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27 Aprile 2024

La trasfigurazione di Ionesco

di Francesca Buffo
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La trasfigurazione di Ionesco

Ottima interpretazione di Fabio Galandini al Teatro ‘Lo Spazio’ di Roma, in una versione efficace de ‘La lezione’, un testo del grande saggista e drammaturgo francese di origini rumene in continua sospensione tra l’assurdo e l’ironico

Una ‘lezione’ preziosa, per questi tempi, quella messa in scena da Fabio Galandini al teatro ‘Lo Spazio’, nel popoloso quartiere San Giovanni in Roma. ‘La lezione’ di Eugène Ionesco è ben più che teatro dell’assurdo: è la chiara denuncia del consueto gioco di ‘mascheramento’ delle classi dominanti dietro il velo dei linguaggi dialettici, sostenute da un potere politico che ne protegge, apparentemente dal ‘basso’, il cinico delirio. Il merito di Galandini è proprio questo: riproporre un lavoro ironico e ‘tagliente’ del grande drammaturgo franco-rumeno, incentrato sul linguaggio manipolatorio dei ‘maestri di pensiero’ e dei ceti dominanti. Un professore ospita nello studio della propria abitazione alcune allieve, le quali vorrebbero presentarsi ben preparate ai loro rispettivi esami universitari di “dottorato totale”. Ma il docente, durante le lezioni, regolarmente si lascia andare in un gioco ossessivo e malato di schiacciamento pedagogico delle studentesse, sino ad arrivare al culmine di ucciderle. La governante, vera e propria ‘anima nera’ dell’abitazione - e della situazione - poi provvede quotidianamente a disfarsi dei cadaveri e a cancellare ogni prova dell’accaduto. All’interno di tale contesto, solo apparentemente schematico, due elementi emergono con forza grazie all’ottima interpretazione di Galandini: a) l’equivoco culturale, che sorge regolarmente, intorno alla questione del linguaggio; b) la chiave saggistico/filosofica di questo testo, a lungo sottostimata, soprattutto in Italia, al fine di renderla un aspetto puramente di ‘sfondo’. Il merito della rappresentazione, invece, è quello di portare alla luce, meglio del solito, gli avvertimenti più autentici dell’Autore. Innanzitutto, spesso si crede che Ionesco abbia voluto accusare la borghesia intellettuale di ‘giuocare’ con le parole come se queste fossero ‘gusci vuoti’, al fine di ingannare il popolo (rappresentato dall’ingenua allieva interpretata da un’irrequieta Erika Rotondaro) come se il problema fosse semplicemente quello di un utilizzo del linguaggio ‘aulico’ in quanto elemento di fascinazione e di ‘imbonitura’ psicologica. Le cose non stanno così: la denuncia di Ionesco è quella di una borghesia che certamente manipola concetti, parole e idee, ma non per semplici finalità di ‘raggiro’, bensì per ‘stabilizzare’ e uniformare ogni genere di categorizzazione culturale, al fine di eliminarle. Per questo motivo, ogni differenza di pronuncia delle parole nelle diverse lingue (italiano, francese, spagnolo, portoghese e turco) alla fine risulta annullata, in spregio a ogni genere e tipo di diversità culturale, filologica e persino geografica. Il giuoco senza limiti del corporativismo ‘elitista’ è cioè puramente funzionale all’esercizio di un’opera di controllo sociale che passa attraverso un procedimento omologativo, in cui ogni espressione umana finisce con l’assomigliare alle altre. Il meccanismo, insomma, non è quello ‘scarpettiano’ de ‘Il medico dei pazzi’, né è finalizzato alla denuncia beffarda come ne ‘Il malato immaginario’ di Molière, bensì punta cupamente all’annullamento disumano di ogni libertà interpretativa, al ‘bavaglio’ psicologico e pratico di ogni punto di vista individuale. La vera vittima diviene, innanzitutto, il legame entomologico che lega termini, concetti e parole alla realtà stessa, al fine di negare ogni distinzione accomunando o ‘gemellando’ piani culturali e ‘materie’ anche assai distanti tra loro. Ciò conduce, inesorabilmente, al secondo crimine, regolarmente messo in atto dalle èlites: un dominio arbitrario e classista, protetto da un totalitarismo politico solo apparentemente ammantato da idealità di ordine sociale o di ‘servizio’ in favore della collettività. La governante nazionalsocialista, interpretata in scena da Simona Meola, assicura che la casa sia sempre in ordine, affinché il docente possa continuare a perpetuare il proprio delirio ‘ad libitum’. La politica, per Ionesco, non è affatto un ‘servo di scena’: al contrario, essa è il vero ‘cane da guardia’ di una borghesia irrigidita nel proprio corporativismo, che guarda con nostalgia al proprio romanticismo giovanile ma che ormai si è definitivamente allontanata dai propri presupposti di origine, per poter difendere la propria egemonia sino a trascendere nell’irrazionalità e nella follia. La chiave interpretativa de ‘La lezione’ che Fabio Galandini ha saputo decodificare magnificamente non è, dunque, quella ‘moralistica’, bensì rimane sul freddo tavolo del razionalismo filosofico: anche la politica, soprattutto quella ammantata di demagogia rivoluzionaria, alla fine si lascia utilizzare e ‘integrare’ dalle classi dominanti. Essa può giungere a disporre di un potere esecutivo e pratico assai ampio, ma in cambio è tenuta ad acconsentire che le ‘èlites’ possano replicare i propri errori ogni giorno, se non all’infinito. Una lezione ‘storico-filologica’ non a caso posta in discussione proprio dal ‘docente/carnefice’ durante la propria ‘lectio’, al fine di eludere la verità come un demonio che fugge impaurito innanzi alla propria stessa immagine riflessa in uno specchio. Eccellente.

La lezione
di Eugène Ionesco
Teatro ‘Lo Spazio’
via Locri 42 - Roma (quartiere San Giovanni)
dal 14 al 19 febbraio 2017
regia di Fabio Galandini
aiuto regia: Francesco Guglielmi
con Fabio Galandini Erika Rotondaro e Simona Meola
Ufficio stampa: Marta Volterra

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