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29 Aprile 2024

Sussidiarietà orizzontale

di Elisabetta Chiarelli
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Sussidiarietà orizzontale

In una società in cui tutto procede con forsennata speditezza ma senza una reale meta, al ritmo di una tecnologia impersonale che ha barattato ogni forma di originalità con la macabra apparenza di una perpetua quanto mendace perfezione, non è più ammesso mostrarsi fragili o vulnerabili
 
"Non è tutto oro quello che luccica". Questo antico adagio calza particolarmente 'a pennello' quando parliamo di comunità terapeutiche, preposte al recupero dei giovani affetti da dipendenze spesso legate all’uso di sostanze stupefacenti. In principio fu San Patrignano, fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli proprio negli anni caratterizzati dal 'boom' dell’eroina. Ben presto San Patrignano, anche grazie al determinante contributo economico della famiglia Moratti, divenne un polo nevralgico nel contrasto alla tossicodipendenza, guadagnandosi in questo campo una notorietà e un’autorevolezza di proporzioni planetarie. Purtuttavia, negli anni direttamente successivi alla sua fondazione, si registrarono i primi casi di gravi abusi perpetrati ai danni degli ospiti della comunità, sfociati nella loro morte in seguito a percosse o per causa di suicidio. Nonostante i procedimenti penali concernenti i fatti in oggetto si siano conclusi con l’assoluzione dei titolari della struttura terapeutica, in particolare del suo fondatore, un’ombra inquietante è rimasta circa il sottobosco di ambiguMuccioli.jpgità che si celava dietro l’apparente trasparenza di queste comunità di recupero. Si pensi anche al caso più recente della comunità ‘Shalom’ di Palazzolo sull’Oglio (Bs), oggetto più volte in questi dieci anni di indagini giudiziarie e di denuncia giornalistica a causa dei terribili soprusi che, dalle videoregistrazioni effettuate in loco, risultano esser stati compiuti al suo interno. Ma soprattutto, la constatazione di queste agghiaccianti realtà pone all’attenzione di tutti un tema. Esso concerne il rapporto con il fragile, il diverso o  semplicemente il 'malato'. Un tossicodipendente, per esempio, è davvero considerato empaticamente un “malato di nostalgia”, prendendo a prestito le parole di una nota canzone di Renato Zero, da accogliere e consolare, oppure viene percepito come un disturbo, uno sbaglio della natura da estirpare o, peggio ancora, quale riprova dei nostri fallimenti, specchio disarmante delle nostre più intime e inconfessabili paure? In particolare, con riguardo al dramma delle dipendenze ormai sempre più numerose e capillarmente diffuse tra i giovani, i fatti di San Patrignano e di Palazzolo sull’Oglio ci pongono di fronte al presentimento di un'amara verità. Ossia, che all’impotenza e alla disperazione dei familiari per il disagio dei propri figli, si accompagni un profondo senso di colpa per il fallimento del loro messaggio educativo, tale da spingere questi genitori ad allontanare i propri figli, complici le istituzioni, affidandoli a estranei, che a vario e imprecisato titolo se ne occupino.
Infatti, non si è mai potuto appurare con certezza, alla luce dei fatti denunciati, se presso queste comunità operi un personale scientificamente qualificato e realmente competente nella cura delle dipendenze. Parimenti, non si comprende come queste strutture possano continuare a funzionare gratuitamente, stando a quanto dalle stesse dichiarato e, al contempo, come emerso da accurate indagini, godere della copertura e dell’appoggio, anche finanziario, nonché mediatico, delle più elevate cariche istituzionali o delle più prestigiose personalità nel mondo della politica, dello sport e dello spettacolo. Tutto ciò sembra tristemente sottendere un profondo senso di gratitudine da parte della 'società civile' per chi si è assunto il compito di celare al pubblico il 'marcio' della collettività. Perché in un mondo in cui da sempre la Storia la scrivono i vincitori, non è ammesso mostrarsi fragili o vulnerabili. Ciò non è assolutamente concepibile in una società in cui tutto procede con forsennata speditezza, ma senza una reale meta, al ritmo di una tecnologia impersonale, che ha barattato ogni forma di originalità con la macabra apparenza di una perpetua quanto mendace perfezione. Una società in cui il consumismo e il mito del “massimo risultato con il minimo sforzo” ha indebolito i caratteri e addormentato le coscienze. Evitare il dolore, il cui attraversamento rappresenta, da sempre, la via più complessa ma efficace per un’effettiva crescita interiore, è in realtà la peggior 'piaga' che affligge la società moderna, la più grave delle dipendenze che tutte le causa e tutte le racchiude. Affrontare il dolore è il prezzo dell’amore. Ma ci si ostina a non capire che la negazione dell’amore è un costo troppo alto da sopportare, per neutralizzare la sofferenza. Dietro le 'ghettizzazioni' e gli olocausti a cui la Storia ci ha abituato, non si nasconde altro che il dramma di un’umanità la quale, pur di non evolvere verso forme sempre più elevate di civiltà e di responsabilità, preferisce alienarsiregredire, illudendosi di poter occultare i propri errori con il favore della confusione e dell’assordante fragore della massa informe, adducendo altresì a ridicola giustificazione delle proprie mancanze e degli abomini costantemente commessi, la difficoltà di governarla. Spesso è proprio la malattia, originaria o indotta, a far sì che l’anima raggiunga picchi di autenticità e di sensibilità mai sfiorati prima. Ma ciò non sembra interessare a un’umanità irrimediabilmente omologata e massificata, che un’anima non possiede più, che vi ha rinunciato da tempo e che è disposta a combattere una guerra senza quartiere contro chiunque, seppur involontariamente, gliene ricordi l’esistenza.
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Periodico Italiano Magazine - Direttore responsabile Vittorio Lussana.
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