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26 Aprile 2024

Gli ebrei sono matti

di Vittorio Lussana
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Gli ebrei sono matti

Un matto ‘vero’ fascista e uno ‘falso’ ebreo - Enrico e Ferruccio - sono rinchiusi in un manicomio nei pressi di Torino. Ferruccio, in realtà, è stato aiutato a nascondersi nell’istituto per via delle leggi razziali e, nel tentativo di far credere a tutti di essere veramente pazzo, replica ‘a pappagallo’ i tic e i discorsi strampalati di Enrico, ingenuamente ‘folgorato’ dall’assolutismo autarchico ‘mussoliniano’, di cui ne replica ossessivamente slogan e parole d’ordine come un ‘disco rotto’. Il testo di questo lavoro è perciò un ‘canovaccio’, che entrambi gli attori in scena ‘addomesticano’, improvvisando una sorta di ‘linguaggio del folle’ con una buona dose di bravura. Ferruccio impara a comportarsi proprio come un vero malato di mente. E comprende a tal punto questo meccanismo di reiterazione ossessivo-compulsiva di frasi e concetti espressi di continuo dal proprio compagno di stanza, da riuscire a immettere nella mente di quest’ultimo la sua storia personale, segnandone così la tragica sorte. Ferruccio, insomma, alla fine si salva perché il suo ‘segreto’, cioè quello di essere un ebreo sano di mente, diviene parte del vissuto raccontato dall’altro. Tratta da una vicenda realmente accaduta, la piéce è indubbiamente di buona fattura, ricca di momenti tragicomici e divertenti, i quali tuttavia finiscono col ‘depistare’ il pubblico, anziché cercare di insinuare in esso il sospetto che i matti ‘veri’ non fossero questi due poveri ‘disgraziati’, bensì tutto il resto del nostro Paese, il quale si lasciò trascinare in larghissima maggioranza verso l’abisso della guerra e il baratro della sconfitta più ignominiosa e indecente. La tematica delle leggi razziali, che giustamente sottende per intero questo lavoro, poteva tuttavia esser posta ancor più in evidenza attraverso una visione meno affascinata dai ‘nonsense’ e dall’involontaria comicità dei personaggi. E forte rimane l’impressione che si sia preferito optare per una rappresentazione ‘statica’, strettamente ‘fotografica’ della vicenda, anziché aprirsi in direzione di un’analisi, anche ‘colorita’ e pittoresca, del contesto storico-politico che ha determinato l’incontro tra i due personaggi all’interno di un nosocomio. L’interpretazione di Dario Aggioli e Guglielmo Favilla è di buon livello: non è questo il ‘versante’ che intendiamo mettere in discussione. Siamo invece rimasti un poco perplessi dalla decisione di mettere in scena un ‘brogliaccio’ il quale, oltre a non rendere appieno la ‘chiave di volta’ della vicenda, che non sempre riesce ad ‘arrivare’ al pubblico, alla fin fine sfiora solamente la questione più ‘scottante’, abbandonandola sullo sfondo, al fine di privilegiare gli aspetti più buffi e grotteschi. Ci rendiamo conto di essere di fronte a un ‘crinale’ niente affatto semplice da rappresentare in teatro, soprattutto in una riduzione da 50 minuti. Tuttavia, pur divertendo e coinvolgendo, paradossalmente si rischia di favorire la facile rimozione della questione razziale stessa e quella dell’assurda politica estera del fascismo, nel suo ‘goffo’ tentativo di ‘mascherare’ sotto un ‘mantello’ di potenza militare un Paese arretrato e contadino. Era questo il vero ‘snodo’ che avrebbe potuto trasformare un lavoro di siffatta 'stoffa qualitativa' in una vera e propria ‘chicca’, fornendo una serie di elementi ‘dirompenti’, attualizzati da richiami mirati e precisi contro il populismo qualunquista dell’oggi. Per farla breve, a un certo punto ci si dimentica troppo facilmente di trovarsi di fronte a una questione palesemente assurda - le leggi razziali - e ci si diverte con i tic e le ‘scalmanerìe’ dei due ‘matti’ in palcoscenico. Un’occasione ‘mancata’, insomma, che avrebbe potuto chiarire e denunziare come buona parte del popolo italiano, ancora all’alba del 2015, non possa considerarsi totalmente ‘vaccinato’ dai ‘virus’ dell’assolutismo ideologico, della perenne ricerca di ‘capri espiatori’ o nemici ‘esterni’, dell’esclusione discriminatoria del diverso. Il migliore tra gli spettacoli andati in scena in questa prima settimana del Roma Fringe Festival 2015.

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Gli ebrei sono matti
Palco C - 31 maggio h. 22,00 - 2 giugno h. 20,30 - 4 giugno h. 23,30

Durante il ventennio fascista, Enrico viene ricoverato in un manicomio vicino Torino, lontano dai suoi cari, dalla sua città e dai discorsi del Duce, da lui tanto amati. Ferruccio ebreo livornese, laureato a Roma, costretto a fuggire, viene nascosto nel manicomio vicino al confine sotto falso nome: Angelo. Il professore che dirige la casa di cura per insegnargli a comportarsi come un malato di mente, lo mette in stanza con Enrico, uno dei più innocui tra i degenti. Ferruccio per imparare a essere un altro, si confronta con Enrico che non riesce a essere più se stesso da tempo. Un matto vero fascista e un matto falso ebreo raccontano la tragedia delle leggi razziali. Tratto da un fatto realmente accaduto.

Ideato e diretto da Dario Aggioli - Interpreti: Dario Aggioli, Guglielmo Favilla - Costumi e scene Arianna Pioppi, Medea Labate - Maschere realizzate in gioventù da Julie Taymor - Compagnia Teatro forsennato
GENERE: western bosniaco


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale