Come ricamavano gli antichi popoli italici? Dal 13 al 18 giugno 2016 lo mostrerà un’esposizione temporanea nell’ex carcere maschile del San Michele, a Roma: rari frammenti di stoffe riccamente decorate, appartenenti al corredo di un nobile guerriero daunio
Qualche anno fa, sono state rinvenute a Ordona, in provincia di Foggia, dei particolari frammenti di stoffe riccamente decorate, appartenenti al corredo di un nobile guerriero daunio, vale a dire un antico abitante della Daunia, sub regione geografico-culturale della Puglia settentrionale che corrisponde, per l’appunto, all’attuale provincia di Foggia. Una popolazione dalle radici etnicamente variegate, che comprendeva lapigi, cretesi e illiri, provenienti quindi dalla penisola balcanica e dall’antica civiltà minoica, i quali, verosimilmente, da un certo momento in poi convissero con le popolazioni locali. Proprio per questo motivo, la Daunia subì gli influssi della cultura greca, che si andò mescolando con quella autoctona della regione. A dimostrarlo, oltre alle fonti storiche, i ricami appartenenti alla cosiddetta ‘tomba 382’, rinvenuta e studiata a partire dal 2012 dalla Soprintendenza archeologica della Puglia insieme con un’analoga tomba a fossa, nella necropoli in contrada Cavallerizza, più precisamente nell’area dell’abitato daunio a nord est della città romana di Herdonia, contigua al moderno abitato di Ordona.
I frammenti di stoffa appartengono al corredo di un uomo di circa 30-35 anni, con ogni probabilità un personaggio di alto rango dei primi decenni del IV secolo a. C.: l’epoca in cui, secondo le fonti storiche, iniziò l’ellenizzazione della regione, incentivata dal sovrano Alessandro I d'Epiro, detto il Molosso, re dell'Epiro e zio materno di Alessandro Magno. A causa di uno scavo clandestino da parte dei ‘tombaroli’, che ha letteralmente depauperato la tomba delle sue ricchezze, l’apparato funerario si è solo in parte conservato; dalla depredazione si sono però salvati alcuni oggetti del corredo, in particolare una serie di armi offensive e difensive (in gergo tecnico, ‘panoplia’): una spada di ferro a lama retta con guardamani a crociera ed elsa rivestita da placchette di avorio. La sepoltura conservava anche sette cinturoni distesi e avvolti in un tessuto, di cui rimangono ben 70 frammenti. Che cos’era questo drappo? E a cosa serviva? Sontuosamente decorato con motivi a intrecci geometrici e floreali, di gusto tipicamente ellenistico, esso era forse un mantello, e lì, dove si trovava, aveva lo scopo, tutto simbolico e commemorativo, di enfatizzare la funzione dei cinturoni come ‘insegne di rango’. Del tessuto, si è accennato, rimangono settanta frammenti, ovviamente molto fragili, che si prestano a pochissimi confronti: per questo, nonostante gli sforzi dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro (Iscr) – che si è occupato, di concerto con la Soprintendenza archeologia della Puglia, di restaurarli e presentarli al pubblico – non è stato ancora possibile definire con certezza la tecnica di realizzazione degli ornamenti in lino che ricoprono parte del tessuto di lana, color marrone.
L’intervento conservativo, avvenuto nei laboratori del noto istituto romano, ha chiarito però la natura dei materiali e le diverse tipologie dei motivi decorativi presenti sul drappo: è stato possibile comprendere, per esempio, alcuni aspetti ‘tecnici’ prima sconosciuti, come l’impiego di numerosi punti, molti dei quali di uso comune nel cucito e nel ricamo, per la sua realizzazione, e l’utilizzo di eterogenei motivi decorativi per l’ornamentazione dei frammenti, caratterizzati da un andamento geometrico, continuo e ripetitivo, come nel caso delle diverse varianti del tipico ‘motivo a meandro’ (detto anche ‘a greca’, una sorta di decorazione ‘labirintica’ in forma lineare). Quel che, inoltre, emerge dal restauro sono le tecniche esecutive, entrambe attestate all’epoca in cui i decori vennero concepiti: il ricamo ad ago e la tecnica dei ‘fili liberi’. Se nel primo caso, la trama della decorazione è ottenuta passando, con l’utilizzo di un ago, un filo attraverso un tessuto precedentemente realizzato seguendo il disegno stabilito, nel secondo caso il motivo decorativo è ottenuto nel corso della tessitura con i ‘fili liberi’, ovvero con una trama supplementare aggiunta all’ordito di base. E da qui, l’interessante dilemma: siamo semplicemente di fronte a un ricamo di grande raffinatezza, o a una tessitura tecnicamente ‘innovativa’?
Sebbene il restauro, per il momento, non sia riuscito a dirimere la questione, appare chiaro che siamo di fronte a una vera rarità che, seppur per un breve periodo, sarà possibile osservare da vicino. Dal 13 al 18 giugno, infatti, i tessuti, prima di trovare una definitiva collocazione (probabilmente in ‘patria’), verranno esposti al pubblico a Roma, nei locali adiacenti all’Iscr, all’interno di particolari climabox, ovvero delle teche sigillate e appositamente costruite per controllare l’umidità e garantirne, in questo modo, una conservazione ottimale. I frammenti, peraltro, saranno corredati da pannelli esplicativi progettati per illustrare a tutti la scoperta e il successivo restauro del tessuto. Per l’intera settimana dell’apertura straordinaria sarà inoltre previsto un incontro pomeridiano con i restauratori che hanno eseguito il delicato intervento conservativo: a loro, i più curiosi potranno sottoporre delle domande, per esempio sulla straordinaria tecnica utilizzata dall’autore che, con grande destrezza, seppe creare i preziosi ‘ricami del guerriero’.
I ricami del guerriero
Dal 13 giugno al 18 giugno
Dalle 10,00 alle 18,00
Ore 16,30 visita guidata dei restauratori di circa 30 minuti
Sala Conferenze ISCR presso l’ex Carcere Maschile del San Michele
via di San Michele, 25 – 00153 Roma
Ingresso gratuito