Non è semplice portare in scena, soprattutto in Italia, il teatro di Botho Strauss, le sue storie lacerate, i suoi corpi caratterizzati da movimenti compulsivi, i suoi personaggi impegnati a riempire lo ‘spazio’ con le parole, nell’illusione di riuscire a sfuggire alla solitudine alienante della modernità. Eppure, proprio la condizione sempre più caotica e difficile della nostra società attuale rende meno ‘criptico’ il messaggio di un drammaturgo che ha cercato disperatamente un significato alla nostra esistenza, senza riuscire a trovarlo. È divenuto meno difficile, oggi, per il pubblico ‘medio’, riuscire a comprendere la pessimistica profezia di Strauss, ormai materializzatasi da ‘spirito’ a ‘corpo’, da ‘atto interpretativo’ a ‘fatto’. Va dunque segnalato il coraggio - ma anche l’opportunità - della scelta operata dalla compagnia ‘Arcadia delle 18 lune’ nel voler mettere in scena un genere teatrale intellettualmente complesso, che ha il merito di riuscire a irridere il pubblico e le sue aspettative. La realtà non ha alcun senso. Ogni luogo è divenuto un ‘non luogo’. E il monologo finale di Olaf, l’apatico, rappresenta pienamente il conservatorismo piccolo borghese di una società chiusa in se stessa, allergica ai cambiamenti, refrattaria a concepire la benché minima ricerca antropologica all’interno di ogni forma di disordine creativo. La vita di oggi è infatti un ordine ‘malato’, che genera solamente ossessioni e paranoie. Un lavoro coraggioso, poiché destinato agli ‘eletti’ o agli ‘iniziati’ verso questo genere di teatro.