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27 Aprile 2024

Matteo Marconcini: "Lo sport è sacrificio, lealtà e disciplina"

di Carla De Leo - cdeleo@periodicoitalianomagazine.it
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Matteo Marconcini: "Lo sport è sacrificio, lealtà e disciplina"

Intervista al giovane e promettente judoca romano che con risolutezza e maturità riesce a dire ‘basta’ a quei divertimenti che rischiano di sfociare nell’eccesso, perché “disciplina e spirito di sacrificio sono le caratteristiche essenziali di un vero atleta”

“Ti ho detto basta: domani ho gli allenamenti e devo alzarmi presto”! Sentiamo rispondere così alle nostre spalle, mentre siamo in fila al bancone di un bar. Un ragazzo cercava di resistere alle richieste di un amico, che tentava di convincerlo a bere un altro drink. Nei classici sabato sera dell’estate romana, per le strade e i locali notturni del centro si riversano centinaia di giovani, in cerca di divertimento ‘sfrenato’. E non abbiamo potuto fare a meno di constatare come parole così responsabili suonassero ‘strane’ e rare, in bocca a un ragazzo così giovane. Glielo facciamo notare. Lui sorride e si presenta: si chiama Matteo Marconcini, ha ventisei anni ed è originario di Arezzo, ma dall’età di diciannove vive nella capitale, dove è ‘approdato’ per entrare nel circolo sportivo dei Carabinieri, diventando una promettente 'stella' del judo italiano. Uno sport che pratica con amore, disciplina e sacrificio sin dalla tenera età di quattro anni. Una dedizione che se, da un lato, lo ha costretto e lo costringe a molte rinunce, dall’altro lo ha ripagato nel tempo con prestigiose vittorie, svariate medaglie e, soprattutto, con radici ben solide in quei valori sani e autentici dello sport che, ultimamente, non siamo più abituati a riscontrare in molti ambienti e personalità del mondo agonistico professionista. Ragazzi come Matteo fanno ben sperare che questo mondo non sia del tutto ‘marcio’ e che princìpi come la disciplina, il sacrificio, la lealtà e l’onestà non siano definitivamente defunti insieme ai recenti scandali che hanno ‘travolto’ gli ambienti sportivi sino ai più alti vertici. Un incontro casuale, proseguito da una piacevole conversazione che noi di ‘Periodico italiano magazine’ vi riproponiamo brevemente nell’intervista che segue.

Matteo Marconcini, pesa alla sua giovane età, dire ‘No’ a divertimenti che sono comuni a molti suoi coetanei?

“Ci sono delle rinunce che, soprattutto in alcune fasi delicate della vita o quando le cose non vanno esattamente nel verso giusto, possono pesare tanto. Ma in quei momenti cerco di ricordarmi il perché della mia scelta, che è diventata una scelta di vita per le soddisfazioni da essa derivate. Ed è così che la volontà rifiorisce. Ho iniziato a praticare questo sport quando, all’età di quattro anni i miei genitori mi iscrissero a judo per farmi perdere qualche chilo di ‘sovrappeso’. Una disciplina alla quale mi sono appassionato immediatamente e che non ho mai pensato di interrompere, nonostante le tante privazioni”.

Può farci qualche esempio? A cosa deve rinunciare un atleta?
“Più che rinunce o privazioni, io li chiamerei sacrifici: lo sport, in generale, ti addestra al sacrificio, che è una componente costante, sempre presente, anche quando gli altri non la vedono. Che si tratti di una gara, di un singolo combattimento o della routine quotidiana, un vero atleta è colui che fa della costanza, della disciplina, della lealtà e della puntualità veri e propri doveri imprescindibili. Nel dettaglio, questo ciò significa che non si è liberi, per esempio, di andare in discoteca o a mangiare una pizza con gli amici quando si vuole, come invece fanno gli altri ragazzi. In primis, perché bisogna mantenere il proprio ‘peso-forma’; in secondo luogo, essere lontani da casa e dai propri affetti per periodi anche molto lunghi è un altro sacrificio, sia per l’atleta, sia per la sua famiglia, che tra l’altro lo deve supportare, oltre che moralmente, anche economicamente, per potergli dare la possibilità di raggiungere traguardi importanti”.

In Italia, escludendo pochissimi sport, per poter intraprendere un percorso professionistico molti atleti, a parità di impegno e dedizione, sono ‘costretti’ ad arruolarsi nei gruppi sportivi militari: qual è la sua opinione al riguardo?
“Sì, è vero: sicuramente nel nostro Paese ci sono discipline che non vengono ‘favorite’ e, quindi, molti atleti dilettanti, se vogliono proseguire con il professionismo, non possono percorrere altra strada se non quella dell’arruolamento nei Gruppi sportivi militari. Soltanto per i calciatori, il percorso e la carriera sono differenti. Ma la sostanza non cambia, dal momento che essere un professionista implica, per tutti, le stesse responsabilità. Innanzitutto, l’impeccabilità dal punto di vista della disciplina e della forma fisica. E, in casi come il mio o in quelli analoghi, anche dal punto di vista militare”.

Qual è la ‘giornata-tipo’ dell’atleta Matteo Marconcini?
“Le mie giornate sono tutte abbastanza simili: la ‘sveglia’ è militarmente fissata alle otto del mattino. Alle 10.00 sono già in palestra, dopo aver consumato una colazione adeguata, ma sempre bilanciata, che mi permetta di sostenere le successive due ore di judo senza cali zuccherini e, quindi, senza sforzi inutili o pericolosi. Mi alleno dal lunedì al sabato, due volte al giorno. E non è raro che, in prossimità di appuntamenti importanti o in ‘punizione’ per l’insorgere di qualche chilo in più, ci si ritrovi in palestra anche di domenica. Nell’intervallo tra l’allenamento mattutino e quello pomeridiano, sebbene mi piacerebbe molto riposare, mi ‘costringo’ a studiare per poter finire l’università, altro impegno che ho intrapreso e che voglio portare a termine. Alle ore 16.00, riprendo la preparazione atletica, che si svolge soprattutto in ‘sala-pesi’. Perciò, dopo cena, quando rientro nella mia stanza, sono talmente stanco che, il più delle volte, vado direttamente a letto. La vita professionistica è apparentemente monotona e noiosa, ma la voglia di centrare gli obiettivi prefissati è tale da darmi la forza e la tenacia di andare avanti ogni giorno, spingendomi al limite delle mie possibilità”.

Secondo lei, lo sport può essere uno strumento educativo, veicolo di valori sani e ‘ancora di salvezza’ in contesti sociali difficili?
“Sì: ritengo che il judo, come anche altri sport, sia un ottimo ‘pretesto’ per educare, soprattutto nella fase di ‘formazione’, bambini e bambine sin dalla più tenera età. Il judo, in particolare, trattandosi di arte marziale, prima della tecnica o di qualsiasi altra cosa insegna il rispetto dell'avversario o del compagno di allenamento. Lo sport equivale a un grande e sano insegnamento di vita. Per questo motivo, sono convinto che tutti dovrebbero praticarne almeno uno, durante la loro vita. Si pensi a quelle realtà dove i giovani sono potenzialmente compromessi da un tessuto sociale ‘marcio’: sono fortemente convinto che, proprio in quei contesti, lo sport possa fare molto per aiutarli. In primo luogo, togliendoli dalla strada. Ed è quanto sta facendo a Napoli il maestro Giovanni Maddaloni: la prova evidente che in zone ‘a rischio’ come Scampìa, lo sport può risollevare le sorti dei giovani e di interi quartieri, poiché si trascina come conseguenza la possibilità di socializzazione, di aggregazione, di intraprendere ‘buone’ compagnie, oltre ad aumentare la consapevolezza dei propri mezzi. Cosa che, purtroppo, a molti giovani oggi manca”.

La consapevolezza della brevità della carriera agonistica pone sempre il dilemma del ‘dopo’: lei ha già riflettuto su quale potrebbe essere il suo futuro?
“Sicuramente, quando ci si dedica a un’attività a tempo pieno, come accade a un atleta professionista, la possibilità di portare avanti progetti futuri, distanti dal mondo dello sport, si riduce drasticamente. Io mi ritengo molto fortunato: grazie al Coni e al Gruppo sportivo militare di cui faccio parte ho la possibilità di essere seguito da uno ‘staff’ di autentici professionisti, dai quali ho sempre da imparare. Per quanto riguarda il futuro, in qualità di sportivo e di  militare, posso scegliere, in realtà, tra diversi percorsi. Ancora non so in quale direzione andrà la mia vita, ma sicuramente le prospettive in questo ambiente non mancano e, a priori, non scarto nulla”.

Matteo_Marconcini_1.jpgChi è Matteo Marconcini
Romano di adozione, aretino di nascita, Matteo Marconcini, classe 1989, è una giovane e promettente ‘stella’ del judo italiano. Sport iniziato alla tenera età di quattro anni per combattere un lieve problema di obesità, ma che ben presto, grazie agli insegnamenti e alla guida dei suoi primi maestri, Roberto Busia e suo padre, è diventato una passione e una scelta di vita, che ha segnato la sua educazione, radicando i suoi principi e i suoi valori fondamentali nel rispetto dell’avversario e nella lealtà della sfida. Nel 2008 entra nel Gruppo sportivo ‘Carabinieri Roma’ per la categoria 81 chilogrammi, presso la Caserma ‘Podgora’, nel quartiere Trastevere, dove si allena quotidianamente. Tra i suoi più recentie  importanti risultati segnaliamo il 1° posto nella Coppa Europa a Sindelfinghen (Germania), il ‘bronzo’ al Gran Prix di Zagabria (Croazia) e il 5° posto nella Coppa del mondo a Tallinn (Estonia), successi tutti conseguiti nella seconda metà del 2014.


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