Il mensile di informazione e approfondimento che
intende riunire culturalmente il nostro Paese nel pieno rispetto di tutte le sue tradizioni, vocazioni e ispirazioni ideologiche e politiche.
diretto da Vittorio Lussana
Area Riservata
26 Aprile 2024

Il valore educativo della cultura

di Serena Di Giovanni
Condividi
Il valore educativo della cultura

Fino al 15 marzo 2015 la Gipsoteca del Complesso del Vittoriano a Roma ospita la mostra, a ingresso libero, 'La liberazione dei campi nazisti', promossa dalla Fondazione Museo della Shoah e curata da Marcello Pezzetti, direttore scientifico, con il coordinamento generale di Alessandro Nicosia

Presentata al pubblico il 27 gennaio scorso in occasione della giornata mondiale della Memoria della Shoah e del 70° anniversario della liberazione del Complesso di Auschwitz-Birkenau, l’esposizione ricostruisce in maniera scientifica, attraverso documenti anche inediti, testimonianze audiovisive, disegni, mappe e fotografie, le specificità, gli antefatti e i risvolti delle liberazioni dei luoghi di concentramento e sterminio istituiti dai nazisti in tutta l’Europa occupata. E lo fa, in particolar modo, focalizzando lo sguardo non solo sui campi che hanno visto la presenza di deportati ebrei italiani, ma anche sulle vicende relative alla deportazione ‘politica’ voluta dal sistema di oppressione nazifascista.
Estremamente eterogenee, molte delle testimonianze proposte (manufatti, giornali, fotografie d’epoca, documenti, filmati, testi) approdano per la prima volta a Roma da istituzioni pubbliche e da musei, fondazioni e archivi nazionali ed internazionali, tra i quali, solo per citarne alcuni, l’Archivio Centrale della Croce Rossa italiana, l’Archivio centrale dello Stato e l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri a Roma; il Centro Internazionale di Studi Primo Levi di Torino, il Bundesarchiv di Berlino, il National Archives a Kew (Londra) e il National Archives di Washington. Tale rigore scientifico fa in modo che il pathos necessariamente correlato all’efferatezza delle immagini disseminate lungo il percorso espositivo non interferisca mai con la ricostruzione puntuale dei fatti storici, rendendo l’esposizione particolarmente valida dal punto di vista didattico ed educativo. Vediamo come e perché.

IL CONTESTO STORICO
Come il Direttore scientifico del Museo della Shoah e curatore dell’esposizione, Marcello Pezzetti, ha tenuto a evidenziare, la mostra dà ampio conto dell’ultimo anno di vita dei Lager nazisti, che può essere suddiviso in tre fasi: la prima va da marzo a novembre del 1944; la seconda, da dicembre del 1944 a marzo del 1945 e la fase finale, conclusasi con la fine della guerra, agli inizi del maggio del 1945. La prima fase è caratterizzata da due fattori contrastanti. Da un lato vengono alla luce i primi evidenti segni della prossima sconfitta della Germania nazista: fin dagli inizi dell’estate 1944, infatti, l’avanzamento dell’Armata Rossa costringe le autorità tedesche a ordinare la chiusura dei campi ubicati a Est, dai paesi baltici alla parte più orientale del Governatorato Generale  (Majdanek), così come alcuni Lager situati a ovest. Dall’altro lato, questo momento vede la massima espansione dell’universo concentrazionario, con l’istituzione di decine di nuovi sottocampi in tutto il Reich (nei quali si inserisce il numero più alto possibile di persone – soprattutto non ebrei – da sfruttare nell’industria degli armamenti), e il contemporaneo raggiungimento della massima capacità di sterminio degli ebrei nel campo di Birkenau (sito nelle vicinanze di Auschwitz, in Polonia), un’ operazione che viene sospesa definitivamente a novembre, ultimo mese di questo periodo. A causa dei sempre più frequenti attacchi aerei, l’inizio della seconda fase vede la ‘grande migrazione’ di prigionieri e guardie verso occidente e, parallelamente, il crollo della produzione degli armamenti e del sistema delle infrastrutture, fattore che porta a conseguenze mortali per tutti i prigionieri. L’arrivo dei trasporti di evacuazione aggrava la situazione: a Stutthof, Ravensbrück, Mauthausen, Sachsenhausen e Buchenwald le uccisioni mirate dei prigionieri ‘inabili’ e malati diventano sistematiche. I nazisti incominciano a usare criteri di selezione legati alla produttività dei prigionieri, quindi si distanziano dai canoni di Auschwitz-Birkenau, prevalentemente ‘razziali’. Per contrastare il collasso del sistema, a ridosso di alcuni campi delle ‘Sterbezonen’, le SS creano delle vere e proprie ‘zone di morte’, dove i prigionieri vengono abbandonati alla loro agonia. Con l’avvicinarsi degli Alleati procedono, inoltre, anche all’eliminazione di persone considerate particolarmente ‘pericolose’, sospettate soprattutto di attività di resistenza. In sporadici casi, tuttavia, Himmler - dal 1943 ministro dell'Interno del Reich - cerca di utilizzare detenuti ebrei come ‘merce di scambio’, ovvero come ostaggi nelle trattative con gli Alleati occidentali. Nell’ultima fase si assiste al crollo definitivo del Terzo Reich. I dirigenti SS cercano di riorganizzare la rete dei sottocampi, nell’ultimo tentativo di coordinare l’impiego lavorativo. I loro sottoposti, invece, reagiscono con tutta la loro potenzialità omicida ai cambiamenti destabilizzanti che si trovano ad affrontare. Occorre sottolineare il fatto che la maggior parte delle guardie è trasformata in unità di combattimento e inviata al fronte e che molte SS vengono sostituite da uomini della Wehrmacht, della Polizia, dei vigili del fuoco, del Volkssturm, dai ragazzi della Hitlerjugend, dai funzionari di partito, dalle SA (abbreviazione di Sturmabteilung, letteralmente ‘battaglione d'assalto’, primo gruppo paramilitare del Partito Nazista, conosciuto anche con il nome di ‘camicie brune’ a causa del colore della loro divisa). Che sorvegliano i prigionieri e, sovente, anche con la partecipazione della popolazione civile, massacrano i più ‘deboli’, i più ‘pericolosi’ e i fuggitivi.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

I campi di concentramento, le liberazioni, le marce della morte e il 'dopo liberazione'
Il percorso espositivo, che abbraccia un arco temporale molto ampio, di circa un anno, compreso fra il luglio 1944 e il maggio 1945, è articolato in 4 sezioni. La prima, a carattere introduttivo, traccia una breve storia dell’universo concentrazionario. La seconda, invece, racconta le liberazioni dai campi dell’Est, in particolare da Majdanek, zona situata a circa quattro chilometri ad est dal centro civico di Lublino (Polonia). Tale sezione illustra altresì i trasferimenti e le marce da Auschwitz verso gli altri campi e la liberazione della stessa Auschwitz in Polonia. La terza sezione riguarda invece le liberazioni dei campi nel Reich, dando ampio spazio alle ‘marce della morte’ (i movimenti coatti di decine di migliaia di prigionieri da un campo all’altro) e al ‘dopo liberazione’.

Post liberazione e ‘refeeding syndrome’
Nella sezione relativa al ‘post liberazione’ è riportato un interessante studio sulla morte dei prigionieri a seguito dell’assunzione di cibo e bevande fornite loro dalle truppe alleate con l’intento di rimediare allo stato di estrema denutrizione. La patologia è conosciuta con il nome di refeeding syndrome, ovvero sindrome da ri-alimentazione, ed è caratterizzata da gravi disturbi neuromuscolari, cardiaci ed ematologici, molti dei quali conducono alla morte. Sebbene tale malattia fosse già nota da tempo, l’interpretazione scientificamente corretta della refeeding syndrome ha avuto sviluppo solo dopo la seconda guerra mondiale, in relazione a un importante studio sui sopravvissuti dei campi di prigionia giapponesi.

La liberaziione dei campi in Italia 
Una sezione a parte della mostra è riservata alla liberazione dei campi in Italia e agli eventi del 25 aprile di cui quest’anno pure ricorre il 70° anniversario. Si affronta, nella fattispecie, la vicenda dei 23.826 deportati politici italiani, spesso collegata all’assoggettamento dei campi di concentramento nazisti alle esigenze di produzione bellica del Terzo Reich. Vengono individuate diverse categorie di deportati: i KL (da Konzentrationslager, ‘campo di concentramento’, che designa i veri e propri oppositori al Nazismo e al Fascismo), i lavoratori inviati nei campi per punizione anche per periodi brevi, i BV (delinquenti abituali che potevano provenire anche dalle carceri italiane) e gli IMI (Internati militari italiani). Come avviene per le altre sezioni, anche in questo caso la ricostruzione si affida a dati numerici precisi. Che fanno emergere come vivere a Mauthausen, dove la mortalità nel 1944-45 arrivava in media al 55%, non equivalesse a vivere a Dachau, dove essa toccava al massimo il 17 %; e come ai BV toccasse una sorte particolarmente dura. Questi, infatti, morivano nella misura dell’82%. Secondo l’indagine, inoltre, i deportati politici italiani liberati erano 5.002 (dato, tuttavia, soggetto ad ulteriori precisazioni), con un’alta incidenza di meridionali.

Gli IMI
Una delle vicende ancora poco conosciute della deportazione del terzo Reich è proprio quella degli IMI, ovvero gli oltre seicentomila militari italiani, che, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, vengono catturati e disarmati dai soldati tedeschi nei diversi luoghi in cui si trovavano a operare. Rifiutatisi di aderire alla Repubblica sociale italiana, gli IMI vivono una condizione durissima che li pone, secondo le direttive dello stesso Hitler, in uno status intermedio tra i prigionieri di guerra e i perseguitati politici.

Il filmato della liberazione di Bergen-Belsen
Sempre in questa sezione è presente anche il filmato della liberazione di Bergen-Belsen, del quale viene spiegato il percorso produttivo. Arrivati a questo campo, i membri della Army Film and Photographic Unit (AFPU) dell’esercito britannico girano 33 bobine di materiale filmico e scattano più di 200 fotografie, registrando così gli sforzi dell’esercito britannico di stabilizzare le condizioni igienico-sanitarie del campo, salvare le persone rimaste in vita e facilitare il recupero dei sopravvissuti. Tali filmati vengono poi utilizzati a fini processuali durante il processo di Belsen (settembre-novembre 1945) e quello di Norimberga (novembre 1945). In seguito, le bobine vengono utilizzate per realizzare un più ampio documentario prodotto dal regista britannico Sidney Bernstein, con la collaborazione di Alfred Hitchcock, per dare forma compiuta a quanto attestato dagli operatori militari inglesi, americani e sovietici in undici diversi campi di concentramento tra cui, ovviamente, Bergen-Belsen, Buchenwald, Dachau, Ebensee, Mauthausen e Majdanek. Intitolato German Concentration Camps Factual Survey (Indagine fattuale sui campi di concentramento tedeschi), il documentario supervisionato da Hitchcock, mai ultimato per una serie di ragioni anche politiche, viene smembrato: una bobina finisce a Mosca, mentre le altre cinque rimangono sepolte per decenni negli archivi dell’Imperial War Museum di Londra. Fino al 1985, quando la casa di distribuzione Frontline acquisisce i diritti del pre-montato di Londra per produrre un documentario (Memory of the Camps) con l’aggiunta di una voce fuori campo già prevista nel vecchio progetto, trasmesso per la prima volta nel 1985 e distribuito in dvd dal 2005. Nel 2014 l’ Imperial War Museum restaura tutto il pre-montato aggiungendo la sesta bobina, la cui distribuzione è prevista per il 2015. Le tre bobine presenti in mostra, nella versione originale del 1945, sono state messe a disposizione proprio dal museo londinese.

I DP-CAMPS, l'assistenza, il rimpatrio, le ricerche
La quarta sezione illustra il fenomeno dei DP-Camps (displaced persons camp) in Germania, ovvero delle strutture temporanee per gli sfollati. Contestualmente, essa ricostruisce storicamente il momento del rimpatrio e l’assistenza in Italia, le ricerche dei deportati e le relative pubblicazioni. Alla fine della guerra, infatti, milioni di persone deportate da tutta Europa si trovano nel territorio liberato di Germania e Austria. Si tratta di ex lavoratori forzati, ex deportati liberati nei campi, ex prigionieri di guerra (tra cui gli IMI) e i lavoratori civili che si erano trasferiti volontariamente nel Reich. Nelle zone controllate dagli americani, francesi e inglesi questi rifugiati  ottengono lo status di ‘displaced persons’  e rimangono in attesa di essere rimpatriati o di poter emigrare in paesi come la Palestina e gli Stati Uniti. Così, per gestire l’elevato numero di persone disperse, in Germania, in Austria e anche in Italia vengono allestiti dei DP-Camps (displaced persons camp). Anche per molti prigionieri italiani il ritorno in patria non è sempre immediato e il reinserimento nella società e nella vita è reso difficile dalle malattie contratte durante gli anni di prigionia, dai traumi subìti, dalla mancanza di un lavoro e di una sicura base economica. Avere notizie certe sulla sorte di parenti e amici diventa fondamentale, pertanto si avviano numerose ricerche, coordinate dall’International Tracing Center della Croce Rossa Internazionale con sede a Bad Arolsen (Germania). In Italia già nel 1944 è costituito il ‘Comitato Ricerche Deportati Ebrei’, cui vanno ad affiancarsi le altre organizzazioni ebraiche, il Vaticano, il Ministero degli Esteri e la stampa, che svolge un ruolo fondamentale nel reperimento di notizie.

Le biografie
Nel contesto generale raccontato dai documenti storici si collocano, inoltre, le singole storie di personaggi di particolare rilievo: sono le biografie di circa 20 deportati liberati; uomini, donne e bambini; anziani, giovani, italiani, rifugiati, religiosi e politici, selezionati in base alle diverse modalità di persecuzione, ai luoghi di arresto, di destinazione e liberazione.
La vicenda biografica di Primo Levi
Fra le varie biografie ricostruite per l’esposizione, particolarmente interessante risulta quella di Primo Levi (1919-1987), scrittore, partigiano, poeta e chimico italiano, autore di diverse memorie, poesie e romanzi, tra i quali ‘Se questo è un uomo’, che racconta le sue esperienze nel campo di sterminio nazista, e del quale in mostra, tra fotografie inedite e testi manoscritti dallo stesso Levi, ne è presentata la prima edizione del 1947 edita da ‘Francesco De Silva’, e inizialmente rifiutata da Einaudi e da altre case editrici.
Nella parte finale della mostra, inoltre, una carrellata di testimonianze, ricostruite dai ricercatori, fa luce sul senso di ‘smarrimento’ e di ribaltamento di prospettiva proprio delle diverse ‘liberazioni’, eventi essenzialmente positivi che vennero però percepiti dagli stessi ‘liberati’ in modo pessimistico e drammatico.

DOVE, COME E QUANDO

“La liberazione dei campi nazisti”

Complesso del Vittoriano - Gipsoteca
Piazza dell'Ara Coeli
Dal 28-01-2015 al 15-03-2015
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Orari: dal lunedì al giovedì 9.30 – 18.30; venerdì, sabato e domenica 9.30 – 19.30
Ultimo ingresso: 45 minuti prima dell'orario di chiusura
Per  maggiori informazioni: tel. 06/6780664 - http://www.comunicareorganizzando.it


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale