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16 Aprile 2024

Caroline Pagani: 'Poetic voice', la magia della voce

di Valentina Spagnolo
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Caroline Pagani: 'Poetic voice', la magia della voce

Intervista a una nostra talentuosa e poliedrica attrice, autrice e drammaturga poliglotta, che ha dato vita a un’iniziativa di raccolta fondi per la realizzazione di un progetto musicale e di uno spettacolo-concerto dedicato alle opere di un artista geniale: Herbert Pagani, cantautore, artista visivo, autore di ‘Teorema’, nonché interprete dell'indimenticabile ‘Albergo a ore'

Quando un’artista è capace e ha molti e vari talenti, sa sempre come trasformare anche gli impedimenti in arte e bellezza. E’ questo il caso di Caroline Pagani, che anche per ovviare al lungo stop imposto ad attori e teatranti dalla pandemia, ha deciso di interpretare una serie di testi, favole e poesie al telefono, in più lingue, oppure attraverso dei ‘podcast’ registrati e dedicati. Un’idea che ha avuto i suoi riscontri e ha permesso all'attrice di affinare sempre meglio tali tecniche, utilizzando le nuove tecnologie per inventare una nuova forma di ‘recitazione a distanza’. In ogni caso, dato il buon successo dell’iniziativa, abbiamo deciso di disturbarla, per spiegarci meglio come procede questa sua ulteriore nuova attività e perché l’ha ideata.

Caroline Pagani, ci parla di questa iniziativa dei testi interpretati al telefono? Come le è venuta quest’intuizione?
“Poetic Voice, l’interpretazione e la dedica di testi, poesie, favole e lettere con sola voce, al telefono, o con registrazione audio e in più lingue, nasce soprattutto come campagna di crowfunding/fund raising, cioè raccolta fondi, per realizzare due progetti artistici: la registrazione di testi e canzoni su supporti digitali e cd e la produzione di uno spettacolo-concerto sulle opere di un artista geniale, multiforme e precursore dei tempi, Herbert Pagani. Sono progetti a cui tengo molto, non solo perché molto belli da un punto di vista artistico ed estetico, ma molto attuali, oltre che molto desiderati da migliaia di fans di questo eclettico artista. Nel mondo della performance, l’unica cosa che non sia stata fatta, forse, è solo il parto in scena (anche se saremmo più nell’ambito della performance art e dell’arte contemporanea, che in quello del teatro). In realtà, non è poi nulla di così nuovo e ho scoperto che eCaroline_in_verticale.jpgra già stato fatto: non c’è quasi nulla che non sia stato fatto. Mi sembrava necessario. Ci ho pensato, in parte, per l’impossibilità di fare teatro dal vivo: il virtuale, si sa, non potrà mai sostituire il reale, l’arte del teatro in particolare, lo streaming, l’on line è utile se veicolato per mantenere un rapporto col pubblico, facendo qualcosa sul teatro e intorno al teatro, ma non il teatro. Personalmente, trovo sia meno peggio aspettare tempi migliori e, nel frattempo, studiare e usare soprattutto altri strumenti, che non il corpo come veicolo della propria arte, come per esempio la testa, insegnando, la scrittura, la voce. Ben venga anche il video: se fatto bene, perché no? Ma è un linguaggio ‘altro’ rispetto al teatro. Amo molto anche la radio, i radiodrammi e gli audiolibri”.

Come reagiscono le persone quando ricevono la chiamata? E quale tipo di ‘pubblico’ vuole sentire la sua voce?
“A volte sono incredule, pensano che si tratti di uno scherzo; altre si commuovono, qualche volta piangono, soprattutto quando scoprono il riaffiorare di un amore dal passato o di ex amanti, oppure di avere ammiratori che non sapevano come rivelarsi, manifestarsi, esprimersi; altre ancora si divertono. Un pubblico misto e variegato: dai bambini e ragazzi per le favole, agli amici, agli innamorati, agli amanti. Ma anche gli spasimanti, che non sanno come rivelarsi o come esprimere il proprio interesse o i propri sentimenti segreti. Il fatto di avere un tramite semplifica le cose, rende la comunicazione più fluida, meno impegnativa. E’ poi un regalo speciale, dedicato, personalizzato. Io sarei felice di ricevere un dono così da chiunque, perché è pensato, è cucito su misura come un abito: è per quella persona. Ma anche per comunicare il proprio pensiero a qualcuno, nel bene e nel male, anche attraverso lettere, non solo con epistolari letterari, ma lettere dedicate, rivolte a qualcuno, anche - perché no - per esprimere il proprio disappunto, o per dire quello che si pensa. Ad amici, ma anche ai nemici, persone che magari ti hanno ferito, offeso, fatto torti, oppure rallegrato, dato gioia, ma anche per mandare a quel paese. Quello della comunicazione è forse uno dei più grandi problemi relazionali dell’uomo. Buona parte dei rapporti, spesso si trasforma per fraintendimenti, incomprensioni, per la mancanza di una buona comunicazione”.

Abbiamo ascoltato alcuni suoi podcast in cui lei dimostra di avere una voce singolare, vellutata, avvolgente e anche molto versatile, piena di timbri e colori: quanto è consapevole di questa qualità? Come pensa di condividere questo suo talento?
“La voce è un dono che tutti abbiamo. Ed è anche uno strumento, che si può educare e allenare. La voce è suono ed è quanto di più personale e unico ci venga donato dalla natura. C’è una profonda corrispondenza fra la voce di una persona e il suo carattere, la sua anima, forse ancor più che per la fisiognomica. Tutto questo è molto affascinante… A volte senti voci profonde, sensuali, oppure sottili, eteree, spiritate, che poi non sembrano corrispondere alla fisicità della persona che porta quella voce. Voci che evocano altri mondi e che poi, parlandoci, conoscendole, trovi le corrispondenze, le risonanze. Ognuno di noi ha più voci, a seconda che ci abiti il bambino, l’adolescente o l’adulto, o se in quel momento stiamo parlando più con la pancia, col cuore o con la testa. La voce è anche uno stetoscopio e un metronomo della nostra vita, psichica ed emotiva. Di fronte alla voce percepiamo il mistero di chi la emette, il timbro singolare di ognuno intreccia trame e orditi, del pensiero e dell’affettività. Il pensiero e l’emozione si formano insieme alla nostra voce. Credo nella verità della voce e nella potenza delle parole, nel disvelamento di suoni e sensi. E questa è anche una cifra stilistica della mia scrittura e del mio teatro. Quando leggo un testo, mi affascinano anche le sonorità della lingua e delle parole usate. Le parole sono musica, una partitura che va suonata con la voce… Quello della voce è un universo meraviglioso, che amo esplorare a fondo. Anche col canto. Infatti, questa iniziativa, ‘Poetic Voice’, nasce come raccolta fondi per l’incisione e la diffusione su supporti digitali e compact disk delle più belle canzoni, dei testi e le prose di Herbert Pagani, attualissime e poetiche, in cui coinvolgerò anche altri artisti. Sto cercando i musicisti e le persone ‘giuste’, anche se mi piacerebbe, sarebbe bello se ‘Poetic Voice’ diventasse un servizio continuativo, non solo per ricorrenze e festività: periodi in cui ‘Poetic Voice’ impazza. Ogni donazione che arriva, anche minima e simbolica, è destinata a retribuire i musicisti, gli arrangiamenti, la sala di registrazione, l’incisione, a trovare una co-produzione per fare uno spettacolo concerto, che non nasca e muoia nell’arco di una sera, ma che possa girare, vivere. Penso che uno spettacolo su Herbert Pagani sia non solo bello, ma necessario, poiché nei suoi testi sviscera in forma poetica tematiche di un’attualità sconcertante, dal potere, alle guerre, al mondo dello spettacolo, all’amore, alle pandemie. Sono innamorata delle canzoni e dei testi di mio fratello da una vita, li conosco tutti a memoria, in più lingue, la sua poetica mi è talmente vicina, la sua prosa e la sua poesia mi hanno molto aiutata a sopportare il confinamento e il periodo da incubo che stiamo vivendo tutti. E ora ho bisogno di condividere col mondo tutta questa bellezza”.

Si tratta di esperimenti dettati dall’attuale contesto pandemico, oppure dopo la campagna di vaccinazioni tornerà al teatro impegnato?
”Non solo: non si tratta solamente di fare di necessità virtù. Sinceramente, spero anche di fare più cinema, per questo sto anche a Roma, - a Venezia per scrivere e tradurre, a Milano per il teatro – Roma che è tanto bella, ma anche un po’ ‘cialtrona’: come milanese a Roma, a volte mi sembra che il film ‘La grande bellezza’ sia una favola in confronto alla realtà… Certo, quando sarà possibile tornare in scena, quando torneranno i festival, quando si potrà viaggiare, spero di riprendere anche a girare il mondo col mio ‘carro di Tespi’. Credo che sarà un po’ come dopo una guerra: le persone hanno voglia e bisogno di andare a teatro. Io spero di poter condividere più arte, poesia e bellezza possibile con un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Il pubblico del mondo, nel mondo”.
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Fra le sue specialità, William Shakespeare: le viene richiesto, oppure la letteratura inglese rimane un mondo ancora lontano per molti di noi?
“William Shakespeare è il più grande drammaturgo di ogni tempo e luogo, creatore di storie che ci riguardano tutti, che riguardano l’uomo e l’umano, che affonda le sue radici tanto nella tragedia greca (tutti, bene o male, proveniamo da una famiglia, che è l’origine di tutto, di mali e dolori, siamo tutti vittime di vittime), quanto nella novellistica italiana, nei racconti di viaggio e nella storia. Shakespeare è l’umano (secondo Harold Bloom, lo avrebbe inventato lui…), ha attraversato tutte le passioni, tutte le emozioni, tutte le dinamiche, tutti i colori. La vita è corta e io preferisco coltivare e affinare sempre più delle specialità… Mi occupo anche di altri autori, italiani ma anche spagnoli, francesi. E poi c’è anche Dante, con ‘Luxuriàs’, che trae spunto dal V canto dell’Inferno dantesco. La letteratura non serve per imparare a vivere, serve a vivere…”.

Questa è la prova che, quando un’artista è capace e ha dei talenti, trova sempre il modo di reinventarsi: cosa ne pensa delle reazioni dei suoi colleghi artisti, rispetto allo stop imposto dal coronavirus?
“Condivido in tutto e per tutto le loro reazioni, che sono anche le mie: stiamo vivendo una barbarie, un imbarbarimento etico, estetico, economico, sociale. La cultura è e rispecchia l’anima di un popolo, di un Paese. Siamo la categoria più colpita e abbattuta, poiché i teatri sono i luoghi più sicuri. Il coronavirus è l’occasione, il catalizzatore, il problema sta a monte. L’Italia è il Paese col maggior patrimonio artistico e culturale del mondo, ma le nostre preziosissime ‘gemme’ sono, purtroppo, in mano a tanti ‘Rigoletto’, a tanti buffoni di corte che vestono abiti troppo grandi per loro e rivestono cariche sbagliate. Anche per questo gli artisti e gli attori non godono del rispetto e delle tutele che hanno in altri Paesi, più civili e più meritocratici. Con la cultura si mangia? Sì, che si mangia: l’identità e la civiltà di un Paese si misurano anche dal valore che si riconosce ai propri artisti. Anche per questo sono nate delle associazioni di cui anch’io faccio parte: Unita (Unione nazionale interpreti di teatro e audiovisivo, ndr). Un’associazione di attrici e attori che tutela la dignità professionale dei propri associati e promuove iniziative di informazione e formazione per lo sviluppo del settore dello spettacolo. Fondata da più di 100 interpreti del teatro e dell’audiovisivo, è stata creata per sostenere e promuovere la centralità del mestiere dell’attore all’interno del panorama artistico e culturale. Ed è nata Amleta: un’associazione sorta da un collettivo di attrici di teatro, formatosi durante il primo periodo di confinamento, che denuncia gli abusi e le discriminazioni nel nostro lavoro e che si propone di promuovere l’eliminazione di ogni fattore che limiti il ruolo della donna nella società e sul luogo di lavoro, dal punto di vista economico e di tutela della dignità personale. Ad ‘Amleta’ hanno aderito centinaia tra donne, uomini e persone transgender, con l’obiettivo di evidenziare e contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo dal vivo. Tra le categorie di lavoratrici che si sono organizzate per rompere gli schemi delle relazioni di potere tra i generi, ora ci sono anche le attrici. In particolare, le attrici di teatro. Io ho dedicato uno spettacolo teatrale a queste tematiche, dal titolo ‘Mobbing Dick’, prodotto dall’Unione femminile nazionale italiana, che descrive queste dinamiche anche con una certa dose di ironia, per quanto possibile. Le donne faticano a raggiungere, nel nostro Paese - ma non solo - ruoli di potere. Nel teatro c’è anche un grave problema di divario di genere: non ci sono direttrici a capo di teatri nazionali”.

Cosa auspica per il futuro?
“Il ritorno a un teatro d’arte, di arte e per l’arte. Che lo si insegni a partire dalla scuola primaria. Se si insegnasse teatro a partire dall’infanzia, gli esseri umani sarebbero persone migliori. Sensibilizzare, educare all’arte, alla poesia, alla bellezza, per evitare un futuro di gente superficiale e pericolosa. Mi fa paura e orrore che un sentire cieco e irrazionale, antico come l’antisemitismo, non siano mai sopito. Sono le stesse dinamiche in cui ci si imbatte, per esempio, quando si ha la sfortuna di trovare dei vicini di casa cattivi, molesti, che hanno bisogno di avere nemici, di odiare qualcosa o qualcuno per affermare la propria identità. Non ti senti mai al sicuro, mai a casa, anche se a casa tua. Mentre quando, invece, trovi un vicinato solidale, ti senti parte di una comunità, a casa, ovunque tu sia. L’Europa e l’Italia hanno alle spalle una storia importantissima, sul piano culturale: è stata a lungo leader nel mondo. Come sostiene il maestro, Riccardo Muti: “Basterebbe che i governi dei vari Paesi togliessero un po’ di denaro alle cose superflue e lo destinassero all’educazione e poi all’educazione e ancora all’educazione”. Meritocrazia. E la fine del nepotismo. Auspico che si ‘razzoli’ come si predica: più merito, più giustizia, più equità, più equanimità, più parità, più pariteticità; e meno potere, meno ingiustizia, meno indifferenza. Forse, il peccato capitale della nostra epoca è proprio questo, oltre a un uso distorto del potere: l’indifferenza. Che ognuno possa fare qualcosa per il prossimo. A me, gli ‘adulti’ non hanno mai dato nulla, semmai mi hanno ‘tolto’. Spesso, l’adulto che non ha dovuto penare molto per conquistare le cose dimentica, non sa quanta fatica si faccia in questa carriera, in questo nostro mestiere, così bello e necessario. Che deve essere avulso da dinamiche politiche, di potere e solo ‘scambiste’. Quando ottiene potere e denaro, spesso si trasforma. Meno indifferenza, meno differenze; meno io e più noi; più ‘Unita’ e  più ‘Amleta’. Questo virus ci ricorda che siamo tutti connessi. E tutti uguali. Il virus ci ammonisce sul senso della perdita, tanto vale cercare di lasciare dei bei ricordi. Ci ricorda che oggi ci siamo, domani no. E che ‘io’ vuol dire ‘noi’…”.
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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
Registrata presso il Registro Stampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010.
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