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26 Aprile 2024

Navi da guerra all'Egitto: un dibattito ipocrita

di Maria Elena Gottarelli
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Navi da guerra all'Egitto: un dibattito ipocrita

Nicola Zingaretti, segretario del Pd, si scaglia contro l’ok del governo alla vendita delle due navi da guerra 'Leonardo' alla Marina militare egiziana, ma per tutto il 2019 al-Sisi è stato il primo cliente dell’Italia per export bellico, a dispetto della Costituzione

E’ materia di un’accesa polemica di questi giorni la vendita da parte di Leonardo (più nota come Fincantieri e Finmeccanica) di due navi da guerra Fremm all’Egitto. Dopo il via libera del governo alla maxi-commessa, il segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti, ha espresso tutto il suo dissenso in una lettera aperta pubblicata da ‘Repubblica’. In essa, il leader del Pd ha intimato al premier, Giuseppe Conte, di annullare l’accordo almeno fin quando l’Egitto non si dimostrerà collaborativo sull’inchiesta riguardante la morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso al Cairo nel 2016 in circostanze mai chiarite dalle autorità egiziane. Queste rimostranze assumono un aspetto paradossale, se si considera che, nel 2019 (anno in cui il Partito democratico ha fatto parte della maggioranza), il primo acquirente di materiale bellico dell’Italia è stato proprio l’Egitto. Questo è quanto emerge dalla relazione annuale sulla vendita di armi verso Paesi stranieri, presentata dal parlamento lo scorso maggio (un documento in formato Pdf consultabile a questo link). Rispetto al 2018, il governatorato di Al-Sisi è passato dal decimo al primo posto come cliente dell’Italia per vendita di armi, con un export di ben 871,7 milioni di euro. Il rapporto evidenzia, inoltre, che sempre l’anno scorso il 62,7% dell’esportazione di materiale da guerra ha interessato Paesi esterni all’Unione europea e dalla Nato, con una prevalenza per i governi a regime dittatoriale (un trend che persiste da diversi anni, seppur in netto contrasto con l’articolo 11 della Costituzione italiana).

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Il vero paradosso, però, non riguarda tanto l’invettiva del leader democratico, quanto il fatto che tali accordi milionari siano stati conclusi sotto l’egida di un ministero degli Esteri targato 5 Stelle, il movimento che ha sempre fatto della lotta alla vendita di armi una delle sue principali bandiere elettorali. A dispetto delle campagne pacifiste, il mercato di armi ha fruttato all’Italia ben 5 miliari e 174 milioni di euro nel 2019, un lieve calo rispetto ai 5 miliardi e 246 milioni del 2018. Per di più, a determinare la netta prevalenza dell’export bellico verso Paesi extraeuropei ed extra-Nato è proprio “la fornitura di 32 elicotteri concessa all’Egitto”, sottolinea il Maeci (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, ndr). Senze quelle compravendite, la ripartizione dei valori sarebbe stata del 47,4% verso i Paesi Ue/Nato e del 52,6% verso quelli extra-Ue/Nato, quindi quasi equa.
Procedendo nell’analisi delle 826 pagine che compongono la relazione annuale, il panorama non si fa più roseo. Al secondo posto dei nostri ‘buyers’ bellici troviamo, infatti, il Turkmenistan, anch’esso guidato da un regime dittatoriale e accusato di costanti violazioni dei diritti umani da parte di diverse Ong, tra cui Reporter sans frontières. Proprio al Turkmenistan, lo scorso anno l’Italia ha venduto armi per un totale di 446,1 milioni di euro. Ma l’ipocrisia del mercato che regola la compravendita di materiale bellico non riguarda solo questo governo, bensì è di vecchissima data. Basti pensare al fatto che, nel 2013, un’inchiesta di Wired ha dimostrato che l’Italia era al primo posto per vendita di armi in Siria sin dal 2001, o alle inchieste di Reported.ly e del 'New York Times' che hanno reso noto che le bombe utilizzate dall’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen erano 'made in Italy'. Più precisamente della Rwm: un’azienda tedesca, ma con sede in Sardegna.
L’articolo 11 della Costituzione italiana fissa dei limiti molto chiari in materia bellica. Si legge: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. L’esportazione di armi, pertanto, non è consentita per ragioni diverse dalla legittima difesa. E’ chiaro che l’export verso Assad, già nel 2001 non rientrava nella fattispecie prevista della legittima difesa, visto che i 'raid' aerei dell'aviazione siriana hanno provocato la morte di migliaia di civili. Lo stesso vale per l’Arabia Saudita e l’Egitto: Stati con governi dittatoriali e, per di più, extra-Ue ed extra-Nato che non si servono delle armi a scopo difensivo, ma offensivo, spesso in maniera assai poco 'chirurgica' e piuttosto indiscriminata.

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E’ paradossale pensare all’ondata di dissenso che ha suscitato l’arresto di Patrick Zaki, lo studente egiziano che frequentava un Master a Bologna, incarcerato al Cairo lo scorso febbraio per crimini di opinione e tuttora in detenzione. Ed è ancor più paradossale il fatto che, mentre migliaia di cittadini italiani scendevano in piazza a manifestare per la liberazione di Zaki, il Governo stringesse con Al-Sisi accordi milionari, di cui la vendita delle due fregate ‘Fremm’ contestate da Zingaretti rappresentano solo un esempio.
Sul quotidiano 'Avvenire' del 16 maggio scorso, l’analista dell’Osservatorio sulle armi Opal, Giorgio Beretta, commentava così il gap dell’export bellico italiano: “Due terzi dei sistemi militari è destinato a Paesi che non fanno parte delle alleanze politiche, economiche e militari dell’Italia. Ancora una volta i prodotti della cosiddetta ‘industria della difesa’ servono molto poco alla nostra sicurezza e alla difesa comune. Anzi spesso si tratta di forniture che sostengono regimi autoritari e repressivi e che alimentano conflitti contribuendo all’instabilità di intere regioni”.
Va sottolineato che l’Italia persegue in Egitto interessi strategici che sono tutt’altro che di poco conto, innanzitutto per la presenza di giacimenti di gas gestiti da Eni (l'ente fodnato da Enrico Mattei detiene il 50% del maxi-pozzo Zohr), ma anche per l’asse geopolitico di cui l’Egitto fa parte, in quanto alleato dell’Arabia Saudita, Usa e Israele. Si tratta di interessi che il saggista e docente di Geopolitica economica presso l’Università 'Guglielmo Marconi', Carlo Pelanda, definisce “imprescindibili” in un’intervista a Start Magazine. Del resto, "Business First" è l’intramontabile motto che governa le scelte più o meno apertamente dichiarate della politica. Così, mentre l’opinione pubblica si indigna contro la violenza e il razzismo e mentre le piazze delle città di tutto il mondo si riempiono in nome della democrazia e delle pari opportunità, sedicenti "governi liberali” finanzino - come sempre - le guerre perpetrate da tiranni.

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FONTE DELLE TABELLE PUBBLICATE NEL PRESENTE SERVIZIO: ATTI PARLAMENTARI, RELAZIONE SULLE OPERAZIONI SVOLTE PER IL CONTROLLO DELL'ESPORTAZIONE, IMPORTAZIONE E TRANSITO DEI MATERIALI DI ARMAMENTO (ANNO 2019)


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