Intervista all’archeologa nonché socia fondatrice dell'associazione ‘Ad duas lauros’, di cui è coordinatrice della ricerca su archeologia e sostenibilità ambientale, che ha dato vita all’Ecomuseo Casilino di recente riconosciuto dalla Regione Lazio
Nel territorio di Roma, appena prima del centro, si trovano quartieri un tempo popolari per riferimento al ceto degli abitanti, oggi altrettanto popolari, poiché ritrovo della ‘movida’ capitolina o per essere fucine di arte e di artisti. La zona, compresa tra via Casilina vecchia e il Mausoleo di Sant'Elena, comprende i quartieri Prenestino-Labicano, Pigneto e Tor Pignattara, in cui si svolge un’intensa vita culturale capitolina. L'idea di valorizzare questo territorio, non solo dal punto di vista archeologico, ma porgendo anche attenzione alle tradizioni, alle varie etnie che lo abitano e a tutte le iniziative che vi si tengono, ha dato vita all'Ecomuseo Casilino ‘Ad duas lauros’. Il progetto è nato dalla comunità di intenti di un gruppo di cittadini, i quali hanno messo a disposizione le loro competenze riuscendo, in 10 anni, a farlo nascere e riconoscere dalla Regione Lazio. Abbiamo perciò raggiunto la dottoressa Stefania Favorito, archeologa ed esperta di sensibilità ambientale, la quale ci ha spiegato la genesi e i progetti futuri dell'Ecomuseo.
Stefania Favorito, cos'è l'Ecomuseo Casilino?
“L’Ecomuseo Casilino è la voce di un territorio, quello del comprensorio Prenestino-Labicano di Roma. Questa realtà segue, in buona parte, le vocazioni degli Ecomusei, differenziandosene però attraverso molte nuove declinazioni. Non a tutti è nota la storia degli Ecomusei, che vengono spesso associati a musei di tipo ecologico. E’ doveroso, invece, specificare che hanno caratteristiche peculiari diverse, che vale la pena di approfondire. Le prime esperienze di tipo ‘ecomuseale’ furono create, in Francia, negli anni ’70 del secolo scorso con la profonda volontà di descrivere, narrare e far sopravvivere l’identità di un territorio e, soprattutto, delle sue più antiche radici fondanti. Fu ancora un francese, Hugues de Varine, nel 1971, a coniare il neologismo ‘Ecomuseo’, laddove il termine museo o museo diffuso non poteva comprendere quelle parti antropologiche, naturalistiche e di narrazione che, invece, l’Ecomuseo comprende. Tuttavia, l’Ecomuseo Casilino è praticamente un ‘unicum’, avendo come area di riferimento una metropoli, Roma, niente affatto semplice da comprendere sociologicamente e sempre in trasformazione”.
Come nasce l'Ecomuseo Casilino?
“La nascita dell’Ecomuseo Casilino è stata molto semplice, o per meglio dire, è stata naturale: è infatti accaduto che persone portatrici della stessa volontà di resistenza nel far comprendere e valorizzare il territorio, nonché dotate di una particolare capacità di lettura della realtà locale, si sono incontrate sviluppando un progetto, dapprima con la fondazione di una piccola associazione e, in seguito, iniziando un vero e proprio percorso civico e comunitario. Tutto è iniziato per difendere un territorio messo sotto attacco dalla cementificazione. Se non avessimo attuato una strategia vincente, probabilmente saremmo rimasti solo un gruppo di persone interessate alla tutela del territorio mentre, con l'aiuto degli antropologi Vincenzo Padiglione e Alessandra Broccolini, ci siamo forniti di strumenti e progettualità. Dopo circa un decennio di faticoso lavoro, siamo ora orgogliosi di essere stati inseriti nell’Organizzazione museale regionale del Lazio. La cosa sorprendente è che le caratteristiche delle persone che componevano quest’associazione avevano già in partenza tutte competenze diverse, che spaziavano dall’antropologia all’urbanistica, alla storia più recente, alle grandi esperienze in campo tecnologico; a questo, nel tempo, si sono aggiunte una serie di nuove linee, come per esempio la ‘street art’, che sta conoscendo un successo veramente inaspettato quanto a partecipazione cittadina”.
Quali iniziative sono attualmente attive nell'Ecomuseo Casilino?
“Il territorio in cui l’Ecomuseo ha fatto i suoi primi passi è l’area di Torpignattara, nel V Municipio della città di Roma: un’area che vedeva cadere sempre più in basso le migliorie sociali; il luogo di una grandissima migrazione bengalese e pakistana che si inseriva in un contesto già denso di criticità storiche, sociali e urbanistiche. Nella densificazione sempre più caotica di costruzioni, frutto anche di speculazioni edilizie e nella frenesia di un cosmopolitismo incontrollato, si erano perse praticamente tutte le bellezze che, al contrario, quel territorio caparbiamente detiene: rimanevano senza essere guardate e comprese larghe fette di agro romano, con i suoi casali e le sue vedute uniche sui monumenti antichi; prestigiosi siti archeologici; luoghi di vita vissuta nelle due guerre mondiali; ricordi e narrazioni di una Roma che sta scomparendo, con la fine della generazione più anziana. Proprio come la famosa ‘margherita’ che spacca l’asfalto per sbocciare, abbiamo avuto la forza di non scoraggiarci anche quando in pochi ci davano ascolto”.
Qual è la sua funzione culturale più specifica?
“L’Ecomuseo Casilino, in un periodo oscuro come quello che stiamo attraversando, ha una potenza inimmaginabile, perché non porta lontano il visitatore in termini di chilometri, ma lo fa viaggiare lontanissimo con la narrazione e l’elaborazione di quello che si ha a un passo da casa. Le azioni prodotte sono ormai centinaia. Se aggiungiamo quelle fatte in collaborazione con altre associazioni locali, italiane e straniere, esse sono migliaia e spaziano dalle visite guidate ai laboratori di identificazione dei luoghi identitari di comunità; dai laboratori con le scuole alle partecipazioni alle feste religiose di diverse confessioni; dall’archivio dei racconti di partigiani alle ‘pietre di inciampo’, dove al posto di un ‘sanpietrino’ viene collocato un ricordo in bronzo con il nome di una vittima per la nostra libertà”.
In quali iniziative recenti risultate coninvolti?
“Recentemente, abbiamo iniziato una ‘Scuola del patrimonio’, dove si formeranno i giovani, vincitori di un progetto di particolare pregio, che sarà seguito dallo stesso Ecomuseo. Inoltre, assieme ad altre reti del territorio siamo attivi all’interno dei processi partecipativi urbanistici, per disegnare un modello di città diversa, dove la Storia, il presente e il futuro siano al centro, proprio perché sono i cittadini stessi e le loro istanze a chiederlo, da anni”.
E' possibile esportare il modello dell'Ecomuseo in altre parti di Roma e d'Italia?
“La storia degli Ecomusei è pressoché sconosciuta alla maggior parte delle persone. Tuttavia, ne esistono diversi in Italia e hanno anche una lunga ed esemplare storia, come per esempio quelli del Trentino. Tuttavia, l’Ecomuseo Casilino è il primo di questo tipo, in Italia, che opera definendo e riconoscendo il patrimonio costituito anche dalle comunità di origine straniera. Una formula, questa, che va al di là dell’integrazione e che ribalta l’antica visione dell’Altro come individuo, di locale e migrante. A dimostrazione di ciò, il lavoro fatto su un nascosto monumento di Torpignattara, il Mausoleo di Sant’Elena, dal quale si possano irradiare decine di collegamenti storico-religiosi più che mai attuali, facendoli diventare luoghi di incontro sportivo e culturale veramente per tutti con un occhio particolare all’alta tecnologia, vera ‘desiderata’ da anni, ma sempre meno lontana”.