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16 Aprile 2024

Alzheimer, il male sottile

di Ilaria Cordì
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Alzheimer, il male sottile

Un milione di pazienti in Italia, 150 mila nuovi casi ogni anno. Per il morbo che spegne la memoria e annulla l’autonomia della persona non esistono cure. Ma la vera sfida della ricerca è la diagnosi precoce.  

«La malattia di Alzheimer (A.D.) rappresenta più del 50% del totale delle demenze ed è una forma degenerativa di demenza caratterizzata dalle presenze di alterazioni istopatologiche –una branca della patologia medica che studia le affezioni tissutali a livello microscopico- tipiche. La prevalenza di malattia progredisce con l’aumento dell’età e diventa importante intorno ai 70 anni. Esistono tuttavia casi di esordio precoce la cui diagnosi è difficile, in quanto i primi sintomi –perdita di memoria, disturbi della personalità- possono rappresentare sia un normale processo di invecchiamento sia un’iniziale forma di AD o una depressione». L’Alzheimer colpisce solo in Italia circa 600 mila persona, alcune delle quali nemmeno sa di essere affetto da tale disturbo; in Europa le persone interessate sono circa 10 milioni, mentre nel resto del mondo raggiungiamo la cifra di 25 milioni. Tali stime, secondo gli esperti, sono periodiche in quanto si prevede che per il 2030 solo nella zona europea i malati raggiungeranno i 14 milioni, per arrivare al 2050 con 115 milioni di persone colpite dal morbo. Ma la diagnosi non è poi così complicata: fondamentale è rivolgersi a uno specialista in neurologia, il quale, grazie agli strumenti di cui è fornito, riconosce la malattia in un tempo minimo. Una volta accertata la malattia, il paziente e la famiglia devono svolgere precise ‘procedure’ per l’inizio della cura, quali rivolgersi al proprio medico di base e, successicamente, a un centro specializzato (a Roma, ad esempio, è operativo il centro UVA – unità di valutazione dell’Alzheimer - presso l’azienda ospedaliera S. Camillo- Forlanini). Malgrado l'assenza di cure risolutive, il paziente affetto non si deve ‘arrendere’ alla malattia poiché gli studi scientifici sono in continua evoluzione. In particolare i neuroscienziati di tutto il mondo stanno lavorando su un metodo semplice di diagnosi precoce. Questo perché allo stato attuale la malattia viene individuata quando i danni causati dal morbo sono irreversibili. «Sarebbe un sogno» affermano gli specialisti, in quanto la guerra contro il morbo è sempre più ardua, poiché la casistica sta registrando una veloce espansione. I vari studi considerano innumerevoli strade per rendere efficace il test diagnostico, ma per il momento se ne hanno solo due in prossimità del traguardo. La prima via è di tipo radiologico ed appartiene a una biotech statunitense, la Food and Drugs Administration Usa;  la seconda, tutta italiana, verrebbe attraverso una specifica analisi del sangue, e appartiene a un gruppo di ricerca della Statale di Milano. I test svolti presso Filadelfia, si concentrano sullo studio di una molecola, la quale iniettata in circolo, entra nel tessuto celebrale. Tale molecola fermatasi nelle placche di beta-amiloide (causa prima della malattia di Alzheimer) si lega a questi ultimi frammenti di proteine, svolgendo un’attività radioattiva. Attraverso tale test, seguito da un macchinario ben preciso, si sta sperimentando l'efficacia del nuovo metodo. Purtroppo come ogni nuovo test, anche questo non promette al paziente una sicurezza effettiva al 100%, in quanto esistono altre forme di demenza che vengono causate dalla presenza di placche all’interno della calotta cranica, soprattutto se il paziente ha raggiunto un livello di anzianità elevato. Un articolo pubblicato su ‘Neurobiology of Aging’  riporta i risultati ottenuti dal team di ricercatori dell’università di Milano, i quali hanno scoperto che tra le tante ‘bocche’ che possiedono le cellule del nostro sistema di difesa, ve ne è una , denominata CD36 che si ‘nutre’ di beta-amiloide insieme ai globuli bianchi ‘schierati’ nel nostro cervello. Inoltre si è scoperto che le bocche CD36 risultano diminuite nelle prime fasi della malattia, persino anni prima che la demenza colpisca il malato. Tali ricerche, purtroppo rischiao di rallentare in periodi di tagli alla ricerca.  

La prevenzione comincia a tavola
Al di là di una possibile cura, comunque, ciò che non occorre trascurare è la prevenzione. Dal punto di vista dell’alimentazione, adottando una dieta ricca di omega 3 e povera di colesterolo, si riduce l’effetto dell’APOE4. L’APOE4 è una versione ‘cattiva’ dell’APOE – alipoproteina3- , una proteina presente nella malattia di Alzheimer. Parallelamente a una sana alimentazione, occorre poi mantenere il cervello in continuo allenamento. Leggere, conversare e coltivare degli interessi personali aiuta a conservare l’integrità del cervello da un punto di vista strutturale e funzionale, con evidenti vantaggi per la zona cerebrale riguardante la memoria. Ridurre il fumo e svolgere una buona attività fisica, sono i classici modi di prevenzione di una qualsiasi malattia.  È bene sapere, però, che l'Alzheimer non deriva solo dal processo di invecchiamento del soggetto, ma vi sono forme rare in cui la malattia viene ereditata colpendo membri della famiglia che possiedono un gene mutato all’interno del cromosoma 19, perdendo così le funzioni cognitive già a 40 anni. Da un punto di vista farmacologico, anche se siamo consapevoli che una precisa cura attraverso farmaci non esiste, l’Alzheimer viene tenuto sotto controllo con principi attivi che impediscono ai sintomi di aggravarsi per alcuni mesi.Si tratta di inibitori dell’acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l’acetilcolina, il neuro trasmettitore assente nei malati di Alzheimer.  Da un punto di vista non farmacologico, il trattamento per il malato affetto dal morbo avviene attraverso la cosiddetta ‘ROT’, ovvero un orientamento del malato verso la realtà, la sua vita personale, l’ambiente circostante, utilizzando sempre più stimoli verbali, uditivi e visivi. 


Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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