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28 Marzo 2024

Ennio Coltorti: "Con le rivelazioni di Buscetta comprendiamo il grande lavoro di Giovanni Falcone"

di Liliana Manetti
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Ennio Coltorti: "Con le rivelazioni di Buscetta comprendiamo il grande lavoro di Giovanni Falcone"

Il piccolo teatro trasteverino ‘Stanze Segrete’ trasformato da cima a fondo nella sala degli interrogatori dell’Fbi, per far rivivere al pubblico romano l’interrogatorio del 'boss dei due mondi': il grande pentito che ha inflitto a ‘cosa nostra’ i colpi più duri che la mafia siciliana abbia mai subìto    

Al teatro 'Stanze Segrete' di Roma è andata in scena, nei giorni scorsi, una superlativa interpretazione di Ennio Coltorti nei panni di Tommaso Buscetta, il grande pentito di mafia. 'Buscetta: santo o boss?', questo il titolo dello spettacolo, nasce da un testo di Vittorio Cielo che l'attore capitolino ha voluto a tutti i costi portare sul palco, riproducendo scenograficamente la stanza degli interrogatori dell'Fbi americana. Un fatto realmente accaduto, poiché si trattò dell'ultimo interrogatorio di 'Don Masino' in cui finalmente il grande 'mediatore' tra 'cosa nostra' e i 'cartelli' del narco-traffico colombiano e più in generale sud americano confessò il proprio ruolo durante la sua vita di mafioso. Senza le rivelazioni di Buscetta e il suo rapporto umano con Giovanni Falcone, la magistratura italiana non sarebbe mai riuscita a istituire un 'maxi-processo' come quello che si tenne nell'aula bunker di Palermo. Si potrebbero dire tante cose in merito a un 'passaggio' assolutamente decisivo della Storia italiana. A cominciare dal fatto che, proprio grazie alle rivelazioni di Buscetta, lo Stato italiano è riuscito finalmente a infliggere i colpi più duri alla mafia: un vero e proprio 'male congenito' del nostro Paese, che sembrava invincibile. Ma oltre all'importanza storica di questo lavoro teatrale, non possiamo non sottolineare la grande interpretazione di Ennio Coltorti, che ha trasformato questo lavoro in un evento imperdibile per il pubblico della capitale d’Italia. Coltorti, nella grigia sala degli interrogatori, ricostruita perfettamente ponendo il pubblico dietro a un vetro, come in un vero e proprio commissariato, si trasforma in Tommaso Buscetta in una maniera impressionante, fin quasi a farlo tornare in vita. L’agente italo-americano dell'Fbi che gli pone domande serrate e drammatiche è il giovane Matteo Fasanella, bravo a dimostrare umanità e comprensione verso un interlocutore decisamente particolare, che tuttavia chiarisce con lucidità illuminante la struttura gerarchica della mafia, la sua influenza e i suoi rapporti di contiguità con la politica, i suoi immensi interessi internazionali nel traffico di stupefacenti, sino ad arrivare al clamoroso attentato di Capaci, che fece strage del giudice Falcone, di sua moglie e della sua scorta. Giovanni Falcone, in particolare, viene descritto con affetto, come una figura fondamentale: l'unico magistrato che seppe indagare con pazienza la mafia fin nei suoi meandri più profondi, nella sua mentalità, nel suo radicamento territoriale. "Il territorio è tutto", dice più volte Buscetta/Coltorti, al fine di sottolineare la funzione svolta per lunghi decenni da 'cosa nostra': quella di uno Stato nello Stato. A margine della rappresentazione, abbiamo incontrato da vicino Ennio Coltorti, che con questa messa in scena ha dato prova della vivacità culturale che la ‘piazza teatrale’ romana è ancora in grado di fornire alla collettività.

Ennio Coltorti, lei è un attore ormai navigato, di cui conosciamo le ‘performances’: è stato difficile interpretare don Masino Buscetta in questo spettacolo?
“Non più di Sartre, Napoleone, Salieri, Matteotti, Nietzsche o di tanti altri personaggi comuni. Sono esseri umani. E anche se hanno incarnato momenti significativi nella Storia dell’umanità, renderli credibili e ‘vivi’ è sempre complesso e meraviglioso allo stesso tempo. Certo, Tommaso Buscetta è un personaggio entrato nella nostra vita talmente tanto che la cosa difficile è stata quella di non tradire l’idea che ognuno di noi si è fatto di lui. E, a quanto pare, questo dovrebbe essermi riuscito. Forse, però, la parte più difficile è stata quella che riguardava il rapporto con Giovanni Falcone”.

Lei, oltre a essere l’attore protagonista dello spettacolo, è anche il regista, ma il testo le è stato affidato dal bravissimo Vittorio Cielo, premiato per questo sia al ‘Sandro Penna’ che, per la creatività multimediale, dal ‘New York Times’. E’ stato facile rappresentare questo copione grazie anche alla bravura di Cielo, oppure si è trattato di un’impresa ardua dettare teatralmente un giusto ritratto del ‘boss dei due mondi’?
“Vittorio è un autore vero. E, perciò, raro. Egli ama, direi anzi che adora, gli attori. Quindi, offre loro materiale vivo: ‘carne’ da indossare. Inoltre, si documenta minuziosamente e, una volta trovata la ‘cronaca’, la trasforma in ‘arte’. Ma soprattutto (ed è la cosa che più apprezzo in lui) ha il pieno possesso del linguaggio e sa variarlo, ponendolo al servizio della situazione scenica e del personaggio”.

La scenografia spiccava per la sua originalità e gli spettatori si sono dimostrati divertiti dall'essere messi davanti a degli specchi: ha aiutato la struttura del teatro ‘Stanze Segrete’ di Roma?
“Gli italiani sono abilissimi a risolvere problemi apparentemente insormontabili, perché per secoli hanno dovuto affrontarli. ‘Stanze Segrete’ è sempre un problema, perché è uno spazio particolare, ‘diverso’,  profondamente magico. Quindi, sì: il problema dello spazio del teatro ‘Stanze Segrete’ mi ha fatto immaginare una divisione vetro/specchio con lo spettatore. Ho comunicato questa mia idea a Vittorio. E lui, con la sua consueta abilità, l’ha subito utilizzata e trasformata in progetto drammaturgico”.

Tutto lo spettacolo procede attraverso il dialogo fra don Masino Buscetta e il funzionario Fbi, con argomenti complessi: è stata una scommessa difficile trattenere l’attenzione del pubblico?
“Certo, sì. La mia intuizione di usare elementi realistici come il monitor, i vetri a specchio, il microfono e la videocamera ha aiutato a stimolare l’interesse di un pubblico che, di solito, è chiamato, invece, solo ad assistere passivamente a performances ‘precotte’...”.

Il funzionario dell’Fbi è stato interpretato da Matteo Fasanella, che aveva già ricoperto altri ruoli difficili, come quello di Che Guevara: si è trovato bene a collaborare con questo giovane artista nella rappresentazione di questo dialogo così ricco di notizie e rivelazioni?
“Matteo, per me, ormai non è più soltanto il bravissimo allievo, aiuto regista, organizzatore, tecnico, attore e collaboratore ‘tout court’, ma anche una sorta di figliolo acquisito. Quindi, mi sono trovato benissimo. Spero solo di non trovarmi, un giorno, a dover dire: ‘Tu quoque…’! Ma non credo che con lui accadrà”.

La storia di Don Masino Buscetta, come emerge dalla sua biografia e come viene rappresentato in questa piéce, incontra l’eroe dell’antimafia, Giovanni Falcone. Tra i due s’instaura un rapporto particolare, quasi un’intesa densa di reciproco rispetto: Buscetta era sincero, quando disse queste cose, secondo lei? E perché?
“Sì, credo di sì. E’ difficile rinchiudere il tutto in un perché. Sicuramente, però, c’era. Ed era, a mio avviso, non alla pari: era (sempre a mio avviso) più grande e forte il rispetto di Buscetta per Falcone che non l’inverso”.

Il funzionario dell’Fbi, ossia l’attore Matteo Fasanella, s’indispettisce e si scandalizza, per esempio, quando Tommaso Buscetta sembra riferirsi a Giovanni Falcone come fosse quasi un suo ‘amico’: nel suo giudizio di cittadino, questo modo di fare di Buscetta era una provocazione? Oppure, si tratta di elementi di 'etnologia siciliana' che anche lei ha dovuto rispettare?
“No, anche nel mio giudizio di cittadino non si trattava di una provocazione, ma di vera e assoluta ammirazione. Come quella che ogni cittadino dovrebbe avere per tutti coloro che, come Falcone, Borsellino e la loro scorta, Piersanti Mattarella, Libero Grassi e Pio La Torre hanno tentato di dare, anche a costo della vita, un mondo migliore ai propri simili”.

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NELLA FOTO: L'ATTORE ROMANO, ENNIO COLTORTI

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