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20 Aprile 2024

Attori per una sera

di Marta De Luca
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Attori per una sera

Una piccola ‘piéce’ senza troppe pretese, che ha presentato alcune idee carine e interessanti, proposte allo spettatore con leggerezza e ironìa satirica

Se si vuol completare il giro delle novità teatrali romane, un salto al Teatro Petrolini non lo si può evitare. Ed ecco, perciò, questo ‘Attori per una sera’ per la regia di Claudio Napoleone, andato in scena nella sala ‘testaccina’ dal 3 all’8 novembre scorso. Uno ‘spettacolino’ che ha riscosso un discreto successo, regalando al pubblico qualche risata in allegria. In effetti, si tratta di un testo satirico e divertente, che cerca, in qualche caso riuscendoci, di ‘fare il verso’ alla nostra realtà sociale e televisiva di tutti i giorni. L’occhio, ovviamente, è critico e, alle volte, persino un po’ perplesso per i numerosi aspetti di banalità che la nostra attualità proprio non riesce a evitare. Ma l’analisi di fondo viene attenuata tramite una ‘celia’ alternata a qualche scherzo, da un tormentone affiancato a qualche ‘macchiettismo’. Gli attori in scena hanno cercato di superare una serie di limiti imposti da un testo che, proprio per il fatto di prendere spunto dalla realtà quotidiana di questi ultimi anni, non brilla per originalità. I due comici principali, Raffaele De Bartolomeis e Davide Santarpìa, hanno cercato di ravvivarlo tramite le loro qualità di discreti imitatori e qualche spunto da ‘guappo’. Ma di certo, ‘miracoli’ non se ne potevano più di tanto fare. C’è da dire che proprio la difficoltà di far decollare un copione ‘appiattito’ sulla quotidianità ha messo alla prova l’intero gruppo, segnalando alcune personalità interessanti. E’ questo il caso delle due interpreti femminili, Cristina Galardini ed Emilia Tafaro, che inizialmente sembravano figure di ‘contorno’, ma via via sono riuscite a prendere ‘spazio’ sulla scena, fino a ‘colorarla’ e a caratterizzarla con le proprie rispettive ‘performance’. Alcune ‘gag’, come per esempio quella del ‘talk’ televisivo, hanno saputo prendere in giro un certo giornalismo ‘marchettaro’ che anche il pubblico più sprovveduto comincia ormai a percepire tra le quinte dei principali dibattiti televisivi, che invece dovrebbero essere di informazione e di approfondimento. Ecco perciò la figura della sociologa che approfitta di ogni momento per pubblicizzare la sua ultima pubblicazione editoriale, ironicamente intitolata ‘Il mio libro’, mettendo alla ‘berlina’ un ‘generalismo’ che, sotto il profilo dei contenuti, ormai lascia il tempo che trova. Interessante anche le distinte figure di giornaliste presentate da Emilia Tafaro, molto diverse tra loro: nel corso del ‘talk’, l’artista barese ha tratteggiato una propria versione di commentatrice televisiva sedotta dal potere del politico di ‘turno’; nella parte finale, invece, la Tafaro si è divertita a prendere in giro la tipica giornalista d’assalto di una delle tante emittenti locali pugliesi, la inesistente ‘Bitonto Tv’, che vive la propria professione come una ‘mission’ messianica, alla ricerca di una pittoresca popolarità. Si può dire, insomma, che la Galardini e la Tafaro sono riuscite a ‘salvare’ la rappresentazione, facendo ricorso al proprio garbato e spiritoso umorismo femminile. Anche la ‘scenetta’ sull’invidia nei confronti delle ‘divette’ in bella mostra sui tabloid è riuscita a porre in evidenza una deriva totalmente basata sulla vuota immagine, secondo canoni di competitività puramente estetici che hanno ‘cannibalizzato’ ogni professionalità artistica. ‘A specchio’, la gag ha saputo al contempo rappresentare quel tipico ‘chiacchiericcio’ ipercritico da ‘parruccherìa’ assolutamente complice nel dare un peso specifico eccessivo ad ‘attricette’, ‘veline’ e conduttrici le quali, invece, dovrebbero essere contenute negli ambiti del mero intrattenimento. ‘Attori per una sera’ è stata, dunque, una piccola ‘piéce’ senza troppe pretese, che ha presentato, qua e là, alcune idee carine e interessanti, proposte allo spettatore con leggerezza e ironìa satirica. Un obiettivo ottenuto solamente ‘a tratti’, per il fatto stesso di aver cercato di riprodurre una realtà verso la quale proprio non riusciamo più a nutrire alcun tipo di affetto, nemmeno in forma ‘surreale’.


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