Altrove, non vi sono particolari collaborazioni fra socialisti e popolari: l’accordo avviene in Europa perché i due Partiti sono l’espressione dei gruppi politici più importanti e più radicati nel continente. Le altre, grossomodo, sono tutte forze ‘antisistema’ e antieuropee”.

Questo nuovo Governo ‘giallo-verde’ sarà capace di mantenere tutta la sua forza politica, soprattutto dopo i recenti ‘mal di pancia’ sulla manovra finanziaria?
“La cosa che a queste forze riesce meglio è la propaganda: in questo, sono imbattibili. Tuttavia, esse oggi si ritrovano, com’era prevedibile, di fronte a una ritirata strategica, dopo una lunga e dispendiosa battaglia per farsi concedere dal resto dell’Unione europea ciò che vistosamente era impossibile già sei mesi fa ed è realisticamente sconsiderato ottenere adesso: un allargamento del debito in vista di una recessione europea e mondiale. Si capisce benissimo che la forza politica di questi Partiti di governo è soprattutto quella di fare opposizione, magari anche a se stessi, con buona pace della logica e della decenza. Da questo punto di vista, è necessario preparare con sollecitudine non solo una reazione indignata, ma anche una cornice politica più idonea per tentare di recuperare i guasti e gli errori che una prolungata permanenza al potere di queste forze sta provocando. Non escludo ulteriori ‘strappi’ e rotture democratiche: quel che oggi appare invisibile e scartato ‘a priori’, come dicevo poc’anzi, potrebbe ripresentarsi benissimo, in questo nostro Paese, che è sempre stato un Paese fragile e di frontiera”.

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