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25 Aprile 2024

Il cielo è 'cosa nostra'

di Silvia Mattina
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Il cielo è 'cosa nostra'

Una gigantesca 'cabina di regia' diretta dall'ex senatore Giulio Andreotti, pochi eletti nel ruolo di burattinai che dal cielo comandano e dirigono le sorti della Terra e della povera gente, assuefatta alla violenza e incapace di guardare oltre. Trascinante ironia e nonsense conducono lo spettatore direttamente nel cuore riflessivo della questione “camminare e non sapere dove andare: questa è la punizione”, attraverso il cinismo mai eccessivo dei tre personaggi principali, Osso, Mastrosso e Carcagnozzo, resi popolari da un libro scritto da Enzo Ciconte e Francesco Forgione e raccontati da Roberto Saviano nella trasmissione ‘Vieni via con me’. Non si tratta di tre personaggi in cerca d’autore di ‘pirandelliana memoria’: i cavalieri erranti partirono dalla Spagna nel XV secolo per sbarcare in Italia, dove fondarono la mafia, la 'ndrangheta e la camorra. Il vestito bianco e le scarpe, o pantofole, nere donano solo l'illusione al pubblico di trovarsi davanti ai grandi paladini dalla purezza di intenti. E anche la richiesta di un giovane figlio di un boss di intercedere per impedire l'ennesimo attentato di matrice ‘jihadista’, non è un atto di incondizionata generosità, ma una presa di posizione a difesa del potere acquisito, dopo aver disseminato per decenni terrore e stragi in tutta la penisola. Una guerra tra ricchi, in cui a farne le spese sono le povere vittime innocenti, ignare dei ‘capricci’ dei potenti. Il salvataggio di Roma dall'attentato terroristico di Bin Laden si dipana attraverso una narrazione ‘scanzonata’, all'insegna di una leggerezza solo apparente e velatamente ingenua, ma funzionale nel rivelare al pubblico il paradosso di una violenza senza fine. Si scava nel profondo dell'animo tra risate, battute e continui rimandi alle diverse modalità di omicidi o a personaggi purtroppo noti nel campo della malavita, presentati quali semplici marionette guidati dai ‘poteri occulti’ della politica, che tutto sa e tutto decide. Il paradosso degli schemi è portato all'esasperazione in alcuni punti, in cui l'allusione a film o personaggi famosi, provenienti dal mondo del cinema, richiamano a una finzione ancor più ‘spiazzante’, come nel caso di un improbabile don Vito Corleone impegnato a recitare in romagnolo davanti a un Federico Fellini che invoca Marcello Mastroianni, o alla tortura dello sceicco del terrore sotto le note di ‘Stuck in the middle’ degli Stealer's wheel (Tarantino docet...). La narrazione, infine, sembra arrestarsi di colpo con il monologo di un Andreotti ‘sorrentiniano’, interpretato da Riccardo Marotta, un attore istrionico che dimostra anche quest'anno (lo scorso anno aveva partecipato al Roma Fringe Festival con ‘La prova del topo’) la sua spiccata vena comica ed empatica con il pubblico. Uno spettacolo scorrevole e solo apparentemente ‘disimpegnato’, che pecca di una drammaturgia in alcuni punti poco efficace, nella forzata ricerca della risata ‘facile’.

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