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14 Dicembre 2024

Caroline Pagani: "Shakespeare in sex"

di Giuseppe Lorin
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Caroline Pagani: "Shakespeare in sex"

Nuovo importante riconoscimento per la regina delle nostre interpreti ‘shakespeariane’, che ha vinto il Premio Tragos svelando anche un’altra natura: quella di eccellente autrice e drammaturga

Si è svolto nei giorni scorsi il Premio Tragos per il Teatro e la Drammaturgia intitolato alla memoria di Ernesto Calindri. La cerimonia di premiazione si è svolta al Piccolo Teatro di Milano - Teatro Grassi, il 22 febbraio scorso. La presidente di giuria era Maria Gabriella Giovannelli. Nel ricco parterre, anche la direttrice del settore Spettacolo del Comune di Milano, Marina Messina, insieme a Marco Calindri, Martina Treu e Valentina Garavaglia. Fra i premiati: Andrée Ruth Shammah, per il suo impegno culturale per la città di Milano; Angela Finocchiaro alla carriera; Caroline Pagani, attrice, autrice e drammaturga, che ha ricevuto un riconoscimento per il suo testo: “Shakespeare’s Lovers. Le donne di Shakespeare fra Teatro e Arti visive. Le rappresentazioni dell’Eros”.

Caroline Pagani, di che cosa si tratta?
“Shakespeare’s Lovers” è il titolo di uno spettacolo che ha avuto successo, che ho realizzato a Venezia un po’ di anni fa e che intendo riprendere e distribuire, promosso dal Comune di Venezia, dall’Assessorato alle Politiche giovanili e dal Centro Donna. Il mio lavoro descrive anche la realizzazione pratica di questo spettacolo in tutte le sue fasi dal ‘fund raising’ a una prima distribuzione. C’è un’ampia parte teorica sulle ricerche storiche e critiche sul teatro elisabettiano, sugli attori elisabettiani, sugli stili recitativi. I testi sono stati ri tradotti ex novo, analizzati, scandagliati, arrivando poi alla creazione di una drammaturgia originale, che attraversa i testi shakespeariani. E’ anche un testo su quello che è il lavoro del dramaturg: figura professionale ampiamente diffusa all’estero, che si occupa di ciò che viene prima della drammaturgia, durante e fra la drammaturgia, infine la sua messa in scena. Con questo lavoro ho anche cercato di dimostrare che si può essere artisti e teorici, attori e studiosi, drammaturghi e guitti al tempo stesso, che una competenza non solo non esclude l’altra, ma che sono complementari. Spesso in Italia è un po’ radicata l’idea per cui o sei un teorico, uno studioso o sei attore… All’estero le arti sono più ‘sorelle’ e viaggiano insieme, simbioticamente”.

Lei ha in programma anche la pubblicazione di un libro dal titolo “A letto con Shakespeare”: come ci parla il Bardo dell’Amore? E che cos’è questo ‘Eros’?
“Sì, sto cercando un editore. Il titolo è depositato. E’ un libro sull’eros, sulla sessualità, sul modo di dire, vivere e rappresentare il desiderio e il sesso in Shakespeare, che attraversa sistematicamente tutto il Canone shakespeariano. E sul modo in cui questo eros è stato rappresentato, sulle tavole dei palcoscenici e nelle arti visive, soprattutto in pittura, avvalendosi anche di un archivio di immagini molto ricco. Vuol essere un libro per tutti: ‘scespirofili’ e non, specialisti e neofiti, desideranti e persone senza desiderio, scritto con leggerezza e ironia. Eros è una forza, è desiderio di qualcosa o qualcuno, è una dinamica del desiderio che porta a relazionarci. “Desiderare”, nel suo significato etimologico, ha a che fare con le stelle, con l’uscire da se stessi per andare verso le stelle. Trovo che questa definizione sveli il senso di Eros. L’amore in Shakespeare viene presentato nelle sue forme più varie e variegate. Shakespeare, mentre scriveva, sapeva che Giulietta, per esempio, sarebbe stata interpretata da un ragazzo imberbe, un adolescente prima della muta della voce, travestito da Giulietta. Di conseguenza, il pubblico veniva sedotto e poteva innamorarsi delle immagini evocate dal testo, ma anche del personaggio Giulietta. E ancora: del corpo di chi stava sotto al costume, sotto alla camicia da notte che Giulietta indossa mentre è in trepida attesa di Romeo, o sotto al costume di Cleopatra, mentre ci racconta di aver visto Antonio in sogno e di come gli si inarchi la schiena. E’ Eros a 360 gradi. Per questo il teatro era visto come qualcosa di eversivo e di ambiguo, anche dal punto di vista erotico. Il teatro era un luogo di grande libertà, di parola, di pensiero e anche sessuale. Tuttavia, nelle opere di Shakespeare le scene di sesso non avvengono mai per impatto scenico, ma ‘off-stage’, fuori dal palco, vengono cioè immaginate, evocate, in quell’oltre del palco, in quel luogo immaginario e fantasmagorico in cui ognuno può proiettare ciò che vuole, tutte le proprie fantasie erotiche. Ma non per questo sono meno incisive e potenti: basti pensare all’immaginario che riesce a innescare Jago per insinuare il tarlo della gelosia nella mente di Otello, solo con l’uso della parola: è un vero e proprio scenario pornografico”. Nei ‘Sonetti’ si passa dall’amore romantico all’erotismo, dalla passione alla tenerezza, dai sentimenti per un uomo a quelli per una donna. I riferimenti alla sessualità non sono molto espliciti, ma sono rappresentati attraverso metafore e giochi di parole. Shakespeare insegna che nulla di ciò che è terreno può eguagliare il sentimento e la gioia dell’amore, vero fuoco della vita. Ci mostra quanto l’amore sia  più importante di qualsiasi altra cosa, come senza di esso non ci sia nulla per cui valga davvero la pena vivere. Ci illumina sul fatto che potere, denaro e fama perdono senso di fronte allo sguardo di chi condivide con noi le gioie di Eros.
Chi tradisce l’amore per il resto, chi cede al compromesso, prostituendo la propria anima, avrà sempre perso nel gioco della vita che, alla fine, ci presenterà il conto. Potremmo renderci conto di aver sprecato i nostri giorni nel nulla. Questo è molto attuale, connaturato all’essere umano e vale sempre, soprattutto per la categoria degli attori…”.

Perché si dovrebbe leggere Shakespeare?
“Principalmente, perché aiuta a vivere. Perché non tramonta mai: parla di umano e all’umano, di come funzioniamo. Dietro a Shakespeare c’è la filosofia Rinascimentale - e la filosofia ti può salvare la vita - e prima ancora quella classica delle grandi tragedie. Poi ancora l’uomo, con le sue dinamiche, i suoi sentimenti, le sue passioni, i suoi vizi capitali, la sua ombra. A me ha salvato la vita: non avendo avuto la fortuna di crescere in una famiglia del Mulino Bianco, leggere di genitori che possono non amare se non addirittura odiare o peggio ancora ignorare i figli, di famiglie in cui regna l’anaffettività, il tradimento, l’abuso, l’usurpazione, di dolori strazianti, di vere e proprie dinamiche tragiche, come accade nei drammi greci ed elisabettiani, in un certo senso mi ‘consolava’. Capivo che non era solo ed esclusivamente la mia sciagura. Il problema del male e della sua banalità, - per dirla con Hannah Arendt - non ha nulla di fascinoso o perverso, è solo piccolo, mediocre, appunto, e appartiene all’umano. Pare che leggere Shakespeare faccia bene al cervello, all’emisfero destro in particolare, al nostro cervello ‘poeta’, quello più specializzato nell'elaborazione visiva e nella percezione delle immagini, nella loro organizzazione spaziale e nell'interpretazione emotiva. Funziona, quindi, anche come antidepressivo. Shakespeare ci mostra anche come molte malattie e disturbi derivino da emozioni violente, come il corpo sia collegato alla nostra emotività e come ne dipenda”.

Il fatto di essere, oltre ch
Pagani_con_libri.jpge attrice, un’autrice, è un valore aggiunto, ma che cosa le piace di più: essere l’interprete dei testi che scrive o fare l’attrice/interprete per altri registi?
“La scrittura è quel modo in cui molti artisti, registi e attori si rifanno per vincere il carattere effimero dello spettacolo, per lasciare delle tracce. Scrivere vuol dire anche dialogare con grandi drammaturghi, con la loro lingua, mentalità, epoca. Aiuta a sentirsi sempre in compagnia, ad avere dei Maestri interiori. I testi, per alcuni, sono un po’ come dei figli. Scrivere vuol dire fermare qualcosa, dargli vita: questa è la caratteristica peculiare della scrittura teatrale. A volte, i testi finiscono per acquisire una vita indipendente da quella progettata dai loro autori. E questo rende la scrittura per la scena ancora più enigmatica, affascinante e intrigante. Sono entrambe dimensioni che possono dare felicità. Mi piace molto scrivere sapendo di dover essere io a dare vita, carne e sangue a quelle parole, ma mi piace molto anche essere condotta. La prima è una dimensione molto creativa, che dà grandi soddisfazioni, anche se avere il controllo di un intero spettacolo poi può distogliere dall’aspetto creativo. Mi piace molto la fase ideativa e creativa, ma poi c’è la parte organizzativa e distributiva che vorrei tanto poter delegare ad altri, poichè è arduo conciliare i vari aspetti di un intero spettacolo. Mi piace molto essere diretta, anche perché mi sollevo dalla responsabilità di tutto, ma solo quella del mio lavoro di attrice: il lavoro sul personaggio, ciò che porta al’interpretazione. E’ un privilegio scegliere la propria forma di creazione. Sento anche l’esigenza di fare il mio teatro. E’ bello essere liberi di scegliere, ma è bello anche essere guidati, vivere solo da dentro, affidarsi, sentirsi un ‘oggetto’, in questo caso, diventa per me un privilegio, un lusso, una vacanza, una sospensione del tempo, dei pensieri, degli affanni, una beatitudine. Ho bisogno di entrambe”.

Fare l’attrice è una scelta professionale o di vita?
“Credo sia entrambe le cose, almeno per me, come per molti. Nel senso che la scelta professionale ti porta poi a vivere in un certo modo, a trarre ispirazione da tutto quello che ti circonda. E per poter cogliere questo, purtroppo, anche a sviluppare idiosincrasie nei confronti di ciò che ti distoglie da questa dimensione. Ci sono periodi, per esempio quando scrivi o quando ti documenti e studi per creare un nuovo spettacolo, ma anche quando sei sotto debutto, in cui non puoi avere distrazioni, di nessun tipo, a meno che non siano ‘convogliabili’ nel lavoro di creazione. Questo lavoro particolare, questo mestiere, ti porta inevitabilmente a vivere e anche a ‘dover’ vivere in un certo modo…”.

Quali ruoli le piacerebbe interpretare?
“Mi piacciono le storie che collegano mondi e dimensioni. E le drammaturgie che hanno anche una musicalità, la scelta delle parole è importante, hanno un suono, un potere. La lupa, Fedra, Merteuil, Madame de Sade, la Monaca di Monza, Cleopatra: ha cambiato le sorti del mondo. Ed è un personaggio comico in realtà, che si mette sempre in scena: Giovanna d’Arco perché parla con un arcangelo; Salomé, perché è un archetipo; l’attrice tanto e giustamente arrabbiata di “Venere in pelliccia”, un bellissimo testo di David Ives; i personaggi di Poe. Ma anche certa drammaturgia contemporanea. Tutte le donne disperate, le perfide, cattive, ma soprattutto quelle divertenti, che riescono a ridere delle proprie disgrazie e che fanno ridere. O, perché no, anche qualche uomo…”.

Da quali registi le piacerebbe essere diretta?
“La lista è lunga. Sicuramente, Pedro Almodovar, Woody Allen, Eimuntas Nekrosius, Christoph Marthaler, Igor Sibaldi, Marco Martinelli, Valter Malosti. E altri. Mi piacerebbe essere diretta anche da qualche donna, risolta, che ami le proprie attrici e che faccia un lavoro di ricerca sul femminile. Nei periodi in cui non è ‘necessario’, non mi interessa lavorare per chiunque e fare qualunque cosa, scelgo. Amo i registi che collaborano coi propri attori, ottenendo così molto da loro. In scena avere cautela può essere più produttivo: sul palco si è nudi, si può tornare nudi come adolescenti su un letto al primo appuntamento col primo amore…”.

Progetti futuri?
“Ma i progetti non si svelano, e non si rivelano… Personali molti. Professionali moltissimi. Cinema: il film di Hamletelia, da girare in un cimitero sconsacrato, uno spettacolo che a maggio sarà al Festival di Praga. Sicuramente altri Shakespeare e riscritture shakespeariane. Un testo sulla storia del popolo ebraico, sulla Shoah. Uno spettacolo–concerto: per fortuna, non ho mai smesso di coltivare anche il talento del canto. Altri testi e spettacoli su alcuni singolari personaggi femminili. Si è soliti pensare a molte donne in funzione degli uomini cui si sono accompagnate, quando invece queste donne sono state molto altro a prescindere. Donne che si sono fatte, inventate, create da sole”.

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LE FOTO UTILIZZATE IN QUESTO SERVIZIO SONO DI: NEGIN VAZIRI

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