Il mensile di informazione e approfondimento che
intende riunire culturalmente il nostro Paese nel pieno rispetto di tutte le sue tradizioni, vocazioni e ispirazioni ideologiche e politiche.
diretto da Vittorio Lussana
Area Riservata
19 Aprile 2024

Francesca Frascà: "Il mio teatro dell'assurdo descrive una società divenuta ormai grottesca"

di Cristina Peretti
Condividi
Francesca Frascà: "Il mio teatro dell'assurdo descrive una società divenuta ormai grottesca"

Al Teatro Dafne di Ostia (Rm), la compagnia ‘Theatrica’ ha proposto, nei giorni scorsi, la tragicommedia di Simone Consorti intitolata ‘Il treno delle 8.05’: una piéce godibile anche per un pubblico ‘medio’, solitamente distante da richiami e decodificazioni intellettuali, tipiche del genere

La compagnia ‘Theatrica’ ha proposto, nei giorni scorsi, al Dafne di Ostia (Roma) la tragicommedia di Simone Consorti intitolata ‘Il treno delle 8.05’, per la regia di Francesca Frascà, eccellente attrice teatrale italo-greca che, questa volta, si è cimentata alla regia con buon impegno e risultato. Con una scenografia esclusivamente composta dal binario ferroviario, dalle banchine/piedistallo e da un orologio a muro a forma di Luna piena, il risultato complessivo è risultato essere una sorta di versione comica di ‘Anna Karenina’ parcellizzata in più figure, richiamando a tratti una versione short di ‘Dieci piccoli indiani’, poiché in questo caso i personaggi in scena erano solamente tre. Inoltre, il ritmo che Francesca Frascà ha saputo comunicare agli attori e, di riflesso, agli spettatori, è stato l’ingrediente segreto della rappresentazione, che si è dipanata di equivoco in equivoco, benché il contesto di sfondo fosse tutt’altro che leggero. Un teatro dell’assurdo godibile anche per un pubblico ‘medio’, solitamente distante da richiami e decodificazioni intellettuali, tipiche di questo genere, che ha trovato laAspettando_il_treno.jpg sua espressione anche in un momento di biomeccanica teatrale, grazie al bravissimo Daniel Plat. Abbiamo perciò deciso di conoscere meglio questa brillante artista, Francesca Frascà, che noi ricordavamo, invece, nel suo ruolo di attrice, avendo interpretato uno splendido Gesù/donna nello spettacolo ‘33’ - prodotto dal gruppo 'Theatrica' - vincitore del Premio speciale della critica al Roma Fringe Festival 2015.
 
Francesca Frascà, da attrice a regista, cosa l’ha spinta a questo passaggio di carriera?
“In realtà, sono regista da sempre. Alla scuola di teatro ho iniziato con le classiche materia: recitazione, dizione ed espressione corporea. Ma dopo 3 anni, il mio insegnante mi propose di fargli da assistente, per poi cedermi pian piano intere classi e gruppi. Per cui, mi sono ritrovata a ideare saggi e spettacoli teatrali già intorno ai 20 anni. E’ stata una modalità di apprendimento e di crescita perfetta, perché ho avuto il tempo di osservare da vicino i miei maestri, con tutto il tempo a disposizione per sperimentare, protetta da un ambiente e un clima quasi familiare. A 22 anni ero al teatro di Siracusa, ospitata dall’Istituto del Dramma Antico per i giovani. E negli anni a seguire, al Teatro Greco di Villa Adriana (Rm). In quel periodo, sfornavo saggi su saggi: c’è stata una fase in cui dovevo affrontare, in un sol giorno, una prova antigenerale, una generale e uno spettacolo. Ho sempre alternato recitazione e regia. Tuttavia, col tempo, ho capito che posso stare periodi lunghissimi senza recitare, ma non posso stare lontana dall’idea di dirigere”.
 
Qual è la sua poetica registica? E quali sono oneri e onori di questa professione?
“Parto subito dalla seconda parte della domanda: oneri quasi assoluti e onori relativi. Quando si recita, si pensa al proprio personaggio, si può ‘inciampare’ una sera, ma lo spettacolo resta in piedi; se inciampa la regia, invece, il progetto fallisce. Diciamo che c’è una distribuzione di responsabilità e di ansia in netto svantaggio per il regista. Il potere che dà la cabina di regia è la punta di un iceberg fatto di riflessioni e decisioni prese in totale solitudine. Il regista è il responsabile generale della scena, gestisce la complessità che è fatta anche di rapporti con i collaboratori più preziosi e anche d’improvvise sedute di psicanalisi con gli attori. L’onore, per me, è intimo: è la soddisfazione di aver saputo trasmettere la mia idea di messinscena; di aver saputo operare questo transfert dalla mia testa alle azioni degli attori; di aver reso la mia idea condivisibile; di averle dato una possibilità di ragionamento. Lavoro con poca scenografia: molto spesso è un’allegoria, ma a me piace lo spazio vuoto, perché mi piacciono che gli attori si muovano, si trasformino, narrino coi loro corpi. L’oggetto di scena deve vivere come loro e con loro. E dev’essere davvero indispensabile, per aggiungersi. Parto dal testo, dalla parola, ma poi mi allontano man mano che diventa concetto e arrivo al corpo”.

Nel caso sFrancesca_Frasca.jpgpecifico de ‘Il treno delle 8:05’, su cosa ha puntato la sua direzione? E come ha lavorato sulla messinscena con attori e autore?
“La drammaturgia del ‘Treno delle 8:05’ è di Simone Consorti: io sono solo intervenuta sul testo, per adattarlo alla mia idea di messinscena. Simone lo conosco da più di 20 anni. E questo è il suo terzo testo su cui ho lavorato: ci troviamo al volo. Le sue storie non sono mai solo drammi o solo commedie: sono molto, a volte troppo, di più. E io cerco di restare sul molto. In questo testo, ho trovato in ogni frase mondi infiniti: ‘beckettiani’ e ‘pinteriani’. Il ‘Treno’ mostra chiaramente la passione che io e Simone condividiamo per Ionesco: è assurdo, romantico, struggente, buffo, serio e ridicolo al contempo. Parliamo di suicidio in maniera grottesca, perché tutto intorno è grottesco, tutto è vorticosamente surreale e diventa difficile uscire dal vortice: ci cade dentro ogni cosa, ogni sentimento. Ho messo in scena 3 piedistalli per ogni personaggio ‘aspirante suicida’ in attesa del treno, dei piedistalli/banchine personalizzate, da cui talvolta i personaggi sono disposti a scendere mentre, altre volte, vi si arroccano. L’attesa del treno non viene delusa: a deludere sono sempre i sentimenti. Ho lavorato su movimenti controllati fino alla biomeccanica: Daniel Plat, Giovanna Deiana e Alessio Campa, ovvero gli attori in scena, sono stati intensi. In particolar modo Daniel è un compagno di lavoro perfetto: a lui posso chiedere qualsiasi cosa. Abbiamo un bellissimo rapporto professionale e di amicizia, che dura dai tempi della scuola di teatro. Ci capiamo e so cosa posso chiedergli. Molto spesso, arrivo a chiedergli l’impossibile, ma è davvero raro che abbia un rifiuto come risposta”.
 
Alla luce di questa esperienza, preferisci recitare o dirigere?
“Preferisco dirigere, senza dubbio. Ma recitare mi diverte tantissimo e, dopo un po’ di tempo, mi manca quella prospettiva, che completa certi pensieri proprio relativi alla regia”.
Aspirante_suicida.jpg


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
EDITORE: Compact edizioni divisione di Phoenix associazione culturale