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28 Marzo 2024

Shakespeare kills the radio stars

di Michela Zanarella
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Shakespeare kills the radio stars

Una 'performance' decisamente particolare, difficile da ‘inquadrare’, per Alessandro Balestrieri, che porta sul palco del Roma Fringe Festival 2016 le parole di William Shakespeare in forma di concerto. Anzi, una sorta di ‘non-concerto’, nel senso che non è molto definibile ciò che viene rappresentato. Il titolo ci riporta al brano del geniale musicista e produttore musicale britannico Trevor Horn: ‘Video killed the radio star’. E allora bisogna proprio partire dal significato stesso della canzone, che parla della stella della radio che perde ‘smalto’ e popolarità in seguito alla nuova era della ‘musica da vedere’. Ciò si ricollega, forse e in parte, anche al mondo del teatro. Balestrieri proietta ai giorni nostri l’opera di Shakespeare in una chiave insolita, ma lo fa ripercorrendo con minuziosa attenzione i testi, scegliendo una sua personalissima interpretazione. L’attore si presenta in scena come una ‘rockstar’, indossando una maschera d’asino e, per quanto questo possa disorientare lo spettatore, alla fine ci si rende conto che a ogni mossa è legato un significato e che esiste un chiaro riferimento al ‘Sogno di una notte di mezza estate’, dove mito, fiaba e quotidianità s’intersecano senza una continuità effettiva. L’asino che raglia e che con voce stridula pronuncia la frase “ho fatto un sogno che nessun cervello umano riuscirebbe a spiegare” è una precisa indicazione per immergersi nella profondità di espressione dell’opera. Infatti, è posto in relazione al momento in cui il ‘folletto Puck’, per prendersi gioco di alcuni attori improvvisati, tramuta la testa di uno di loro, Bottom, in quella di un asino. In una frammentazione scenica, si sviluppa un intreccio che non è altro che un alternarsi tra ragione e istinto, tra bello e ‘bestiale’. Un vortice di proiezioni e parallelismi tra mente e cuore, dove il tema centrale è l’amore in tutte le sue sfumature. Quando Balestrieri si toglie la maschera e inizia un intenso lavoro di movimenti sul corpo, per mezzo di uno specchio che va a riflettere l’interiorità, si sovrappongono atmosfere d’inquietudine che precedono la veglia e si entra nel complesso mondo della ‘psiche umana’. L’invocazione di fantasmi crea un nuovo ritmo, una diversa fase interpretativa: “Venite, spiriti arbitri dei pensieri di morte: dissuadetemi”, catapultandoci nel ‘Macbeth’. E’ un continuo ondeggiare del corpo, mentre i pensieri e le passioni si susseguono in un vortice, mettendo in relazione la vita reale con quella ideale. Il tempo è un altro ‘elemento-cardine’ dello spettacolo, misurato meccanicamente: si sentono le lancette a scandire le ore. Ma l’unico tempo riconoscibile è quello della morte, che diventa tempo di vita quando si ama, raggiungendo la sua massima espressione. Sono sensualità e debolezza a susseguirsi fino alla fine e, come in un gioco divertente e crudele, fatto di immagini e di suoni da assorbire, tutto diventa un ‘folle ibrido’, che in alcuni passaggi lascia senza direzione. Uno spettacolo che fa emergere i mutamenti della vita, nella verità più assoluta. I sentimenti umani pulsano tra le note, parola dopo parola. E la ripetizione ossessiva di un’inquietudine che preme non fa altro che dare altro ritmo, in cui “la sofferenza è sempre guadagno per qualcuno”. Balestrieri sicuramente ha operato un notevole lavoro sui testi di Shakespeare, ma alcune scelte di movimento sul palco forse non danno il modo di apprezzare appieno l’intenzione recitativa. A volte ci si trova smarriti a cercare una ‘linea illuminante’. E ciò non aiuta lo spettatore. Inconsueto.

 

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