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11 Ottobre 2024

Donne senza censura

di Vittorio Lussana
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Donne senza censura

Si tratta dell’ultimo monologo dell’attrice Patrizia Schiavo la quale, sotto lo pseudonimo di Letizia Servo, pone in evidenza tutti gli aspetti più stantìi, convenzionali e tardo-deterministi del mestiere dell'attore. Siamo di fronte a un lavoro che appartiene indubbiamente a un altro ‘pianeta’, poiché pone sotto accusa tutti i dogmatismi culturali e le classiche coordinate ‘ideologiche’ che il teatro di serie ‘A’ impone ai propri artisti, sino a giungere allo schiacciamento definitivo della personalità individuale dell’attore. Alcune frasi messe ‘in bocca’ a Carmelo Bene sono le canoniche e ferree regole imposte nel mondo dell’arte in quanto metodo di comportamento professionale obbligatorio: “Se ti fermi anche soltanto per due anni, tutti pensano che sei morto”; “se intendi produrre spettacoli ricchi di contenuti reali e impegnativi, poi sarai costretto a farlo per altri 50 anni”; “se vuoi riuscire in questo mestiere devi essere orfano di mondo”; “ricordati che un’attrice ‘madre’ non la vuole nessuno”. La Schiavo fa dunque letteralmente a pezzi il mondo della produzione artistica e teatrale italiana, che si avvita da decenni intorno a luoghi comuni e canoni di giudizio utili solamente a restringere tutti gli spazi di affermazione artistica e di vivacità culturale che, potenzialmente, il nostro Paese potrebbe esprimere. Abbiamo già commentato, in passato, le complesse tematiche evidenziate da questo intelligente copione della Schiavo: siamo di fronte a un capolavoro spietato, duro, cattivo. Soprattutto, se si cerca di analizzarlo per il suo verso sociologico più profondo: quello di un’artista che, rispondendo a una lunga intervista, ripercorre la propria carriera. Il percorso non soltanto di un’attrice, ma anche di una donna. La Schiavo racconta come, per poter lavorare, si sia costretti a sottoporsi a soprusi, umiliazioni, durissimi sacrifici e costrizioni, mentre la donna che vive ‘dietro’ all’attrice stessa finisce col dissociarsi in un continuo confronto interiore, giungendo fin quasi ai confini della bipolarità. Il personaggio femminile che la Schiavo mette in scena con amara ironia, si sdoppia nel tentativo di analizzare sotto ogni punto di vista la cultura sessista e il ‘gallismo’ maschilista italiano, quella marea di bugie che vengono date in pasto alle donne per poterle utilizzare in quanto ‘pedine’, per non dover ammettere innanzi a loro di non possedere la sensibilità per riuscire a impostare rapporti di amicizia qualitativamente più elevati e sentimentalmente più autentici e sinceri con l’universo femminile. Accanto a questa critica, che diviene uno spettacolo all’interno dello spettacolo stesso, la Schiavo a un certo punto muove all’attacco di tutte le assurdità del mondo artistico italiano, alle innumerevoli etichettature discriminatorie, a tutti quei ‘recinti’ che in realtà servono solamente a delimitare il campo della produzione artistica e culturale, sulla base di concezioni ‘arcadiche’ tanto ristrette, quanto totalmente supposte. La Schiavo, a un certo punto, afferma espressamente: “Io sono un’attrice consapevole di come il diaframma non sia soltanto un metodo anticoncezionale”. E infatti, al di là dei contenuti di tale rappresentazione, non possiamo non sottolineare lo straordinario ‘timbro’ di questa attrice meravigliosa, la sua capacità di essere tante donne diverse, l’intensità recitativa e la profondità d’impostazione di una voce - e di un’anima - che è quella di un’autentica ‘gigantessa’ del panorama artistico e culturale capitolino. Un ambiente che ritrova, dopo il suo lungo decennio di ‘esilio’ personale in Svizzera, una magnifica attrice e una donna immensa.

Scritto e interpretato da Patrizia Schiavo
Con Silvia Grassi e Flavia Pinti 

Assistente Teresa Luchena

Suono Marco Franceschelli


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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