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24 Aprile 2024

Rosa, la serva di Trilussa

di Francesca Buffo
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Rosa, la serva di Trilussa

Uno spettacolo prezioso scritto e diretto da Patrizia Schiavo, che scava nella più autentica cultura popolare della capitale d’Italia, alla ricerca di quella Roma a cui lo sviluppo economico ha devastato il ‘volto’, alterandone l’identità

E' andato in scena in questi giorni (sabato 25 e domenica 26 marzo 2017) presso il Teatrocittà di Torrespaccata in Roma come anteprima del debutto nazionale, previsto per l’1 e 2 aprile 2017 presso il Teatro di Juvarra di Torino, lo spettacolo ‘Rosa, la serva di Trilussa’, scritto e diretto da Patrizia Schiavo. Si tratta di un lavoro nato dal desiderio dell'attrice Gloria Liberati, romana di nascita, ma prima siciliana e oggi torinese d'adozione, di ritrovare le proprie radici linguistico-culturali, misurandosi con una drammaturgia che avesse a che fare con la romanità, il dialetto e, in particolare, la figura di Trilussa. La scelta si è così focalizzata sulla figura femminile più significativa nella vita del grande poeta, scrittore e giornalista romano: la sua domestica, Rosa Tomei. La ‘piéce’ narra, infatti, la storia della governante, segretaria, perpetua, fantesca, cuoca, infermiera, complice, alter ego, allieva e amante del grande rimatore in versi, alla quale non venne permesso di realizzare il suo ultimo sogno, il suo più profondo atto d’amore: trasformare in museo la casa di Trilussa. Gli spettatori diventano così i visitatori di un ‘sogno-tributo’, a cui Rosa si aggrappa con tutte le sue forze come ultima speranza per raccontare il suo rapporto con il poeta, recitare poesie, ridere, sfogare la sua rabbia e il suo dolore. Alla fine, Rosa viene sfrattata: non ha più alcun diritto di restare in quella casa, poiché non c’è più nessuno da servire. Dunque, la domestica è costretta ad andarsene, pagando a caro prezzo la farsa della serva e del padrone, utile soprattutto a mascherare quel legame sconveniente. I visitatori di questo ‘museo immaginario’ vivono, perciò, un’esperienza inedita: quella di essere depositari e testimoni delle confessioni, dei sogni, dei desideri, dei rimpianti, della saggezza e della poesia della Tomei. Uno spettacolo che diverte, commuove, sorprende e ci fa scoprire una di quelle figure singolari, come tante nella nostra Storia, che restano a lungo in ombra solo in quanto donne. Uno spettacolo che solo la professionalità di un’artista con la ‘A’ maiuscola come Patrizia Schiavo poteva pensare, scrivere e dirigere. L’autrice e regista ha infatti compreso un punto ‘nodale’ della questione: caduto lo schematismo ideologico della serva che non ha alcun diritto, oltre a quello di vivere e lavorare per un grande poeta, resta la discriminazione verso la donna in quanto tale. Eliminati tutti gli alibi, noi scopriamo una Rosa Tomei poetessa essa stessa, poiché negli anni ha assorbito le qualità e l’arte di Trilussa. Anche se sotto il profilo schiettamente materiale, il sogno di Rosa non può realizzarsi, si assiste a un mutamento, a una sorta di nascita per ‘gemmazione’ di una nuova artista, che sotto il profilo culturale diviene un dato con cui la Storia è oggi costretta a fare i conti. Inoltre, la Schiavo ha compreso l’attualità di uno spettacolo come questo, teso a scavare nella pluralità culturale italiana, dunque nell’identità più autentica della ‘romanità’. Un volto, quello della città di Roma, devastato dall’avvento di quell’omologazione televisiva di massa che ha annullato le peculiarità, i dialetti, persino la proprietà stessa dei corpi e delle facce dei romani. La Roma di oggi, paradossalmente, è assai più provinciale di quella dei primi del novecento, poiché costretta ad assorbire potenti ondate migratorie che l’hanno frazionata in ‘quartieri-satellite’, divisa tra ‘retaggi’ abruzzesi, sardi, calabresi e siciliani. Una Roma che, oggi, è solamente capitale di uno Stato dell’Europa meridionale, assai distante rispetto al mondo e alla cultura della Mittle Europa, quasi ripiegata sulle proprie nostalgie retoriche che, per dirla con lo stesso Karl Marx, si trasformano in un qualcosa di farsesco. Invece, la romanità del Trilussa era cultura popolare autentica, di cui la Tomei, in questo spettacolo, diviene elemento di rivelazione e rivalutazione, a dimostrazione di come lo sviluppo non sia affatto sinonimo di progresso, bensì tenda a replicare, in nuovi modi e sotto nuove forme, le medesime ingiustizie del passato. Non c’è alcun superamento ‘galileiano’ del ‘male’, bensì la sua uniformità nascosta sotto la grigia ‘patina’ di un romanesco leggermente ‘purgato’ che diviene ‘parlato medio’ degli italiani. La perdita d’identità della Roma di oggi è un grido di allarme che la Schiavo, stimolata sul tema dalla stessa Liberati, per la prima volta ha voluto ‘gridare’ al resto del Paese. Per dire ai torinesi, primissimi e prossimi spettatori di questa riflessione: “Attenzione, signori: a Roma sta accadendo, o forse è già accaduta, un’autentica tragedia, figlia di un genocidio identitario, valoriale e morale senza pari...”. Come al solito, la Schiavo ha colto nel segno. E da suoi semplici ‘sudditi’, noi non possiamo far altro che custodirne la lezione.
 
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NELLE FOTO: GLORIA LIBERATI

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