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26 Aprile 2024

Mamadou Dioume, Gina Merulla, Patrizia Casagrande e Massimo Secondi: "Contro tutti i razzismi"

di Annalisa Civitelli
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Mamadou Dioume, Gina Merulla, Patrizia Casagrande e Massimo Secondi: "Contro tutti i razzismi"

Parlano gli artisti dell'Hamlet di Roma, il nuovo centro sperimentale di ricerca internazionale che ha deciso di impegnarsi per difendere l'arte e la cultura dal ritorno di una società disumana, egoistica, chiusa in se stessa

Il Teatro Hamlet di Roma è una piccola realtà nata da pochi anni. Lo dirige Gina Merulla, versatile attrice, nonché regista teatrale. Formatasi con Mamadou Dioume, subito si è orientata insieme a lui verso il Teatro di ricerca. L'intento è quello di configurare lo spazio a disposizione come centro di ricerca internazionale, coinvolgendo artisti e non di diverse provenienze, al fine di raccontare una storia universale, che possa trascendere tutti i confini. Alla base stessa del Teatro di ricerca, come ci spiega la stessa Merulla, c'è un'idea che va oltre il professionismo, il quale genera l'inclusione di tutti coloro che intendono abbandonarsi a un incontro profondo, con se stessi e con l'altro. Grazie a questa intuizione, l'ultimo spettacolo da lei diretto, 'Apartheid', ha visto coinvolta la figura di Massimo Secondi, un non professionista del settore che, tuttavia, ha saputo distinguersi per il lavoro svolto. Una rappresentazione che è riuscita a contestualizzare egregiamente una fase storica molto importante: quella del colonialismo inglese in Sud Africa all'insorgere della rivoluzione studentesca, esplosa per conquistare i propri diritti e, soprattutto, quelli della popolazione di colore. Lo spettacolo ci ha messo di fronte, oltre che a un prodotto artistico qualitativamente assai valido, anche alla ricercatezza e al lavoro di gruppo, essenziale per costruire un 'dialogo teatrale' che porti all'ascolto delle persone coinvolte. Tale coralità ci ha colpito, tanto da indurci a intervistare Gina Merulla e il suo 'cast', composto da Massimo Secondi, Patrizia Casagrande e, ovviamente, dal maestro Mamadou Dioum. Ne è nato un dibattito equilibrato, che ci ha fatto capire quanto fare teatro, oggi, risulti un lavoro benefico per tutti, professionisti e non.

Gina, Massimo, Patrizia e Mamadou, innanzitutto vorremmo sapere: come viene 'studiata', di questi tempi, la qualità di uno spettacolo teatrale?
Gina Merulla: "Io concepisco uno spettacolo teatrale come una partitura per orchestra composta da mille strumenti: la parola, il movimento, gli attori, la scenografia, i costumi, il trucco, la musica e così via. Il mio compito è fondere mille suoni diversi in un'unica melodia, che conservi in sé tutti i colori, tutte le sfumature e tutte l'emozioni dei singoli".
Massimo Secondi: "La qualità dGina_Merulla.jpgi uno spettacolo, secondo me, viene con il lavoro e grazie a ciò che si fa durante le prove, in cui tutti si debbono mettere a disposizione degli altri".
Patrizia Casagrande: "Per quanto mi riguarda, come attrice cerco sempre di dare il massimo, sia tecnicamente, sia emotivamente. La fiducia nei confronti del regista e della sua 'visione', inoltre, è fondamentale. Questo ti permette di sentirti libera di sperimentare e cercare costantemente ogni più piccola sfumatura del tuo personaggio, sapendo di essere 'protetta' da una guida attenta e fidata".
Mamadou Dioume: "Personalmente, la qualità è nutrirmi del testo 'integro', farmi avvolgere dall'ambiente circostante per liberare la mia immaginazione come fossi già in azione. Questo lavoro mi permette di sentire queste cose 'grezze', come delle fiaccole che si accendono dentro di me. Ne deriva un lavoro che comincia a radicarsi dopo l'incontro col regista e con gli altri attori. Ed esplorando si diventa una squadra e si condivide davvero l'evento".    

Cosa significa lavorare con un artista del calibro di Mamadou Dioume?
Gina Merulla: "E' un lavoro durissimo e meraviglioso al tempo stesso, da tutti i punti di vista: fisico, intellettuale, emotivo. Chi lavora con lui non può non andare a fondo nei meandri della propria anima, per far emergere quanto di più nascosto e oscuro vi giace. Si tratta di un'esperienza a 360° sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista umano".
Massimo Secondi: "Dirò di più: lavorare con Mamadou significa andare a fondo della parola 'conoscere': conoscere il proprio corpo, la propria anima e, al contempo, il corpo e l'anima di chi lavora insieme a te".
Patrizia Casagrande: "Proprio per questo, si tratta di un'esperienza unica e indescrivibile: un vero e proprio viaggio. Mamadou è un uomo che sa fondere la sua immensa energia e la sua grande esperienza con altrettanta umiltà e accoglienza, doti estremamente rare di questi tempi. Fin da subito ha instaurato con me un 'rapporto alla pari', permettendo a entrambi di cercare il massimo dell'intesa e della profondità di ricerca del personaggio da interpretare".

Gina, tu sei addirittura un'ex alunna di Dioume: cosa hai provato nel dirigerlo?
Gina Merulla: "Dirigere un attore dal calibro internazionale come Mamadou Dioume è stato un vero onore. Mentre studiavo il suo lavoro sui libri di Storia del teatro, preparando i miei esami di profitto all'università, mai avrei pensato di avere la fortuna, un giorno, di conoscerlo personalmente e di poter lavorare con lui. In tutti gli anni in cui sono stata sua allieva e sua attrice ho intrapreso un percorso vero, profondo, a volte folle, altre volte doloroso, ma sempre ricco di significato. E questo percorso mi ha portato qui a confrontarmi con lui, in uno scambio reciproco, "da essere umano a essere umano" per usare le sue parole. Mi colpisce particolarmente la sua umiltà, la sua fiducia nel lavoro che porto avanti e il suo continuo mettersi in gioco nonostante l'età e il suo passato importante: è questo che fa di lui un vero Maestro".

Quanto conta lavorare in gruppo, dunque interfacciarsi e ascoltarsi, rispetto a scrivere, dirigere e recitare da soli?

Patrizia Casagrande: "Sono due esperienze diversissime fra loro, ma ugualmente forti. Recitare da soli presuppone una grande capacità di riempire con la propria sola energia l'intero spazio fisico ed emotivo dello spettacolo, ma permette di alleggerire il senso di responsabilità nei confronti degli altri. Di contro, se il gruppo è affiatato e viaggia sulla stessa lunghezza d'onda, l'energia che si sprigiona cresce a livello esponenziale e diventa un arricchimento costante, soprattutto in un'ottica di confronto personale e professionale".
Massimo Secondi: "Io ritengo che confrontarsi con gli altri membri del progetto conti tantissimo. A patto che, sia gli attori, sia la regista vadano nella medesima direzione".
Gina Merulla: "E' mia ferma convinzione che il teatro sia una creazione collettiva, sempre e comunque. Non si è mai veramente da soli sul palco e questa è la sensazione che io adoro di più. Lavorare insieme crea quella strana 'magia' per cui, sulla scena, uno più uno non fa due, ma qualsiasi numero tu voglia".
Mamadou Dioume: "Per quanto mi riguarda, immagino che ci sia sempre Gina accanto a me, sento sempre gli sguardi di Massimo e scopro il volto di Patrizia. E me stesso lo immagino. Siamo tra intimi in un universo in cui andiamo a vivere qualcosa".    

In 'Apartheid', la vostra ultima rappresentazione, qual è stata la prima ispirazione?
Gina Merulla: "Più che di ispirazione, purtroppo devo parlare di una dolorosa e inevitabile presa di coscienza. L'Apartheid è un fatto. E questa durissima consapevolezza mi ha spinto a scrivere il testo. Ciò che ho visto, ciò che ho sentito, ciò che ho provato durante i miei viaggi doveva venir fuori attraverso la parola teatrale. La discriminazione, così come il conflitto, non appartengono a un'epoca o a un contesto geografico particolari. Al contrario, essi affondano le loro radici nella natura umana, trascendendo il tempo e lo spazio".
Patrizia Casagrande: "Non è stato facile accettare un personaggio così duro e 'ottuso', radicato nella propria cattiveria. Ma la grande sfida è stata quella di cercare tutte le emozioni più profonde, i dolori, le esperienze educative, le tradizioni e i modelli che, in ogni tempo e in ogni luogo, possono portare una persona a 'chiudersi' in una visione 'razzista', talvolta senza esserne nemmeno pienamente consapevole. E' stato un viaggio nel 'lato oscuro' dell'umanità che mi ha messo a dura prova, lasciandomi spesso svuotata e annichilita, ma che mi ha offerto la possibilità di dar voce a un personaggio estremamente complesso: un'opportunità che non sempre viene concessa a un attore".
Massimo Secondi: "La mia ispirazione personale è stata quella di cercare di capire cosa spingesse Barney Simon a creare, dal nulla, un teatro aperto a tutti, andando contro un sistema profondamente radicato".
Mamadou Dioume: "Quanto a me, dopo aver incontrato di persona Barney Simon e dopo essermi nutrito delle sue parole, ho scoperto un mondoMamadou_Dioume_2.jpg in cui esistono barriere che si pensava fossero state eliminate dopo la seconda guerra mondiale. Tutto ciò mi ha portato anche a scontrarmi con l'incapacità umana di comunicare e confrontarsi. Diviene necessario tentare di porre rimedio a tutto ciò, affinché la vita e il teatro valgano la pena di essere vissuti".    

Come siete riusciti a intrecciare le storie dei personaggi?
Mamadou Dioume: "Al di là del quotidiano, incontrarsi nella verità di qualcun altro è come assaggiarla, apprezzarla, giocare con quella storia, suggerire agli spettatori ciò che allontana o avvicina gli esseri umani. Il teatro ha permesso a Barney Simon di avvicinarsi agli altri attraverso un'utopia, vivendo una storia che tocca tutti in quanto esseri umani, nonostante le differenze".
Patrizia Casagrande: "Per quanto mi riguarda, è stato un particolarissimo lavoro di 'energia inversa'. Elizabeth Curren aveva un profondo legame sia con Zakea, sia con Barney Simon. Ma tutta la sua energia era volta proprio a contrastare questa realtà, a creare una sorta di muro invalicabile e costante nei loro confronti e nei confronti del mondo. Per far questo, bisogna scatenare una forza talmente continua da creare una sorta di costante 'rimbalzo' sugli altri. E' stata un'esperienza molto particolare. Come attrice, devi lavorare affinché si senta fortissima la tua energia, ma contemporaneamente ti devi schermare per 'rifiutare' quella dei compagni, costruendo così quella sensazione di 'muro' invisibile, ma costante e quasi palpabile, fra te e gli altri".
Gina Merulla: "Durante la scrittura, io dialogo sempre con i miei personaggi, li interrogo, li vedo aggirarsi per casa mia, ascolto ciò che mi sussurrano all'orecchio: è tramite questo processo che il testo prende vita. Quando arriviamo in sala prove e gli attori mettono il loro corpo, la loro voce e le loro emozioni al servizio dei miei personaggi, ecco che questi diventano davvero vivi. Le parole si amplificano, i significati si moltiplicano e il testo finalmente libera le sue potenzialità. Ecco, allora, che tutti i personaggi portano in scena verità umane, proprie e condivise, che si fondono in un'unica storia indivisibile".
Massimo Secondi: "A mio parere, un grande merito va a Gina, che è riuscita a intersecare perfettamente il reale con la fantasia con semplicità ed eleganza".

Il vostro progetto e il teatro di ricerca: perché?
Mamadou Dioume: "Perché si deve sempre cercare e porsi le domande giuste, non solo quelle appaganti. Il teatro indica la strada in quanto metafora della vita. Non si tratta di nutrirsi di formule, ma di vivere qualcosa che si risveglia in noi. Riprendendo le parole di Caligola: "Parlo con quello che tu hai di umano in te".    
Gina Merulla: "Il progetto nasce dall'esigenza più antica e profonda dell'uomo: quella di esplorare il proprio mondo interiore, di emozionarsi ed emozionare. Il nostro principale intento è quello di intraprendere un nuovo percorso, denso e significativo, che sia al tempo stesso incontro, viaggio e ricerca, affinché l'arte, da effimera e priva di materia, possa diventare 'viva'. Il teatro Hamlet vuole configurarsi come un centro di ricerca internazionale che possa coinvolgere artisti e non di diverse provenienze, affinché raccontino una storia universale che trascenda tutti i confini".

Quale è il messaggio che intendete divulgare nel far recitare una persona non professionista del settore?

Massimo Secondi: "Essendo io il 'non professionista', penso che riuscire a unire più esperienze, come è stato in questo spettacolo, sia fondamentale nell'arte teatrale. Prima di tutto, bisogna distinguere fra professionismo e professionalità: lavorare con dei 'mostri' non può che farti crescere, sia come artista, sia come persona".
Mamadou Dioume: "Dal mio punto di vista, se una persona ha sete e fame di qualcosa e cerca di crescere tramite il teatro, per me il lato professionale non importa: cerchiamo l'essenziale e non il superfluo".
Gina Merulla: "Recitare è una professione seria: è necessaria una formazione dura e costante. Occorre una grande preparazione tecnica e culturale, nonché determinazione e spirito di sacrificio. Questo non vuol dire che la scena o l'arte teatrale appartengano solo agli attori. Alla base stessa del Teatro di ricerca c'è un'idea che va oltre il professionismo, generando l'inclusione di tutti coloro che intendono abbandonarsi a un incontro profondo, con se stessi e con l'altro. E' per questo che lavorare con Massimo ci ha arricchiti moltissimo: noi professionisti ci siamo nutriti di quell'energia luminosa e oscura che lui ci ha messo ha disposizione nel modo più genuino e autentico possibile".
Patrizia Casagrande: "Come attrice, questo tipo di 'esperimento' aggiunge, ovviamente, un ulteriore grado di difficoltà e di responsabilità. Ma grazie all'umiltà, all'impegno e alla forza del gruppo, questa apparente difficoltà diventa energia e opportunità di dar voce ad altri livelli di emozione e condivisione. Massimo è una persona stupenda, che si è messa in gioco fino in fondo, con lo stesso approccio 'professionale' di chi lo fa per mestiere. E questo ha trasformato il percorso in una bellissima esperienza di vita".

Quanto è importante la comunicazione con il corpo e in che modo viene unita alla parola?
Gina Merulla: "Movimento e parola devono fondersi sulla scena per veicolare un messaggio, creare una suggestione, stimolare l'immaginario, sprigionare un'emozione. Si tratta di un processo inevitabile e necessario. Come regista, mi affascina scoprire tutti i modi possibili in cui questa fusione possa avvenire, cercando i risultati meno scontati e lavorando sempre su piani diversi. Amo, infatti, che i miei attori usino il corpo in maniera non necessariamente razionale, bensì più simbolica, evocativa e suggestiva".
Mamadou Dioume: "Il corpo è uno e l'attore deve cercare di collegare le parti 'spezzate' che abbiamo in noi, per creare un insieme che fluisce. Nel momento in cui si esprime qualcosa, scatta nel corpo: quest'ultimo si aggancia alla parola e diviene tutt'uno con essa".
Patrizia Casagrande: "Il corpo, sul palco come nella vita normale, è lo strumento fondamentale della comunicazione. Il vero messaggio, quello più profondo, passa sempre attraverso il corpo più che attraverso la parola. La ricerca più interessante e più difficile per l'attore è proprio quella di dare piena congruenza e naturalità all'espressione corporea, diventando altro da se stessi. In Apartheid interpreto un'anziana donna inglese molto malata, mentre nella vita, fortunatamente, sono sana e decisamente più giovane. E' stato un percorso estremamente affascinante quello di far "vivere" al mio corpo questo tipo di mutazioni".
Massimo Secondi: "La comunicazione attraverso il corpo è importantissima. E riuscire a unirla alla parola è una sfida che si accetta volentieri: solo con il lavoro delle prove, che è stato duro e meraviglioso allo stesso tempo, si può vincerla".

Il teatro nel teatro e la nascita di uno spazio teatrale, nel lontano 1976, inserita nel contesto recitativo: quale valenza date a tale intreccio e, soprattutto oggi, cosa significa 'fare teatro'?
Patrizia Casagrande: "Ci sono tanti modi di fare teatro. Personalmente, nel momento in cui vi è il rispetto per quelle tavole del palcoscenico, ognuno ha un suo valore. Il teatro può portare allegria, far riflettere, strappare una sana risata, tirare un pugno nello stomaco, raccontare e far ricordare. Ciò che mi auguro non smetta mai di fare è 'emozionare'. Il teatro deve avere una funzione catartica, per chi lo fa e per chi lo guarda. Deve farci sentire un po' migliori, perché le emozioni, soprattutto quelle condivise, uniscono le persone e abbattono le barriere".
Mamadou Dioume: "Secondo me, non c'è un significato o una giustificazione, ma solo un bisogno viscerale. L'obiettivo è creare una comunicazione universale, nonostante le differenze. E, al di là dell'apparenza esteriore, scoprire l'essere umano per la verità che porta con sé. Il teatro è un momento di comunione e per ritrovarne le 'orme' dobbiamo riscoprire il desiderio e la voglia di condividere con l'altro, nonostante barriere culturali e linguistiche".    
Massimo Secondi: "Fare teatro è cercare di far conoscere agli altri il pensiero e le emozioni dello scrittore e del regista. E il teatro è il luogo ideale per realizzare ciò. Credo che anche Barney Simon avesse quest'idea in testa, quando ha iniziato la sua avventura".
Gina Merulla: "La nascita da un vecchio mercato indiano della frutta del 'Market Theatre' di Johannesburg o il cosidetto 'Theatre of the Struggle' come sarà conosciuto in seguito nel resto del mondo, così come la figura stessa di Barney Simon sono fondamentali. Arrivare a condividere una storia che ha un contenuto universale è l'essenza stessa del teatro".
 
Perché parlarne ora: quale significato ne consegue?
Mamadou Dioume: "Il teatro è la metafora della vita che non illustriamo o giustifichiamo. Esso deve costruire ponti tra noi, creare scambi, affinché gli uomini non rimangano ripiegati su se stessi, schiavi di frontiere invisibili. Il teatro ci permette di condividere un nutrimento universale".
Gina Merulla: "Siamo in un contesto storico, politico, sociale, artistico e umano molto complicato. È esattamente questo il momento in cui l'arte deve prendersi le proprie responsabilità e cercare risposte, abbattere muri, colmare distanze, creare dialogo, mettere a nudo l'essere umano e parlare alla sua natura più profonda".
Patrizia Casagrande: "Perché mai come ora l'arte e la cultura in genere, dunque anche il teatro, possono unire le persone, educarle al bello, far sentire attraverso le corde emotive che non tutto è perduto e che le diseguaglianze, l'odio, e i 'muri' non portano a nulla. Citando Barney Simon: "Bianchi e neri rideranno e si emozioneranno insieme". Condividere un'emozione ci fa sentire tutti umani allo stesso modo, annullando automaticamente le barriere".
Massimo Secondi: "Il Teatro Hamlet è nato da pochi anni, per una visione di Gina e, anche se il contesto è completamente diverso, personalmente trovo molte affinità con il 'Market Theatre'. Io penso che anche una sola persona possa cambiare le cose, con le sue parole, i suoi pensieri e le sue azioni".

Le differenze di classe:  si riscontrano ancora oggi? E in che modo?
Gina Merulla: "Nel mio spettacolo passato, presente e futuro si mescolano in un tempo frammentato, amalgamato, indecifrabile. Accanto all'Apartheid del secolo scorso nel Sud Africa, si profilano altri 'confini del mondo': migranti sui barconi; donne coperte dalla testa ai piedi; giochi di potere e politica; poveri ai bordi delle strade; terroristi kamikaze. Il messaggio stesso dello spettacolo è che l'Apartheid si ripropone sempre diversa e sempre uguale a se stessa, in un eterno presente".
Massimo Secondi: "Molto semplicemente, io direi che le differenze di classe sono ovunque nel mondo di oggi, anche se noi non ce ne accorgiamo: è proprio questo uno dei messaggi dello spettacolo".
Mamadou Dioume: "Le differenze esisteranno sempre: c'è sempre chi si sente superiore agli altri. Il teatro ha un'essenza universale e riguarda tutti coloro che vogliono innalzarsi e accrescere i mezzi che portiamo in noi: poco importa l'apparenza esteriore".

Patrizia Casagrande: "Anche oggi ci sono differenze di classe, antiche e nuove, vecchie discriminazioni e nuovi bersagli da colpire. Donne, bambini, stranieri dal nuovo volto continuano a essere discriminati, mentre vengono eretti nuovi 'muri' addirittura fisici, oltre che mentali, dopo che la grande vittoria del nostro secolo sembrava esser quella di averli abbattuti. Mai come oggi l'avere e l'apparire portati all'estremo, la crisi del lavoro e dei valori e i conflitti stessi creano costantemente nuove differenze di classe, trasversali e mutevoli, in cui c'è sempre un debole designato e vessato in funzione dell'immagine del più forte del momento".

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NELLA FOTO: PATRIZIA CASAGRANDE, MAMADOU DIOUME E MASSIMO SECONDI

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