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Emma aspettava, nel fondo della sua anima, un principe azzurro “beddu beddu” come Amedeo Nazzari in ‘Le notti di Cabiria’, alla fine troverà Antonio Ficara, un poco più basso di lei, stempiato, impiegato delle poste, ma almeno “viene dalla città e sa parlare corretto”. Quel saper leggere e scrivere che Emma tiene in gran conto, come unica via di scampo da un ‘paesello’ siciliano e dai suoi pettegolezzi, diventa ora l’oggetto di un patto coniugale, uno scambio di ‘favori’: una ‘parolina’ per un piccolo ‘gesto d’amore’. Un gioco che Antonio accetta, animato da ben altri intenti, che Emma, nella sua purezza, stenta inizialmente a riconoscere, ma che nel tempo le farà credere, illudendola e confondendola, come l’amore può manifestarsi anche sotto altre forme, sessualmente più prevaricanti. E poi quella violenza, che accetta in silenzio, solo per raggiungere il vero obiettivo: imparare a leggere e a scrivere. Proprio la prima parola appresa da Antonio, ‘coltello’, diventa anche l’ultima che userà per spezzare quel filo che l’avrebbe legata per sempre a un ruolo di moglie-casalinga, secondo una logica maschilista in uso specie nel Sud di pochi decenni orsono. Emma alla fine riesce a raggiungere il suo scopo: 30 anni di carcere le saranno sufficienti per quella conoscenza su cui basava il proprio riscatto personale. Ora sarà finalmente ‘libera’ di leggere e scrivere. Reclusa, ma libera. In questa dicotomia, si concentra tutto il dramma di una donna, analfabeta per necessità, come tante in un’Italia di un passato nemmeno troppo lontano, che a una morte lenta dentro un mondo chiuso e retrogrado, dove i ruoli sociali sono prestabiliti e immobili, preferisce una vita difficile ma vissuta con maggiore consapevolezza di sé. A una libertà apparente, meglio una reclusione in cui si senta ‘viva’.Bello e amaro, usa con intelligenza l’ironia per far sorridere di un autentico dramma che spesso viene sottaciuto.
Testo Patrizia Caiffa Regia Rinaldo Felli Con Claudia Pellegrini